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Chiara Spagnolo
Taranto delusa dai 5Stelle. Sull’Ilva la città resta divisa
9 Settembre 2018
Altre città
la Repubblica, 9 settembre 2018. Le ultime vicende dell'Ilva, in continuità con il passato, dove il ricatto tra salute e lavoro non viene risolto e i diritti della popolazione di Taranto sono messi sempre per ultimi (i.b.)

la Repubblica, 9 settembre 2018. Le ultime vicende dell'Ilva, in continuità con il passato, dove il ricatto tra salute e lavoro non viene risolto e i diritti della popolazione di Taranto sono messi sempre per ultimi (i.b.)

Taranto. Da una parte la paura di ammalarsi, dall’altra quella di perdere migliaia di posti di lavoro. Taranto è città dilaniata in questo scorcio d’estate in cui la sua più grande fabbrica si appresta a passare nelle mani del colosso Arcelor Mittal. Le reazioni dei cittadini alla notizia dell’accordo tra il Ministero dello Sviluppo e Am per l’acquisizione Ilva e l’assunzione di 10.700 persone con circa 3.000 esuberi sono contrastanti: rabbia e soddisfazione, timore e sollievo, voglia di fuggire e difficoltà nel restare. L’amarezza dei delusi, che speravano nella chiusura delle fonti inquinanti sbandierata dai Cinque Stelle in campagna elettorale, è tutta convogliata sul Movimento. La deputata Rosalba De Giorgi è stata contestata in piazza, l’europarlamentare Rosa D’Amato su Facebook, i consiglieri comunali Massimo Battista e Francesco Nevoli sono subissati di telefonate e meditano di lasciare la casa grillina. La confusione è grande e la rassegnazione di più.

Alla protesta organizzata a caldo subito dopo l’accordo del 6 settembre, in piazza Della Vittoria si sono presentate almeno 700 persone, il giorno successivo erano meno di 200. Le mamme dei Tamburi urlavano di voler restituire le schede elettorali ma ai tavolini dei bar e a passeggio nella via dello shopping c’era un’altra Taranto. «La città è stanca – spiega il consigliere comunale di Taranto Respira Vincenzo Fornero – non crede più a queste forme di protesta». «Abbiamo perso la forza di manifestare» conferma Aldo Schiedi, operaio 43enne dell’Ilva, tre anni fa vittima di un incidente sul lavoro che stava per fargli perdere la vista. «Ho inalato soda caustica da un tubo che perdeva – racconta – la fabbrica era già in gestione commissariale. All’inizio cercarono di minimizzare, quando presentai le foto della tubatura rotta non poterono più negare». A seguire altre denunce. Alcune molto gravi, come quelle sull’uso dell’acqua di mare per alimentare gli impianti antincendio di alcuni reparti. Segnalazioni in mano alla Procura di Taranto, dal 2012 impelagata nel processo Ambiente svenduto, di cui i Riva sono i principali imputati mentre Regione Puglia, Provincia e Comune di Taranto vivono il paradosso di essere contemporaneamente imputati e parti civili.

La vicenda della più grande acciaieria d’Europa, del resto, è tutta un paradosso. Come questa città, scelta dai discendenti di Eracle per diventare colonia greca, che nei secoli relegò il suo passato in un angolo e negli anni Sessanta scelse quel destino industriale che oggi la sta consumando. A percorrerla in un giorno di fine estate, la sua bellezza nascosta dietro colate di cemento abbaglia. Ma l’aria che si respira ammorba. L’odore acre dei fumi, non solo dell’Ilva, intossica i polmoni a chilometri dalla zona industriale. Chi vive nel quartiere Tamburi, a ridosso delle fabbriche, è abituato a inalare diossina. E ad ammalarsi.

«Ci sono persone che vanno a fare visite mediche e scoprono di avere due tumori contemporaneamente - dice Alessandro Marescotti di Peacelink - Ogni anno si registrano almeno 1.000 ammalati». L’ultima è una bimba nata con il cancro a entrambi i reni. L’ennesimo nome nel registro dei tumori. Come quello di Cosimo Briganti, 50 anni di cui 26 nel siderurgico, che di quei 100.000 euro lordi offerti da Arcelor per l’esodo volontario non sa che farsene. Fatti quattro conti, 77.000 euro netti equivalgono a tre anni di lavoro e poi disoccupazione certa. «Per chi ha moglie, due figli e un mutuo da pagare, è un lusso da non prendere in considerazione» dice. Eppure di quell’accordo con i nuovi padroni, i sindacati vanno fieri: «Mette in sicurezza tutti i lavoratori e accoglie quanto da noi richiesto in tutti questi mesi».

I particolari saranno illustrati da domani nelle assemblee in fabbrica e, a seguire, si svolgerà un referendum, di fatto inutile. Che vinca il sì o il no, infatti, Arcelor Mittal andrà avanti. Di chiusura dell’impianto ormai non se ne parla. Di chiusura delle fonti inquinanti nemmeno nonostante il governatore pugliese Michele Emiliano si ostini a chiedere la decarbonizzazione. Le sue parole, a Taranto, si perdono nel vento. E un po’ anche quelle del sindaco Rinaldo Melucci, che pure assicura di voler «vigilare» sull’operato dei nuovi proprietari dell’Ilva. Se e quando si presenteranno alla città è un mistero. Certo, fare peggio dei Riva sarà difficile ma un tentativo di dialogo va fatto, tanto che pure Confindustria con il suo presidente Vincenzo Cesareo si augura «che venga inaugurata una stagione di maggiore trasparenza e comunicazione». E che il siderurgico smetta di essere un mondo a parte, nel quale tutto è accaduto in silenzio. Anche nei sei anni di commissariamento. «Quelli in cui sono morti 8 colleghi per incidenti sul lavoro», ricorda Mirko Maiorino, altro operaio che bolla il referendum come «una farsa». Come lui anche gli ambientalisti e i cittadini, che chiedono la chiusura delle fonti inquinanti. Le sigle sono tante, forse troppe, gli attivisti ormai pochi. Le manifestazioni del 2013, quando la marea umana invase le strade, per ora sembrano un ricordo.

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