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Guglielmo Epifani
Sulla pelle dei lavoratori
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
L’Italia potrà diventare un paese confrontabile con i paesi dell’Europa evoluta se l’amministrazione pubblica diventerà autorevole, efficace, qualificata. Il governo va nella direzione opposta: non è questione di destra e sinistra, ma di qualità della vita e del “sistema”. Da l’Unità del 29 marzo 2005

La vicenda del rinnovo dei contratti pubblici acquista, ora dopo ora, toni dai contorni grotteschi e inquietanti.

Come è noto i contratti di lavoro di tutti i settori del pubblico impiego, della scuola, sono scaduti da quindici mesi. Per medici, veterinari, dirigenti e ricercatori siamo a un ritardo di quasi quattro anni. Di fronte a questa situazione il governo prima ha rifiutato qualsiasi apertura di un tavolo.

E solo dopo tre scioperi generali ha accettato l'idea di aprire un confronto. Il sindacato si aspettava da parte del governo quel passo in avanti decisivo per arrivare alla stretta finale. Il sindacato, unitariamente, ha dato la propria disponibilità a provare a concludere rapidamente un rinnovo che non può aspettare ancora. Il governo, invece di dare continuità e concretezza al tavolo, invece di presentarsi con una proposta, apre la strada al caos con dichiarazioni di questo o di quel partito della maggioranza, di questo o di quel ministro che tra disponibilità apparenti e repentine marce indietro, lasciano trasparire divisioni profonde.

Il presidente del Consiglio ritorna addirittura a proporre quella cifra di aumento contenuta in Finanziaria (95 euro) che i sindacati hanno già bocciato e che altri esponenti del governo, invece, considerano superabile. Da tutto questo emergono alcune considerazioni che vanno fatte con la massima fermezza.

La prima. Il clima preelettorale gioca in maniera irresponsabile sulle condizioni, le aspettative, i diritti dei lavoratori pubblici. È evidente lo scopo elettoralistico delle dichiarazioni dei giorni scorsi, così come sono evidenti anche gli elementi di divisioni che hanno frenato fino ad oggi qualsiasi conclusione della vicenda.

La seconda. Tutto il governo deve sapere che per quanto riguarda il sindacato, la disponibilità a raggiungere un accordo si muove nell'ambito di un passo in avanti che il governo deve fare rispetto all'ultima proposta: se la proposta resta quella già fatta, non restano margini per concludere un accordo. Il sindacato ha dato la sua disponibilità a muoversi dalle sue posizioni iniziali nella fase di mediazione, ma queste - anche nella loro ragionevolezza - non possono che venire dopo un'analoga presa di posizione esplicita da parte del governo.

La terza. È evidente che si gioca una partita interna al governo molto pesante e molto delicata. Ma il risultato di queste divisioni, ad oggi, è quello di aver congelato qualsiasi prospettiva di rinnovo del contratto e condannato i lavoratori pubblici alla fase di incertezza in cui essi vivono.

Questa divisione nasconde sostanzialmente l'esistenza, allo stato maggioritaria, di scelte del governo, avallate dal presidente del Consiglio, tese a considerare il lavoro pubblico ed il rinnovo del contratto un costo, un intralcio alla politica di bilancio e all'azione dell'esecutivo. Il lavoro pubblico non è visto, in questa cultura, come un elemento sul quale costruire una politica di ammodernamento e di qualità del ruolo del lavoro pubblico e del funzionamento di tutti i servizi pubblici. Ma unicamente come un onere, un onere da sopportare, un onere da comprimere e un onere al quale non rispondere con risultati concreti.

Tutto questo rende la situazione francamente non accettabile e non condivisibile. Il rinnovo del contratto di lavoro è un diritto che i lavoratori italiani hanno conquistato e che intendono mantenere, anche sulla base degli accordi pattuiti all'inizio degli anni novanta. Non è vero che i lavoratori pubblici in questi anni, se si prende a riferimento un periodo di tempo significativo, hanno aumentato la loro quota di reddito rispetto alla crescita del Pil italiano, mentre è evidente che per ogni fase di attesa si comprimono i loro salari e le loro condizioni. Inoltre tutta la riforma della pubblica amministrazione, tutta l'azione di delegificazione, di contrattualizzazione del rapporto di lavoro è stata in questi anni - da parte delle scelte di questo governo - fortemente compromessa.

Questo balletto di dichiarazioni mostra chiaramente che il rinnovo del contratto diventa merce ed oggetto di un contenzioso esclusivamente politico. Non c'è più un ruolo dell'Aran, dell'Agenzia che per legge è deputata ad affrontare queste questioni, non c'è stato né c'è nessun coinvolgimento degli Enti locali e delle Regioni, indispensabili per sottoscrivere intese che riguardano il contratto della Sanità e degli Enti locali. Tutto questo rappresenta un visibile, inquietante passo indietro rispetto agli aspetti riformatori del decennio precedente.

Il governo lede un diritto dei lavoratori, non riconosce il valore del lavoro pubblico, dei servizi pubblici essenziali nella loro funzione fondamentale per i cittadini e - contemporaneamente - reintroduce un interesse di parte, di schieramento, di singola forza politica, nell'ambito delle scelte che riguardano i lavoratori pubblici. Altro che processi di riforma e di modernizzazione del Paese: si ritorna ai tempi bui della storia della nostra Repubblica, quando i contratti di lavoro venivano considerati, né più né meno, come elementi di scambio.

Abbiamo già detto - in occasione dell'ultimo sciopero generale - che o il governo cambiava registro e si comportava correttamente o si sarebbe aperta una fase di ulteriore confronto e di ulteriore scontro. Il governo non sembra aver capito la posizione molto seria e responsabile del sindacato confederale e sceglie - ancora una volta - una strada che porta allo scontro e all'utilizzo improprio delle posizioni di chi lavora in settori fondamentali delle funzioni e dei servizi pubblici.

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