La politica oggi è fatta di immagine, dichiarazioni, slogan, e va bene così.
Infatti quando si è scarsini su quel fronte, nonostante risultati molto tangibili e concreti, il consenso latita, i voti se ne vanno altrove, la gente mormora anche se non ne avrebbe alcun motivo. Giusto. Partecipazione e trasparenza vuol dire poter capire al volo cosa succede anche senza essere esperti, e uno slogan, una immagine, funzionano. Però anche, non invece.
Prendiamo una piccola, piccolissima cosa, che poi non è affatto piccolissima a guardarla bene, ovvero la faccenda delle biciclette.
La giunta comunale milanese uscente e (per fortuna) uscita, durante la campagna elettorale aveva puntato anche su una propria strategia (se vogliamo chiamarla così) sulla mobilità ciclabile. Non solo il modaiolo bike-sharing, ma anche le nuove piste, inserite in quello che sindaco Moratti e garrulo assessore Masseroli declinavano come nuovo modello di spazio urbano condiviso: tutte le strade alle auto, e pedoni e ciclisti a farsi la guerra tra poveri nelle striscioline residue. Si facevano anche fotografare mentre pitturavano sinistre sagome gialle per terra. Beh: sappiamo come è andata a finire, ovvero che i cittadini badano all'immagine, ma pure alla sostanza, e li hanno bocciati.
Adesso comanda il socialismo, ogni mattina sorge il sole dell’avvenire dalle guglie del Duomo, e coi primi cento duecento e qualcosa giorni si capisce che davvero tutto è cambiato. Ad esempio col gesto drastico di sollevare dall’incarico ai vertici dell'Azienda Trasporti il potente Elio Catania, troppo esoso e troppo partigiano. Appunto la politica è fatta anche di dichiarazioni e di immagini: ma il prossimo signor o signora X che si siederà sulla poltrona ex Catania, che ci starà a fare oltre a prendere meno stipendio e non fare propaganda per l’opposizione? Forse c’è una piccolissima cosa che – fra le migliaia di altre – potrebbe fare. Ed è lasciare che qualcuno dei suoi sottoposti di prima, seconda, terza fila, porti avanti l’idea di far salire le bici sui mezzi pubblici. Suona poco strategico? Marginale? O peggio lobbistico, cose che riguardano una esigua minoranza che pretende troppo?
Non è affatto così. Si verifica in tutte le città del mondo come qualunque intervento, per quanto minuscolo, a migliorare infrastrutture e organizzazione della mobilità dolce, porti a una crescita sproporzionata degli utenti, segno che esiste una forte, fortissima domanda latente. E del resto il solo fatto che a Milano qualcuno si sposti in bicicletta per studio e lavoro è un chiarissimo segno di questa potenzialità. C’è però – lo sottolineano prima o poi tutti – il guaio della enorme discontinuità di percorsi, che non deriva semplicemente dall’assenza di piste dedicate, ma da altri ostacoli, di attraversamento, dislivelli, interferenza anche pericolosa con altro traffico ecc. Naturalmente si tratta di difficoltà gestibili con un po’ di impegno su percorsi relativamente brevi, ma che si moltiplicano all’infinito con l’allungarsi del tragitto. Ma se si potesse salire sul tram? Pagando quei cinquanta centesimi in più che fra mille polemiche sulla mazzata ai ceti deboli sono stati comunque imposti?
Sicuramente esiste un motivo “tecnico” per cui se cerco di portarmi sul tram, o sulla metropolitana, la bici, un gentile funzionario mi sbatte fuori, manco fossi Rosa Parks negli Usa segregazionisti anni ’50. Ma un ostacolo tecnico è per sua natura risolvibile, e questo magari neanche tanto difficile, per i dirigenti e responsabili che sostituiranno la gestione Catania. Nella sua lettera al manifesto (la riporto sotto) del 31 luglio spiega correttamente che l’aumento del prezzo del biglietto è una scelta resa obbligata dagli strascichi dell’amministrazione precedente e dal contesto economico nazionale. Fin qui nulla da eccepire. Poi aggiunge anche che in termini di mobilità ciclabile si lavorerà su bike-sharing e piste. Anche qui, scelte giuste, e però. Però da un lato sembrano una specie di scelta business as usual, e dall’altro paiono pure settoriali. A Parigi col Velib si effettuano il 2-3% degli spostamenti, a Copenhagen in bici si muove il 40%, una bella differenza, no? Che deriva anche dall’affrontare la questione in termini di sistema: si integra DAVVERO tutto ciò che non è mobilità automobilistica.
A partire esattamente dalla correzione dell’errore, del peccato originale di cultura segregazionista spaziale: qui i vasi non comunicanti della ferrovia veloce, qui quelli delle corsie automobilistiche, qui i sottopassi pedonali, lì le passerelle ciclabili … una enorme serie di infiniti insostenibili investimenti in opere che alla fine producono apartheid, insicurezza, costi di manutenzione, sacche di estraneità relativa e rispetto al tessuto dei quartieri. E invece, oltre a subire i danni dell’amministrazione Moratti, ci si potrebbe appropriare di una sua eredità, ovvero l’idea degli spazi condivisi, certo stavolta non declinata a scopi ideologici ed elettorali. Sindaco e garrulo assessore invitavano pedoni e ciclisti a adattarsi alle strisce residue ai margini della carreggiata dedicata alle onnipresenti automobili. Oggi si potrebbe iniziare a concepire una rete viva di mobilità integrata che si autoalimenta attraverso gli utenti, e via via in parallelo restringe gli spazi fisici e di legittimità del veicolo privato. A partire dall’accesso dei ciclisti ai mezzi pubblici anche nei giorni lavorativi. Anche questa a modo suo è una forma di rivendicazione di diritti di cittadinanza. In altre parole, attacchiamoci al tram, visto che ce l’hanno lasciato!
Il manifesto, 31 luglio 2011
L’aumento del tram è targato Moratti
di Giuliano Pisapia
A proposito dell’articolo «Pisapia azzera i vertici dell’Atm ma aumenta il biglietto del tram», sono costretto a fare alcune precisazioni. Credo non vi possano essere dubbi sul fatto che la giunta di Milano avrebbe ben volentieri fatto a meno di aumentare il prezzo del biglietto del tram e di introdurre l’addizionale Irpef. Purtroppo, però, l’aumento del biglietto era già previsto nel bilancio della giunta Moratti ed era imposto da una legge regionale. Inoltre l’introduzione dell’addizionale Irpef era di fatto obbligatoria per far fronte a una voragine nei conti ereditata dalla giunta Moratti e dalla manovra di governo.
Se non fossimo intervenuti su un bilancio disastrato, saremmo stati costretti a un drastico taglio dei servizi e a fine anno, non rispettando il patto di stabilità, sarebbero scattati gli ulteriori tagli previsti anche dall’ultima manovra del governo Berlusconi (circa 500 milioni di Euro in meno Milano). L’addizionale introdotta aMilano è comunque la più bassa d’Italia e il numero degli esenti è il più alto (circa 2/3 dei milanesi, quelli con minor reddito, non pagheranno). Inoltre nel provvedimento che sarà approvato dal Consiglio comunale la prossima settimana sono previste specifiche agevolazioni fiscali per anziani e disabili.
Per quanto concerne il costo del biglietto, anche al fine di incentivare l’uso dei mezzi pubblici, abbiamo escluso da ogni aumento gli abbonamenti (utilizzati per lo più dai lavoratori e dagli studenti); abbiamo previsto tariffe privilegiate per i giovani sotto i 26 anni e reso gratuito l’utilizzo dei mezzi agli over 65 anni sotto un determinato reddito. E’ stato previsto anche uno stanziamento per l’uso gratuito dei mezzi pubblici a disoccupati e cassintegrati. Contemporaneamente abbiamo iniziato il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale e stiamo operando per un miglioramento del servizio pubblico e per un rafforzamento delle piste ciclabili e del bike-sharing.
Sono questi alcuni dei motivi per cui non comprendo il senso di quanto dichiarato dal segretario della Camera del Lavoro e cioè che altre erano le scelte da fare, quale quella «di introdurre una tassa sui grandi patrimoni» e di far pagare di più chi ha un reddito più alto. Parole del tutto condivisibili e per le quali mi sono battuto anche in Parlamento, ma che dovevano essere rivolte al Governo e non certo al Comune di Milano, visto che solo il Governo può imporre la cosiddetta «patrimoniale» o modificare gli attuali scaglioni dell’Irpef. Ecco perché sarebbe più utile per tutti, se si vuol dare una contributo «di sinistra» - soprattutto in presenza di una giunta che governa da meno di due mesi dopo 18 anni di sindaci della Lega o del Pdl - che le critiche, del tutto legittime, fossero accompagnate da indicazioni alternative realizzabili e non da «proposte» la cui realizzazione o è impossibile o dipende da altri.