Si farà davvero il ponte sullo stretto di Messina? Sembrerebbe di sì. Il governo ha appena varato il bando per cercare il general contractor dell´immensa opera, in pratica il regista di tutti i lavori, che saranno poi necessariamente subappaltati a varie imprese. Insomma, ci siamo. L´opera più colossale mai pensata in Italia, e probabilmente la seconda in Europa, sta per partire sul serio? Sì e no.
Sì, nel, senso che le cose andranno avanti e forse si arriverà persino a sradicare qualche albero, a spianare un po´ di terreno e a mettere giù un paio di prime pietre in tempo per le elezioni del 2006, con ministri e presidenti con in testa il casco giallo da muratori. No, nel senso che secondo me non vedremo mai le auto e i camion sfrecciare sullo stretto di Messina. In compenso molti soldi saranno spesi comunque. Forse addirittura moltissimi.
Ma cerchiamo di capire perché, nonostante tutto, la ciclopica opera non vedrà la luce.
Intanto c´è il problema del senso dello Stato. Che c´entra con il cemento, il tondino di ferro e i mattoni? C´entra. Un´opera del genere richiede almeno una decina d´anni di lavoro e quindi richiede che ci sia o una classe politica totalmente convinta sulla necessità di fare questa cosa oppure una classe burocratica (nello Stato) molto solida, molto sicura, molto determinata.
Ebbene, i politici italiani non mi sembrano proprio convinti come un sol uomo che questo ponte va fatto. Anzi, circolano parecchi dubbi, soprattutto a sinistra, dove l´idea di gettare nove miliardi di euro (quasi venti mila miliardi di vecchie lire) in un manufatto di dubbia utilità e necessità non trova molti consensi.
Nel caso (probabile) di un cambio di governo nel 2006, quindi, il ponte di Messina dovrebbe essere una della prima cose che verranno gettate a mare. Ma anche nel caso in cui dovesse rivincere il Polo non è detto che ci sia più la stessa determinazione di oggi nel proseguire i lavori. Gli anni che ci attendono non sono certo molto brillanti. Verranno a galla nuovi conflitti sociali e arriveranno in primo piano parecchie altre emergenze. Ad esempio, visto che siamo da quelle parti, la questione degli acquedotti siciliani.
Rimarrebbe la classe burocratica, eventualmente decisa a portare avanti un mandato ricevuto da questo governo («fare il ponte»). Ma non direi che in Italia abbiamo questo tipo di burocrazia. Anzi, qui da noi, magari, già adesso i solerti burocrati sono lì che cercano di tirare tardi per evitare di doversi misurare con un problema che rimane comunque grosso e quindi potenzialmente pericoloso.
Ma, anche ammettendo che in un modo o nell´altro l´impresa vada avanti, è assai difficile che qualcuno di noi possa mai sfrecciare sul quel ponte. Infatti, se non lo faranno i politici e la burocrazia, il ponte si affonderà da solo, come un dinosauro troppo stanco per andare in giro a cercare foglioline tenere.
Nel caso del ponte, le foglioline tenere sono i soldi, miliardi di soldi. Si è detto che l´immane opera costerà nove miliardi di euro. Si tratta di una cifra colossale (un decimo basterebbe per salvare l´Alitalia e per sistemare non so quanti acquedotti siciliani). Ma, come l´esperienza ci insegna, questo è solo il costo «adesso», in fase di progetto. Poi, nell´arco di tempo dedicato all´eventuale realizzazione del manufatto, è evidente che tutti i costi saliranno (l´acciaio, ad esempio, è già aumentato in misura enorme). E quindi anche il costo complessivo dell´opera lieviterà. Impossibile immaginare uno scenario diverso. Non è mai successo. Alla fine, ben che vada, verrà a costare il doppio.
E da dove salteranno fuori tutti questi soldi? Ma, si dice, dal project financing. L´opera cioè in parte (forse per il 50 per cento, si dice) si finanzierà da sé. Sarà una specie di miracolo. Una moderna moltiplicazione dei pani e dei pesci. Si finanzierà, si dice, attraverso i futuri incassi dei pedaggi per i transiti sul ponte. Fantastico. Le banche anticipano i soldi, e poi questi verranno restituiti, anno dopo anno, grazie agli incassi.
Mi sembra di sentire la storia dell´Eurotunnel sotto la Manica. Anche quello, nell´idea dei promotori, doveva finanziarsi da sé, attraverso i pedaggi per i transiti fra il Continente e la Gran Bretagna. Sulla carta tutto era chiaro e semplice. Tot pedaggi per tot anni e l´Eurotunnel è pagato. Peccato che tot per tot non sia successo o che sia successo in misura molto inferiore al previsto. L´Eurotunnel è già fallito un paio di volte e non so quanto è costato alla fine ai governi interessati.
Insomma, quando si ha molta voglia di fare queste opere ciclopiche si trovano sempre ingegneri che spiegano che farle costa poco. E finanzieri che spiegano che con un buon project financing tutto va a posto senza che lo Stato debba tirar fuori una lira. Peccato che poi, come da tradizione, nelle grandi opere ci sia sempre qualcosa che va storto. I preventivi saltano, i viaggiatori che nei progetti iniziali dovevano pagare il tutto non si fanno vedere e migliaia di tonnellate di cemento rimangono a carico dello Stato, delle Regioni, delle province e dei comuni interessati. Quindi non ci sarà la corsa a finanziare il ponte. Dopo l´Eurotunnel tutti si sono fatti un po´ più svegli.
Insomma, il ponte (se mai si arriverà a tentare di farlo davvero) andrà giù da solo, ancora prima di essere costruito. A noi spettatori, pro quota, toccherà pagare il conto del cemento, del tondino di ferro e dei mattoni, per quel poco o tanto che si sarà fatto prima di dire «Basta».
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