«Innovative, autosufficienti e inaccessibili ecco le nuove città dei giganti della Rete». la Repubblica, 1° agosto 2017 (p.d.)
Gigantesche, distanti, inaccessibili. Ecco le Versailles delle grandi aziende hi-tech, le nuove sedi di quella manciata di multinazionali che per capitalizzazione hanno superato singolarmente il prodotto interno lordo di Stati come Svezia, Norvegia o Svizzera. Apple, Amazon, Facebook, Google, Alibaba, Tencent, Huawei, stanno per gridare al mondo la loro grandezza attraverso l’architettura. Come facevano imperatori e papi, presidenti e dittatori. «Non sono più delle compagnie, ma famiglie reali» aveva scritto qualche tempo fa Bruce Sterling, fra i “padri” della letteratura
cyberpunk. «Siamo in pieno feudalesimo digitale ». Abbandonata l’idea del campus universitario, abbracciano quella della fortezza ermetica firmata da un’archistar.
L’astronave della Apple a Cupertino è solo un esempio. Concepita da Steve Jobs, l’ha disegnata sir Norman Foster. Un disco con una circonferenza di un chilometro e mezzo, 260 mila metri quadrati per ospitare 12 mila dipendenti che vi si stanno trasferendo. Città cinta da mura alte quattro piani con un giardino interno ombreggiato da novemila alberi. Il Cerchio del romanziere Dave Eggers fatto costruzione. Sorge in una delle aree più costose del pianeta: 160 milioni di dollari il prezzo del terreno, cinque miliardi quello dell’edificio.
La nuova sede di Amazon, dello studio Nbbj, è invece un grattacielo da quattro miliardi di dollari che verrà terminato nel 2018 a Seattle. Oltre 306 mila metri quadrati su 37 piani. E tre grandi sfere trasparenti alla base accessibili solo ai dipendenti: conterranno una foresta equatoriale in omaggio al nome della compagnia di Jeff Bezos, diventato l’uomo più ricco del mondo. Un altro edificio è stato invece dedicato ai senza tetto e ong. Mentre a Shenzen, sempre la Nbbj che ha già all’attivo le sedi di Alibaba a Hangzhou, sta ultimando due torri da 250 metri per la Tencent, terzo colosso del Web.
«Nessuno di questi edifici vuole davvero avere un rapporto con la città » commenta lo storico dell’architettura Carlo Olmo. «E pensare che la città per secoli è stata il centro dell’innovazione e che queste compagnie sono figlie delle contaminazioni tra università e aree urbane».
Facebook, dopo il quartier generale disegnato da Frank Gehry, vorrebbe ora un villaggio. Il Willow Campus, progettato da Rem Koolhaas, avrà per la prima volta anche mille e cinquecento abitazioni e parte di queste dovrebbero essere a basso costo. Oltre a negozi, farmacie, hotel, bar, alimentari e un milione e mezzo di metri quadrati di uffici. Niente mura né torri insomma. Di villaggi la Huawei ne ha in mente 12 da un miliardo e mezzo di dollari in costruzione a Shenzen. Scimmiottano lo stile europeo da Verona a Oxford. Qui però più che di reggia si tratta di semplice pessimo gusto. Meglio, anche dal punto di vista simbolico, il Googleplex a Mountain View immaginato dall’architetto danese Bjarke Ingels: spazi coperti da un enorme tenda di vetro sotto la quale gli edifici modulari potranno esser mossi secondo le esigenze dei dipendenti.
«Molti imperi sono caduti subito dopo che i loro governanti avevano finito di costruire una sontuosa capitale» scriveva Deyan Sudjic, curatore della Biennale 2002 e direttore del Design Museum di Londra alla fine di Architettura e potere (Laterza). «E ciò mostra come l’architettura non sia sempre uno strumento politico efficace». Ma si vede che nella Silicon Valley non è un saggio che è andato per la maggiore.