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Concita De Gregorio
Siamo tutti stranieri
9 Agosto 2009
Articoli del 2009
I giorni della vergogna, in questa Italia, sono molti. Questo in particolare: 9 agosto 2009, essere forestieri poveri è un reato. L’Unità, 9 agosto 2009.

Nel giorno in cui in questo paese la condizione di clandestinità diventa reato Fini e Napolitano onorano la memoria degli italiani morti a Marcinelle, emigrati in cerca di lavoro e sepolti nella tomba di una miniera cinquant’anni fa. È una piccola Italia questa che dimentica Little Italy, Rocco e i suoi fratelli, Pane e cioccolata. Da Sud a Nord, da Est a Ovest. Stranieri siamo tutti, lo siamo stati - additati per strada - appena ieri. Scrive oggi nel blog una lettrice, Concetta: «In Svizzera gli italiani li chiamano “tschinke”. Pare derivi da “cinque” perché i primi immigrati giocando a dadi invocavano l’uscita del 5, venivano perciò identificati col suono di quella parola. Per gli svizzeri equivaleva a “zingari”, “pezzenti”. Ma non a “delinquenti” perché i delinquenti fanno paura e quelli veri venivano solo denunciati, non aggrediti. I semplici “tschinke”, invece, venivano offesi e maltrattati e anche picchiati (in gruppo, di solito). Gli italiani - del Nord (quanti veneti!), del Sud e delle Isole - le hanno subite queste cose e se le ricordano. Ma avevano sempre un atteggiamento dignitoso, onesto ed erano alla lunga affidabili. Gli svizzeri se ne sono accorti anche se periodicamente, ogni due tre anni, c’era il Bossi della situazione (Schwarzenbach, si chiamava) che proponeva un referendum per cacciarli. Andava in tv in cravatta nera. Aveva argomenti del tipo “bisogna aprire le porte, ma non abbattere le staccionate” e una volta disse che bisognava tenere i laureati (aveva molto a cuore i medici, mi ricordo) e rimandare in patria gli altri». Noi teniamo le badanti, abbiamo molto a cuore loro.

È una piccola ipocrita Italia quella che finge di concedere l’accesso ai regolari e poi li truffa e li costringe alla clandestinità, come accade a San Nicola Varco - ci racconta in una bellissima inchiesta Gabriele Del Grande - ma anche nelle periferie e nelle campagne del Nord. Si fa così: un’azienda chiede di assumere immigrati dalle “quote”, li chiama attraverso intermediari (il servizio ha un prezzo, l’immigrato paga), loro arrivano in aereo e con le carte in regola, quando sono a destinazione si accorgono che la ditta che li ha chiamati non esiste. Vuoto, niente: non c’è. Otto giorni e diventano clandestini, sfruttabili per la raccolta di pomodori, per l’edilizia e certo per la manovalanza del crimine, se disperati, davvero a poco prezzo. Basterebbe andare a vedere, controllare, avere, anziché ronde in costume, un servizio pubblico di polizia messo in grado di lavorare con dignità in modo capillare: sarebbe facile allora sapere cosa accade davvero attorno a noi, dietro e oltre il terrore per lo straniero che ogni giorno si instilla. Alessandro Dal Lago, sociologo, racconta di quel che già succede a Genova e profetizza che il reato di clandestinità avrà il solo effetto di far nascondere i clandestini. Un popolo invisibile, braccato e ricattabile. Preda di chi voglia servirsene. A volte sarebbe sufficiente ascoltare la lingua del popolo: Anna Finocchiaro ci racconta dei «cristiani» di Sicilia, cristiani che vuol dire persone, cristiani bianchi e neri. Musulmani, comunque cristiani. Parlando di cinema, del Padrino e di Sacco e Vanzetti, Alberto Crespi conclude che sì, abbiamo esportato in America sia mafiosi che anarchici. I mafiosi sono stati trattati molto meglio.

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