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Eugenio Scalfari
Su tutti gli schermi il corpo del re
29 Gennaio 2006
I tempi del cavalier B.
Su la Repubblica del 29 gennaio 2006, un commento degli ultimi colpi di coda (speriamo) dell’energumeno, e un gustoso sonetto di G.G. Belli

IL FATTO più rilevante della giornata di ieri è stato la lettera che il presidente Ciampi ha inviato al presidente della Commissione di vigilanza della Rai con la richiesta che la «par condicio» entri in vigore da subito in tutte le trasmissioni della televisione pubblica, garantendo il pluralismo e la parità delle parti politiche e impedendo che i teleschermi e le radio siano monopolizzate da un solo partito o addirittura da un solo personaggio.

L´iniziativa di Ciampi è stata approvata da tutti, con la sola differenza che il centrodestra ha escluso di esserne il destinatario e soprattutto che l´indiziato principale di quel messaggio fosse Silvio Berlusconi. Ormai è una tecnica collaudata da tempo: Ciampi parla, il Polo continua come se le parole del Presidente non lo riguardassero.

Quanto a Berlusconi, il suo lapidario commento è stato: «La par condicio è una legge iniqua e illiberale».

Così lo scontro istituzionale appena sopito sulla data di scioglimento delle Camere torna più che mai a riproporsi tra Ciampi custode delle regole democratiche e il picconatore che vuole distruggerle ed è già abbastanza avanti in questo perverso disegno.

La situazione deve infatti essere arrivata ad un livello di gravità molto preoccupante se il Capo dello Stato ha deciso di intervenire rivolgendosi ad uno specifico organo di vigilanza parlamentare. Si è trattato di un messaggio vero e proprio che il Quirinale ha facoltà di inviare in qualunque momento e su qualsiasi argomento al potere legislativo; dal punto di vista costituzionale la lettera di Ciampi è dunque assolutamente corretta. Ciò non toglie che si tratti d´uno strumento straordinario, proporzionato alla eccezionalità creata da un presidente del Consiglio che ormai da venti giorni occupa gli spazi radiofonici e televisivi come mai era accaduto non solo in Italia ma in nessun´altra parte del mondo.

Temo purtroppo che anche questo estremo appello cadrà nel vuoto. La maggioranza parlamentare, ovviamente presente in forze sia nella Commissione di vigilanza sia nel Consiglio d´amministrazione della Rai, tirerà per le lunghe con tutti i pretesti possibili.

Quanto ai singoli conduttori delle varie trasmissioni, continueranno a subire o addirittura a incoraggiare la presenza di Berlusconi nelle trasmissioni di loro pertinenza, contrapponendogli interlocutori attentamente selezionati, giornalisti intimiditi o se stessi in veste di unico contrappeso. Fino a quando la legge entrerà finalmente in vigore dopo altri quindici giorni da oggi di manipolazione massiccia del corpo elettorale.

* * *

In che cosa consiste l´invasione della radio e delle televisioni da parte di Berlusconi? C´è un contenuto, un programma, un´affermazione di valori, un´indicazione di strumenti per realizzare concreti obiettivi? O almeno la dimostrazione che buona parte degli impegni assunti con tanta enfasi cinque anni fa è stata adempiuta? Alcuni brandelli di queste cose spuntano di tanto in tanto come discontinui sprazzi dietro una spessa cortina, ma il vero e sostanziale contenuto di quella presenza è l´esibizione del corpo del Re. Quel corpo trasuda energia, ottimismo, capacità taumaturgiche, muscolatura mentale, umori, buona fortuna, sicurezza. E anche odio per il nemico e sopportazione paziente degli alleati, disprezzo per le regole, noncuranza per le opinioni altrui. Logorrea. Luoghi comuni. Barzellette grevi. Sessuologia da taverna.

Megalomania.

E due messaggi martellati senza risparmio: il pericolo del comunismo incombente, l´immoralità della sinistra.

Questo è il messaggio che il corpo del Re comunica dai televisori da lui saldamente occupati. Un messaggio, come ha scritto Gad Lerner in un articolo dell´altro ieri, pre-politico, anzi antipolitico. Non lo ha confermato lui stesso nel profluvio di parole con le quali sommerge ogni giorno ed ogni sera i malcapitati ascoltatori? «Io odio la politica e odio la televisione. Ma sono costretto a far politica e ad apparire in televisione perché debbo salvarvi dal comunismo». Gliel´ha detto la mamma che già dieci anni fa sognò il drago che minacciava di distruggere e ingoiare la Penisola e che solo un San Giorgio con la spada lucente avrebbe potuto sconfiggere. Quel San Giorgio era lui e non poteva essere altri che lui.

Così, recalcitrante, scese (scese) in politica. Trasse dal nulla un partito, sconfisse l´avversario. Ma l´avversario, come Satana, è risorto dalla polvere, è più potente che mai, controlla la magistratura, l´università, la scuola, le banche, le imprese, i sindacati, la burocrazia, le case editrici, i giornali e perfino la televisione. Più lo sconfiggi e più si ripresenta potente e minaccioso; perciò la sua fatica deve ogni volta ripetersi. Ma lui c´è. Lui non diserta. Lui vincerà ancora con a fianco la mamma, i figli di primo letto, i figli del secondo. La sposa nello sfondo, forse appena un po´ perplessa ma (per sua fortuna) silente.

Questo comunica il corpo del Re. Sembra una favola, di quelle che si ascoltano a bocca aperta come tutto ciò che sconfina dal reale nel fantastico.

Per alcuni è una favola bella a lieto fine. Per altri un inganno che può far perdurare il disastro che abbiamo ogni giorno dinanzi agli occhi. La conclusione è che si finisce col parlare soltanto di lui. Per inneggiarlo o vilipenderlo, non importa. Lui questo vuole: che il suo corpo sia al centro del dibattito e al massimo della visibilità.

Siamo ai confini della nevrosi. Prodi ha detto: tra poco venderà perfino i tappeti in televisione. Vedremo sicuramente anche questo, anzi l´abbiamo già visto: sono cinque anni che rifila agli italiani falsi tappeti persiani come fossero veri. Molti ci sono cascati e molti ci cascheranno ancora perché non sempre l´esperienza insegna e non sempre la memoria soccorre. Il potere poi, chi ce l´ha sa come farlo fruttare a proprio vantaggio. Lui e i suoi lo sanno.

Lo sapevano anche prima. Per questa ragione non era vero ciò che a un tempo la bella Iva Zanicchi consigliava dalle televisioni del «boss»: «Proviamolo, facciamolo governare e poi, se non funziona, lo rimanderemo a casa».

Non era vero nemmeno quello che diceva Montanelli: «Il solo vaccino contro la malattia berlusconiana è di iniettarsela. Poi saremo tutti definitivamente vaccinati». Non è così.

Quando te la sei iniettata rischi di renderla cronica quella malattia anziché vaccinarti contro di essa.

Non andrà così, ma potrebbe anche accadere.

***

Sempre ieri – altra notizia non da poco – l´anno giudiziario è stato aperto nei distretti di tutte le Corti d´appello italiane e il giudizio dei presidenti e dei procuratori generali è stato unanime: la giustizia non funziona come dovrebbe nel nostro Paese. È terribilmente lenta, i processi civili e penali si accumulano, i reati impuniti aumentano, la sicurezza pubblica non è affatto migliorata. Il governo, anziché tentare di migliorarla, ne ha scompaginato l´ordinamento con una raffica di leggi improvvisate, talvolta contraddittorie, spesso tendenti soltanto a sottrarre alla giurisdizione il corpo del Re.

Questo trattamento sussultorio, per di più affidato alle mani d´un ministro arrogante quanto incapace, ha ridotto la magistratura italiana allo stremo, lasciando i cittadini privi del più importante tra i servizi che lo Stato dovrebbe organizzare a loro vantaggio.

Se il corpo del Re rappresenta lo Stato, per quanto riguarda la giustizia esso è già imputridito da tempo. Non ci fosse un mucchio di altre ragioni, questa basta e avanza per rimuoverlo.

Mi prendo la licenza di riprodurre ancora una volta (lo feci già qualche anno fa ma i tempi mi sembra che lo richiedano) un sonetto del grande Gioachino Belli che fa al caso nostro. Eccone il testo.

C´era ´na vôrta un re, cche ddar palazzo

Mannò ffôra a li popoli st´editto:

Io so´ io, e vvoi nun zete un cazzo,

Sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto!

Io fo ddritto lo storto e storto er ddritto;

Pôzzo venneve a tutti a un tanto er mazzo;

Io, si vv´impicco nun ve fo strapazzo

Che la vita e la robba io ve l´affitto.

Chi abbita a ´sto monno senza er titolo

O dde papa o dde re o dd´imperatore,

Cuello nun pô avé mmai vosce in capitolo.

Co st´editto annò er bojja pe ccuriero

A interrogà la ggente in zur tenore

E arisposero tutti: è vvero! è vvero!

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