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Vittorio Emiliani
Svendite e speculazioni. Il pasticcio del demanio federale
28 Aprile 2010
Articoli del 2010
Anche il federalismo all’italiana serve per proseguire la privatizzazione dei beni pubblici. L’Unità, 28 aprile 2010

l decreto in discussione sul federalismo demaniale dovrebbe essere il più «leggero» dei tre previsti per attuare il federalismo fiscale. Ma rischia di finire in secca o di venire approvato chiudendo gli occhi sul baratro. Esso trasferisce, in modo «non oneroso», agli Enti locali spiagge, rade, lagune, laghi, foci di fiumi, aeroporti regionali, miniere, terreni agricoli inutilizzati, caserme, edifici che non siano «di valore culturale» (concetto già ambiguo, chi stabilisce quel valore?), ecc. Secondo stime attendibili, lo stock immobiliare pubblico è pari a 1 miliardo di mq, circa il 20 % del totale nazionale. Tempo massimo per il varo del decreto: il 21 maggio. I lavori della Bicamerale tuttavia sono appena cominciati, fra non pochi ostacoli. Ma la Lega preme, senza posa.

Le prime osservazioni inquietanti provengono dal Servizio bilancio della Camera: il gigantesco trasferimento demaniale può «far affievolire gli strumenti di garanzia dello Stato» impedendo anche di destinare i proventi delle dismissioni alla riduzione del debito pubblico. Gli enti locali infatti, a differenza dello Stato, non sono obbligati a ripianare con essi il debito. Potrebbe così peggiorare il «saldo di bilancio strutturale della Pubblica Amministrazione». Ci manca solo questo. Ma il ministro Calderoli semplifica: niente paura, avanti verso il federalismo. Lui e Bossi hanno fretta.

Il fine di questo colossale trasferimento di demanio? La sua «valorizzazione». Termine dei più ambi- gui. «Finora, valorizzare ha voluto dire dismettere», dichiara al Sole 24Ore il presidente del Consiglio Superiore dei LL.PP, Franco Karrer. I Comuni, del resto, indebitati dalla demagogica soppressione dell’Ici sulla prima casa, saranno portati a vendere il prima possibile. Purtroppo il mai abbastanza deprecato Titolo V della Costituzione ha separato tutela e valorizzazione, anche se poi si è cercato di ricucire i due termini. Proprio il Codice dovrebbe essere una garanzia contro svendite e speculazioni irresponsabili nei Comuni con l’acqua alla gola. Ma dove sono i piani da esso previsti? La suprema Corte ha ribadito, in gennaio, che non si possono variare a piacimento i piani urbanistici né derogare da essi per alienare beni demaniali (lo permetteva un Dl Berlusconi del 2008). Per ora, tuttavia, vanno avanti soltanto i Piani Casa imposti da Roma. In Sardegna quello del centrodestra, detto Piano Cemento, punta a far saltare i validi piani paesaggistici della giunta Soru. Insomma, dove non ci sono, i Piani non si fanno, e dove c’erano, si fanno saltare. Fossi nel Pd, indurirei subito l’opposizione a questo pasticciato e pericoloso demanio federale. Con esso Bossi e Berlusconi ci portano verso il precipizio.❖

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