Il manifesto, 25 gennaio 2014
Non sappiamo dire perché pur partendo da analisi profonde e condivise della grave malattia che rischia di inghiottire l’Europa nel destino weimariano, le sinistre plurali non riescano a unirsi in una lista comune a sostegno della candidatura di un leader europeo come Alexis Tsipras. Né dire perché un sindacato italiano come la Cgil, presente nelle assise di Sinistra ecologia e libertà con Camusso e Landini, pur invocando una risposta keynesiana ai vincoli catastrofici dell’austerità non sappia offrire una risposta unitaria al dramma del lavoro ormai ridotto a merce. Ma è questo quadro di spaccature e divisioni che ci viene restituito dalla tribuna congressuale di Sel.
Il partito di Nichi Vendola ieri lo ha ascoltato nella lunga e appassionata relazione che appunto si concludeva con il no all’adesione alla lista italiana per Tsipras e il sì alla presentazione del proprio simbolo con l’indicazione di sposare la scelta del Pse e di conseguenza di Martin Schulz come candidato alla presidenza della Commissione europea. Con una fortissima probabilità di non superare, né gli uni né gli altri, quella soglia del 4 per cento necessaria per entrare nel parlamento europeo. Uno scenario che abbiamo purtroppo conosciuto esattamente quattro anni fa, alle elezioni europee del 2009 quando l’astensionismo superò il 7 per cento, le destre avanzarono, la sinistra arretrò, lasciando Rifondazione e Sel fuori da Strasburgo. Anche allora il manifesto provò a indicare la via di una lista unitaria fuori dalle litigiosità partitiche, l’appello restò inascoltato e fummo facili profeti dello sventurato risultato. Oggi, con la maturità del giovane leader di Syriza, sarebbe stato possibile (e speriamo ancora possa essere) arrivare uniti alla meta delle elezioni.
Naturalmente non è semplice operare nel vivo delle storie personali e collettive che in questi anni hanno separato il nostro campo. Vendola ha ragione quando ricorda che una nuova sinistra pretende un discorso di verità, che la sconfitta perdura, che arrendersi alla fatalità delle larghe intese anche in Europa significa considerare Schulz come un avversario anziché come un alleato. Più difficile da questo dedurne che allora «Sel non deve avere paura di andare con il suo simbolo alle europee».
La scelta di alzare le bandiere di partito viene replicata quando si atterra nello scenario italiano. L’attacco al Pd di Renzi è netto. Il segretario-sindaco «ignora proprio il senso delle primarie», ha sostituito la «procedura democratica con la velocità del comando», la sua polemica contro i piccoli partiti «nasconde la bulimia dei grandi», la legge elettorale concepita in profonda sintonia con Berlusconi è «un’intesa opaca con il berlusconismo». Il Pd resta un interlocutore, ma l’alleanza «non è una condanna».
La botta, elettorale e personale, che ha colpito un partito e un leader, ambiziosi e fragili, si fa sentire e c’è voglia di «toglierci il lutto». Vale la lezione di Calamandrei e dei piccoli numeri del partito d’Azione, o quella di due grandi sconfitti, Ingrao e Gramsci, figure dell’album citato da Vendola. Per dire, come scrive Corrado Stajano concludendo il viaggio nella “Stanza dei fantasmi”, che la speranza nella speranza è sì difficile, ma anche doverosa