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Marcon. Giulio
Srebrenica, una vergogna incancellabile
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
10 anni fa la strage, sotto gli occhi dell'Occidente. Una vergogna da ricordare. Da il manifesto del 10 luglio 2005

È passato molto tempo, ma il ricordo è ancora indelebile. Dieci anni fa nei primi giorni del luglio del 1995 (due mesi prima che finisse la guerra in Bosnia) le truppe serbo-bosniache di Mladic e Karadzic assediarono ed espugnarono Srbrenica, una delle cinque città bosniche che erano state dichiarate «zona protetta» dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Protetta - si fa per dire - da poco meno di 100 caschi blu olandesi e abbandonata - per un segreto accordo di scambio di territori - dalle truppe del governo musulmano. Da tre anni la Bosnia -Erzegovina era insanguinata da stragi, pulizia etnica, violazione continua dei diritti umani ai danni della popolazione civile: quello di Srbrenica fu l'ennesimo massacro e una irredimibile vergogna per la comunità internazionale. Quello che successe fu lo sterminio di migliaia di persone - soprattutto donne, vecchi, bambini- molte ammassate in fosse comuni, mentre altre migliaia, dopo un esodo di giorni arrivarono a Tuzla e in altre città della Bosnia. La comunità internazionale - cioè l'Onu, l'Unione europea, i governi - assistette inerte all'orribile massacro della popolazione civile e ad un altro atto della pulizia etnica che già aveva devastato la Bosnia e tutta la ex-Jugoslavia. L'allora capo delle missioni di pace dell'Onu - Kofi Anan - aveva chiesto 35.000 soldati per difendere le «zone protette». Il Consiglio di sicurezza di allora ne concesse solo 7.600, prevalentemente concentrati a Sarajevo, Bihac e Tuzla. A Srbrenica, ne arrivò solo un centinaio. Eppure solo pochi mesi dopo la comunità internazionale non faticò a mandare negli stessi posti 60.000 soldati per garantire gli accordi di Dayton. E oggi 150.000 soldati americani e occidentali - e non solo - sono in Iraq per per garantire la sicurezza della fase post-bellica, o - meglio - la continuazione della guerra sotto altre forme.

Di fronte a Srbrenica molti si commossero, molti si vergognarono per l'impotenza e l'ipocrisia con cui la comunità internazionale non aveva saputo impedire quest'altro sterminio, che seguiva le tanti stragi di Sarajevo, l'assedio di Mostar est (questo, ad opera dei croato-bosniaci), la strage di Tuzla di solo due mesi (maggio `95) prima, dove una granata delle milizie serbo-bosniache aveva ucciso quasi 100 giovani e adolescenti nella piazza principale della città. Molti allora incolparono l'Onu (in realtà anche la Nato e l'Europa non mossero un dito) e i giornalisti Dizdarevic e Riva erano già al lavoro per scrivere il loro libro «L'Onu è morta a Sarajevo», che avrebbe avuto in Srbrenica il degno e drammatico epilogo. In realtà la colpa fu dei paesi del Consiglio di Sicurezza e della Comunità europea che, prima alimentarono i nazionalismi e la guerra in Jugoslavia e poi assistettero impotenti e complici al dramma. La guerra in Jugoslavia fu così utilizzata non solo per distruggere la pace e la convivenza multi-etnica, ma anche per screditare e killerare l'Onu e rendere più difficile e contraddittorio il processo di costruzione europea. La guerra in Jugoslavia e Srbrenica fecero comodo a molti campioni della realpolitik e della geo-politica dei paesi potenti.

A 10 anni di distanza, giustizia non è stata ancora fatta, e - inevitabilmente - nessuna pace duratura si è consolidata in Bosnia e in ex-Jugoslavia. Nessuno ha chiesto perdono e nessuna riconciliazione sarà possibile finché verità, giustizia e pace non troveranno il loro riconoscimento. Ma Srbrenica interroga anche noi - pacifisti, sinistra, movimenti - spingendoci ad uscire da atteggiamenti ideologici e sbrigativi, di semplice rifiuto o denuncia. Le «nuove guerre» non si affrontano in modo semplicistico, dogmatico o da «tifosi», in cui scegliere da che parte stare, se essere filo questi o filo questi altri. L'unica parte con cui stare era e sono le vittime della guerra, i pacifisti e gli anti-nazionalisti, le comunità multi-etniche che volevano difendere la loro identità. A questi interrogativi i pacifisti erano e sono chiamati a rispondere non solo con le pratiche sul campo - la solidarietà e l'aiuto - ma con la politica. Allora cercammo di farlo: proponemmo (fu un'ipotesi avanzata da molti: l'Arci, l'Associazione per la pace, l'Ics, il manifesto) di «invadere» la Bosnia con 100.000 caschi blu dell'Onu con il mandato di usare la forza per difendere non solo gli aiuti umanitari ma anche le popolazioni civili. Se fosse stato fatto, forse non ci sarebbe stata Srbrenica. E, se fosse stato fatto nel 1991, nemmeno la guerra in ex-Jugoslavia.

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