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Stefano Corazza
Terreni agricoli del demanio statale. Un'opportunità per l'economia dei beni comuni
26 Aprile 2012
Scritti ricevuti
Bisogna porre riparo alla grave sciocchezza di vendere il demanio rurale invece di utilizzarlo per migliorare la vita di tutti e la stessa economia. Scritto per eddyburg, 26 aprile 2012

Un gran numero di Associazioni, Onlus, collettivi, cooperative etc. comprendenti da AIAB a Campi Aperti, da Crocevia a Civiltà Contadina, da Libera a Slow Food, hanno con manifestazioni, presidi, lettere alle commissioni parlamentari, preso posizione sulla vendita dei terreni agricoli demaniali che il Governo Monti ha di recente approvato (Decreto1/2012). La norma che la prevede è contenuta nel cosiddetto “decreto liberalizzazioni” (all'art.66) che specifica e in qualche misura aggrava quanto già previsto dalla legge del 12 novembre 2011.

In alternativa alla vendita dei terreni “agricoli o a vocazione agricola” demaniali, auspicata anche da CIA e Coldiretti, gli oppositori proponevano la concessione in affitto a equo canone, con priorità ai giovani agricoltori per:

- contrastare ai processi di ulteriore concentrazione della terra agricola nelle mani di un sempre minore numero di aziende di grandi dimensioni (un “landgrabbing” a scala nazionale) con conseguente drastica riduzione delle piccole proprietà contadine considerate più virtuose quanto a distribuzione dei redditi e cura della terra;

- l'esclusione di occasioni e facilitazioni per il riciclaggio, nell'acquisto della terra, di risorse finanziarie originate da attività criminali;

- l'esclusione di opportunità per speculazioni immobiliari possibili con l'ottenimento di cambi di destinazione d'uso dei terreni alienati.

L’iniziativa, pur non avendo ottenuto alcun esito, ha avuto il merito di porre sulla questione ipotesi diverse certamente più interessanti e con prospettive meno limitate del far cassa vendendo un bene demaniale, ma forse questa occasione costituisce una opportunità per affermare e iniziare a praticare, attraverso un progetto mirato, un paradigma economico-sociale e politico davvero alternativo centrato sul lavoro, la biodiversità e i servizi ecosistemici, la terra e i suoi prodotti come bene comune, la solidarietà, la condivisione.

Il progetto

Secondo l'Agenzia del Demanio, che utilizza dati del Censimento per l'Agricoltura 2010, l'estensione dei terreni agricoli demaniali sarebbe di oltre 338.000 ha. per un valore che oscilla fra 5 e 6 miliardi di Euro ma è facile prevedere, anche sulla base di passate esperienze di vendita di beni pubblici immobiliari che, un po' per la scarsa capacità di vendita da parte degli enti pubblici, un po' perchè a fronte di una tale ampia offerta i prezzi scenderanno, un po' perchè sono sempre in agguato meccanismi clientelari e abusi, l'ammontare complessivo di introiti derivanti dalla svendita potrebbe essere di molto inferiore alle previsioni.

Dove si trovano questi terreni? In quasi tutte le regioni; dal Piemonte (56000 ha) al Lazio (41000 ha), dalla provincia autonoma di Trento (30000 ha) a quella di Bolzano alla Lombardia e Basilicata (oltre 20000 ha). Oltre i 10000 ha sono anche in: Calabria, Toscana, Campania, Veneto, Marche, Puglia, Molise e Sardegna. Una distribuzione piuttosto uniforme tra Nord Centro e Sud del Paese tale da rendere equa, in senso geografico anche una distribuzione dei benefici possibili con un progetto nazionale per affrontare le decisive implicazioni che la questione della terra riveste per il Paese e il suo futuro “possibile”.

Le questioni connesse alla vendita di questo patrimonio pubblico vanno infatti ben oltre le pur rilevanti criticità presenti nel settore agricolo da diverse parti evidenziate ed investono temi quali la conservazione del suolo, del paesaggio e della biodiversità, la qualità del lavoro, le relazioni sociali.

Intanto è certo che anche la semplice cessione in affitto dei terreni demaniali non risolverà comunque il problema dell'accesso al credito del settore che vede, soprattutto i piccoli e i giovani agricoltori dover contare solo sulle proprie limitate risorse, strozzati come sono da banche sempre più avare. Altrettanto certo è che le piccole aziende che riuscissero ad ottenere la terra, in proprietà o anche in affitto, continuerebbero ad essere escluse dall'enorme torta degli aiuti comunitari all'agricoltura che viene distribuita soprattutto a grandi aziende o consorzi di trasformazione e commercializzazione del prodotto agricolo (spesso per riconversioni che riducono i posti di lavoro) lasciando meno che briciole ai piccoli agricoltori.

E' ancora altrettanto certo che cedere semplicemente in affitto i terreni non inciderà minimamente sul problema della distorsione della filiera di distribuzione e commercializzazione dei prodotti agricoli che: strozza i produttori pagando il prodotto al di sotto dei costi di produzione; spreca energia nella conservazione del prodotto e nel suo trasporto; distrugge grandi quantità di prodotto come eccedenza; banalizza la qualità aprendo le porte a prodotti di importazione, spesso di basso valore qualitativo e alimentare, realizzati a basso costo con sfruttamento del lavoro. Pesa, infine, in termini di costi, su un consumatore reso incapace /di o indifferente/a valutare: qualità del prodotto e del processo produttivo in senso allargato esteso cioè a fattori normalmente trascurati quali la qualità del lavoro, dell'ambiente fisico e biologico; le caratteristiche genetiche, biologiche, nutrizionali, organolettiche del prodotto; il sistema delle relazioni del territorio in cui avviene la produzione.

Il progetto a cui penso segue invece il sentiero tracciato negli ultimi anni da esperienze diverse che cominciano oggi a connettersi in reti sempre più estese e diffuse e che consentono di vedere già realizzato nella pratica un modo di produrre e consumare salvaguardando un futuro possibile per chi vive oggi, per i nostri figli e per il pianeta. Parlo dei produttori agricoli biologici e biodinamici, dei Gruppi di Acquisto Solidale (GAS), delle esperienze di Libera nella gestione dei terreni sottratti alle mafie, degli agricoltori custodi della biodiversità agricola, dei mercati di prossimità e “a km0”, dei mercatini aziendali autogestiti dai produttori. Ognuna di queste esperienze fornisce materiale su cui costruire un progetto che in modo sistemico promuova la qualità del lavoro contadino, sia nel senso di renderlo ricco di saperi e “saper fare”, che riportandolo al centro di un sistema di relazione con le comunità del territorio riconoscendolo non soltanto per la qualità di ciò che produce per l'alimentazione e il consumo, ma per ciò che produce come conservazione di servizi goduti da tutti (i servizi ecosistemici) ed essenziali quanto il cibo per il nostro benessere. E così ricostruisca su una base territoriale identificata dalla dimensione di comunità umane partecipi e solidali, il rapporto città-campagna come sistema relazionale in grado di produrre qualità ambientale, salute fisica e mentale, valori etici, estetici ed in ultima analisi economici.

Formazione e capacity building

Per raggiungere tali obiettivi occorre mettere mano in primo luogo ad un grande progetto formativo ed educativo sostenuto finanziariamente dallo Stato con risorse del tutto ragionevoli (100-150 Ml di €) e destinate ad essere restituite moltiplicate nel tempo perché capaci di produrre (come vedremo meglio in seguito) un ritorno certo, costante nel tempo ed enormemente superiore se misurato sul valore dell'insieme dei servizi resi. Risorse, infine, una buona parte delle quali potrebbe essere attinta dalle risorse comunitarie della Politica Agricola Comunitaria (PAC).

La formazione e la costruzione di capacità ad operare dovrà essere affidata, con una articolazione regionale o interregionale e con un coordinamento nazionale soltanto di indirizzo e di definizione dei target da raggiungere, ad associazioni ed organizzazioni che già operano localmente nel settore sulle linee concettuali del progetto massimizzando così le opportunità di partecipazione.

Si può più realisticamente stimare che sugli oltre 338.000 ha di terreni demaniali possano essere impiegati, come esito di questo progetto, almeno 100.000 nuovi (una parte dei terreni risulta già in uso agricolo con la presenza di addetti) occupati raggiungendo una media di circa un addetto ogni 2,5ha. Tale media di operatori/ha è tuttavia molto prudente per diversi ordini di motivi: nelle piccole imprese contadine biologiche e biodinamiche, come quelle che si intende costituire, la media di manodopera per ettaro è più alta che nella grande impresa; le nuove realtà produttive dovrebbero mantenere come criterio generale un ciclo integrato e diversificato di produzioni animali e vegetali che richiede normalmente maggiore intensità di manodopera; la produzione dei cosiddetti servizi agroambientali meglio descrivibili come servizi ecosistemici e di conservazione della biodiversità richiede un ulteriore maggiore impiego di manodopera; altri addetti saranno impiegati nella gestione amministrativa e organizzativa dell'impresa compreso il resource management (ad es. risparmio e produzione energia, riciclo acque); ulteriore occupazione potrebbe essere generata dalla produzione di servizi educativi e formativi in ambito aziendale rivolti ai cittadini e dall'esercizio di attività agrituristiche. Un lavoro, organizzato principalmente in imprese cooperative, quindi che si configura ad alto contenuto conoscitivo e di specializzazione (fare il biologico richiede più conoscenze e capacità) , a forte contenuto sociale per i servizi che è in grado di produrre a beneficio della comunità e nello stesso tempo un lavoro che, poiché è fondato su una interazione strutturale con le componenti umane e fisico biologiche del territorio in cui opera, non risente della cosiddetta competizione globale ed è liberato dallo sfruttamento che assume talora un connotato schiavistico quando controllato da organizzazioni criminali. Un lavoro, dunque la cui caratteristica di “sostenibilità” si coniuga non solo in senso ambientale, produce cioè un positivo impatto sulla ecologia e il paesaggio, ma anche e soprattutto in senso sociale in quanto legato al sostegno etico e solidale della comunità del territorio che ne riconosce anche il contributo fornito al suo benessere e alla qualità di vita.

Perciò è necessaria anche un'opera sia di informazione ed educazione, che di formazione mirata a creare l'integrazione della costituenda azienda agricola con i cittadini che ne consumano i prodotti e ne godono i servizi. Solo in tal modo, il consumatore riconoscerà a un produttore qualificato non solo adeguata remunerazione del lavoro ma sarà consapevole della complessità di un processo produttivo fino al punto di volerne condividere(come sta succedendo in alcune esperienze tra GAS e produttori in diverse parti d'Italia) i rischi oppure di partecipare a processi di certificazione. La formazione, oltre che a dotare gli addetti di conoscenze e saper fare adeguati alle articolate e diverse attività da svolgere in azienda con le caratteristiche delle produzioni biologiche e biodinamiche, sarà dunque orientata anche a costruire capacità di organizzazione di reti locali di commercializzazione dei prodotti basate su GAS, mercati di prossimità, spacci aziendali ed anche integrazione con la ristorazione collettiva (scuole, mense, ospedali,...) e di singoli esercizi (“menù a Km 0”) e con aziende di trasformazione locale (nell'insieme qualcosa di più di una “filiera corta”).

Coloro che opereranno in una gestione aziendale così articolata avranno anche una formazione che consenta, da un lato di utilizzare appieno strumenti di gestione hardware e software e di comunicazione come la rete internet e in particolare la sua dimensione 2.0, dall'altro di avere consapevolezza dell'importanza del resource management aziendale per produrne o indirizzarne l'ottimizzazione, infine di essere in grado di mettere in valore le caratteristiche della propria azienda e le competenze acquisite creando sinergie con le istituzioni locali (per attivare progetti rivolti alle popolazioni locali di educazione ambientale e alimentare, di formazione, etc.) e soprattutto accedendo alle erogazioni degli aiuti comunitari (da cui oggi le piccole aziende sono sostanzialmente escluse a vantaggio dei grandi gruppi industriali/commerciali) che proprio verso le produzioni di qualità, la polifunzionalità aziendale, la prestazione di servizi ecosistemici, saranno sempre più orientati.

Si pensi al fatto che già nelle premesse da tempo espresse della prossima PAC è presente una pregiudiziale a favore della Agricoltura ad Alto Valore Naturale (High Nature Value Farming, HNVF), cioè quella agricoltura che, per localizzazione e/o pratiche utilizzate, maggiormente contribuisce alla salvaguardia della biodiversità, e che verranno fortemente incoraggiate attività capaci di tutelare, conservare, riprodurre razze e cultivar locali che rappresentano la biodiversità genetica agricola di un territorio.

Chi saranno i nuovi lavoratori agricoli cui nelle intenzioni di questo progetto va destinata l’attività di formazione? Certo una quota di coloro che sono stati in questi terribili ultimi anni espulsi dai processi produttivi e non abbiano, per competenze o età, più possibilità di rientrarvi. Una buona parte di loro saranno giovani che sappiano cogliere una grande opportunità, anche al di là di specifica formazione o titoli di studio precedentemente acquisiti, per potere guardare con speranza e dignità al futuro.

Accesso al credito

Non solo la cessione dei terreni dovrà avvenire in affitto a canoni agevolati ed eventualmente differiti nel tempo, non solo sgravi fiscali dovranno essere previsti nelle fasi iniziali per le nuove imprese che si costituiranno e a regime e dovranno essere rapportati al valore dei servizi prodotti (vedi oltre), ma è essenziale che le nuove realtà aziendali possano contare su risorse per sostenere l'avvio delle attività e gli investimenti necessari.

La Cassa Depositi e Prestiti, nonostante la sua trasformazione nella direzione di banca mercantile avvenuta nell'ultimo decennio, ha ancora, come doveri istituzionali, compiti legati alla produzione di servizi di interesse generale, raccoglie principalmente il risparmio postale dei cittadini ed ha ottenuto, al pari di altre merchant bank europee e italiane in particolare, crediti dalla BCE al tasso dell'1%. A tale tasso, o inferiore (con la differenza a carico dello Stato come per i recenti programmi per le energie rinnovabili al tasso dello 0,5%; vale, per la sua restituzione il criterio, già enunciato, del valore dei servizi prodotti ma anche dell'effetto moltiplicatore dell’ acquisto dei beni strumentali) la CDP dovrebbe garantire alle nuove realtà produttive agricole insediate sui terreni demaniali un credito per il sostegno dell'avvio di attività (start up di impresa) e dei primi investimenti in mezzi, tecnologie, impianti, sementi, animali etc. per almeno un quinquennio: un periodo minimo per consentire all'azienda un funzionamento a regime. Non è, per inciso, per nulla trascurabile nella valutazione del bilancio di un tale progetto, l'anticipazione che la nuova PAC incoraggerà con premi consistenti (si parla di 70.000€ per cinque anni) nuove imprese agricole.

Ruolo delle Regioni

Le Regioni e le Province autonome devono essere attori protagonisti del progetto, ad esempio: cooperando con le Agenzie nazionali all'individuazione dei terreni (sia di quelli demaniali che anche di quelli di proprietà regionale e comunale, la cui dimensione potrebbe addirittura essere superiore ai primi) da investire con il progetto stesso; contribuendo: alla elaborazione degli aspetti di dettaglio; alla diffusione dell’informazione; al supporto dell’attività di formazione; all’elaborazione dei requisiti e criteri di selezione degli attori (organizzazioni e candidati); fornendo supporti amministrativi-burocratici per la costituzione d'impresa e l'accesso al credito; rendendo coerente col progetto e ad esso funzionale in termini di aiuti erogati il Piano di Sviluppo Rurale in attuazione della nuova PAC; etc.

Distretti territoriali

La creazione delle nuove piccole aziende contadine e la loro forte integrazione con il territorio e le sue comunità è prevedibile avranno nel contesto in cui operano un effetto traino di altre realtà aziendali di piccola dimensione già esistenti che troveranno interessante e vantaggioso divenire parte di un “distretto” dotato di obiettivi produttivi, ma anche sociali, supportati da organizzazione partecipata di aspetti commerciali e amministrativi e che autonomamente non sarebbero state in grado di realizzare. A tali distretti le Regioni dovrebbero fornire costante incoraggiamento e supporto. E proprio le Regioni tra loro coordinate dovrebbero farsi carico di mantenere un monitoraggio del progetto e della sua attuazione tale da realizzare un primo studio sistematico sul valore dei servizi ecosistemici e della biodiversità legati all'uso agricolo della terra.

Servizi ecosistemici e biodiversità

Sono la chiave di questo progetto e dunque occorre un po' di spazio per affrontare concetti intuitivamente semplici, ma tanto articolati quanto poco percepiti nella loro complessità da molta parte dei cittadini. Non tragga in inganno infatti il linguaggio classificatorio e sistematico con cui sono enunciati nel mondo della ricerca e dell'accademia, si tratta proprio (almeno in parte) di quei servizi riconosciuti dallo stesso mondo contadino più attento alla ecosostenibilità ma ormai anche dalle organizzazioni di categoria più conservatrici e in qualche modo presenti da tempo più o meno esplicitamente fra le misure condizionanti gli aiuti europei del settore (le cd. Misure agroambientali).

Sul tema del valore dei servizi ecosistemici sono stati prodotti in anni recenti studi basilari come il Millennium Ecosystem Assessment (MA2005) da parte di diverse agenzie delle Nazioni Unite e un importante approfondimento concluso tra il 2008 e il 2011 da parte della Commissione UE, dell'UNEP e di numerosi ministeri e agenzie per l'ambiente di governi europei, intitolato “L'Economia degli Ecosistemi e della Biodiversità (The Economics of Ecosystems and Biodiversity – TEEB). Senza contare le esperienze empiriche di sperimentazione dei paradigmi concettuali costitutivi in diversi casi di studio, in tutto il mondo, tra cui il più sistematico e completo è certamente il National Ecosystem Assessment (UK NEA) condotto nel Regno Unito tra il 2010 e il 2011.

TEEB sulla scia di MA2005 e degli studi di R. Costanza della fine del secolo scorso ci dice che:

A) i servizi che vengono prodotti dagli ecosistemi sono distinguibili concettualmente in:

- servizi di approvvigionamento che comprendono cibo, combustibili, legnami, ma anche acqua potabile etc.;

- servizi di regolazione che comprendono la regolazione del clima e idrogeologica, l'equilibrio sanitario e la depurazione delle acque, etc.;

- servizi culturali di tipo estetico, spirituale, educativo, ricreativo, etc.;

- tutti questi servizi sono a loro volta sostenuti da servizi definibili di sostegno basilare (supporting services) quali: il ciclo dei nutrienti, la formazione dei suoli, la produzione primaria....

B) Non tutti tali servizi hanno un valore di mercato (ce l'hanno ad esempio i prodotti agricoli e il legname, non ce l'ha l'equilibrio idrogeologico!) ma tutti incidono profondamente, talora in maniera decisiva sul benessere delle persone in tutte le componenti in cui il benessere può essere schematicamente diviso: sicurezza, salute, materiali basilari costitutivi del benessere, qualità delle relazioni sociali.

C) il fatto che non abbiano mercato non significa che non abbiano valore e che tale valore non possa essere quantificato con diversi metodi dell'analisi economica. Tali valutazioni hanno anzi portato ad identificare valori di dimensione tale, su base globale o nazionale o locale, da surclassare anche l'abusato indicatore di ricchezza benessere delle nazioni: il Prodotto Interno Lordo calcolato alla stessa scala. Un importante corollario consiste nel fatto che tali servizi prodotti “gratuitamente” dal sistema naturale non sono dati una-tantum, ma possono essere fortemente compromessi dall'azione dell'uomo al punto tale da dovere provvedere alla loro sostituzione, ove e nella misura possibile, con sistemi artificiali, con risorse quindi sottratte ad altri servizi. Si pensi alla spesa per impianti di depurazione e potabilizzazione delle acque, funzione che corsi d'acqua in buone condizioni ecologiche e idro-morfologiche e senza un sovraccarico di inquinanti produrrebbero a costo zero generando così allo stesso tempo servizi di approvvigionamento (l'acqua da bere) servizi ricreativi (l'acqua adatta alla balneazione o la vista di un fiume o un lago pulito), servizi di regolazione (il mantenimento della salubrità), e sostegno basilare (il mantenimento di processi vitali necessari alle comunità ittiche o alla vegetazione ripariale). Ecco perchè si è arrivati ad affermare che, in un sistema decisionale, se si trascura “la valutazione di questi servizi il sistema economico su cui si continua a fare affidamento è destinato al degrado ecosistemico e al sovrasfruttamento”.(TEEB).

In ambito agricolo europeo, un primo approssimativo riconoscimento di tali valori è avvenuto, come già accennato, attraverso i “pagamenti agroambientali” contemplati in misura crescente, da almeno un ventennio, dalle politiche agricole della UE. E tuttavia, pur trascurando il modo discriminato, spesso infondato e inconsistente rispetto agli obiettivi di conservazione cui dovrebbero essere condizionati (il “Piano d'Azione a favore della Biodiversità in agricoltura” della Commissione Europea è del Marzo 2001!), con cui tali pagamenti sono erogati, gli studi più recenti hanno messo in evidenza che i servizi potenzialmente associati ad una agricoltura che abbia anche un alto valore di conservazione della natura, producono un valore economico enormemente eccedente i pagamenti.

Cito un aspetto dei più noti e del quale, seppure sempre in modo marginale hanno talora parlato anche alcuni mezzi di informazione. Il valore del “servizio di impollinazione” (uno dei servizi di “approvvigionamento”) fornito dalle api per le colture agricole in particolare per quelle frutticole è stato evidenziato in una casistica “catastrofica” sia quando si è avuta una morìa particolarmente grave delle api dovuta a concause diverse e non ancora del tutto chiarite (2006-2009), sia anche più recentemente a seguito dell'impatto particolarmente rilevante sugli alveari delle recenti nevicate e gelate di inizio Febbraio. Pochi hanno tuttavia evidenziato con la dovuta enfasi che il valore dell'impollinazione per le colture è sempre presente come beneficio e non solo quando appare sotto la forma di danno. Studi recenti franco-tedeschi hanno quantificato il valore del servizio di impollinazione per le produzioni agricole nella UE (a 27 membri) in 14,2 Miliardi di € ogni anno e nel mondo tale valore ammonterebbe a circa 153 miliardi all'anno. UK NEA ha identificato per il Regno Unito un valore di 430 milioni di sterline (circa 600 milioni di €); Greenpeace sostiene che oltre il 35% del prodotto agricolo vendibile nel mondo dipende dalle api e in Svizzera un recente studio ha computato il valore del servizio di impollinazione (il raccolto di frutta e bacche) generato dalle api nel Paese pari a oltre 4 volte (265 milioni di Franchi Svizzeri) il valore del prodotto vendibile(65 milioni di FS): miele, pappa reale, cera, propoli, etc. generato dal loro allevamento. Ogni colonia presente in Svizzera produrrebbe un valore annuale di servizi ecosistemici pari a 950-1250 FS. In Italia si è stimato il valore dei servizi di impollinazione a circa 1,5 Mld € per anno.

E sono proprio le pratiche agricole biologiche, che non impattano sulle api con prodotti chimici ma che anzi si avvalgono programmaticamente dei loro servizi favorendone la presenza con l'allevamento, con la diversificazione colturale, con l'alternanza di ambienti coltivati e naturali etc., che hanno un impatto positivo su tale valore conservandolo e incrementandolo nel tempo. Solo relativamente a tale servizio reso su 330.000 ha di terreni si può realisticamente stimare un incremento/conservazione di valore legato alle nuove realtà agricole realizzate con il progetto pari immediatamente a 7,5-15 milioni di Euro all'anno ed in crescita nel tempo.

Nella rassegna casuale di esemplificazioni dei servizi ecosistemici prodotti in agricoltura vale menzionare la funzione di sequestro della CO2 prodotta dalle attività colturali. Si è stimata mediamente in 0,8-0,9 t x ha x anno ma le aziende biologiche e biodinamiche, per le pratiche che utilizzano, aumentano l'efficienza di assorbimento della CO2 fino al 50%. Il valore del solo incremento stimato sarebbe di circa 4 milioni di € all'anno. Mi pare che molto più conveniente che acquistare crediti di emissione e/o pagare sanzioni per il mancato raggiungimento da parte dell'Italia degli obiettivi stabiliti dalla Commissione europea per la riduzione delle emissioni in linea con il Protocollo di Kyoto, come dimostrano i dati più recenti!

Il mantenimento e l'incremento/ricostituzione di aree boscate a macchie e lineari come corridoi ecologici o siepi e filari che stanno tra le pratiche obbligatorie dell'agricoltura biologica e biodinamica e che dunque sarà da realizzare sulle terre demaniali è azione importantissima per il mantenimento della diversità e della continuità (in opposizione alla frammentazione) degli habitat che garantisce la presenza diversificata di specie selvatiche animali e vegetali; per la conservazione e miglioramento dei paesaggi; per la costituzione di infrastrutture verdi capaci di connettere anche gli ambienti urbani con quelli agricoli e naturali. Dunque al valore della CO2 sequestrata occorre aggiungere, in questo caso, il valore della mitigazione climatica in riduzione dei consumi energetici, la ritenzione di umidità in termini di minore consumo di preziose risorse idriche, la salute fisica e mentale degli abitanti, il valore ricreativo degli ambienti; la conservazione della storia, della cultura e della bellezza del paesaggio oppure, per chi proprio non apprezza né valori etici né estetici, semplicemente il differenziale di valore che una proprietà immobiliare “nel verde” ha rispetto ad un'altra che ne è priva. Non si sottovaluti infine che la presenza di un'agricoltura ”urbana e suburbana” sana sotto il profilo ambientale e della salute umana, integrata territorialmente, socialmente e culturalmente con le comunità urbane, redditizia sotto il profilo economico, è forse l'unica chance per contenere un consumo di suolo a fini immobiliari divenuto travolgente nel decennio trascorso.

Accenno soltanto infine ai valori (consistenti in termini strettamente economici e talora incommensurabili se visti con una prospettiva allargata) connessi con la conservazione della biodiversità genetica agricola, cioè di quelle cultivar e razze animali create dall'uomo nel tempo per adattarle alle condizioni locali. Un patrimonio genetico, di cui l'Italia in Europa è il più forte depositario, a forte rischio di estinzione la cui conservazione non solo è stata definita strategica per l'agricoltura del futuro, che dovrà adattarsi a cambiamenti climatici intensi, ma anche capace di conservare saperi, culture e tradizioni del mondo agricolo e dell'alimentazione. Sono infatti proprio le aziende agricole di piccola e media dimensione e in particolare aziende biologiche e biodinamiche che dimostrano oggi maggiore sensibilità a questa funzione.

Chiudo evidenziando, sempre muovendomi in modo casuale tra i “servizi ecosistemici” connessi all'uso agricolo dei suoli, la funzione regolatrice che può assumere la pratica agricola virtuosa, sulla stabilità idrogeologica del territorio, conservando i fossi e i canali, utilizzando arature superficiali o non sovraccaricando i pascoli, mantenendo mosaicature di diversi usi agricoli (seminativi, orti, frutteti, pascoli, prati etc.) e presenza di aree con vegetazione naturale, etc.. Non farò calcoli sul valore di tale “servizio” mi limito a fornire alcuni dati sul costo medio annuo del ripristino riparazione del danno provocato da frane e smottamenti: 3 Miliardi! Ma sicuramente, e solo considerando quanto è avvenuto in Liguria e Toscana, nel 2011 tale cifra suona davvero molto sottostimata.

Quanto ho sopra enunciato assomiglia certamente più ad un presentazione concettuale che ad una analisi costi benefici di un progetto, ma ciò che mi pare emergere anche da questa limitata analisi è che il suo valore economico è consistente, duraturo, sostenibile, equamente distribuito e diffuso verso l'intera comunità nazionale, capace di dare una risposta alla crisi sociale determinata dall'uscita dal lavoro di decine di migliaia di addetti nel settore industriale e dal mancato ingresso nel lavoro di un'intera generazione. Una risposta che non implica privatizzazione di beni comuni o sottomissione ad astratte regole mercantili e che è ancora possibile ottenere, a dispetto della norma varata da Monti, se le organizzazioni e le associazioni della galassia sociale che fino ad oggi si è mobilitata saprà allargare l’orizzonte della sua proposta e se gli enti territoriali saranno spinti ad imporlo alle agenzie del Demanio in virtù del ruolo loro riconosciuto dal decreto.

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