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Marzio G. Mian
Siamo Radical, ma non Chic
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Presupposti sociali progressisti di alcune politiche di piano a Portland, Oregon. Dal supplemento del Corsera, Io Donna, 3 settembre 2005 (f.b.)

Allora voi qui siete socialisti? Il vicesindaco Erik Sten, 37 anni, allenta il nodo della cravatta. Si vede che deve far spazio a una risposta che aveva in canna da molto tempo: “Be’, qualcuno dovrà esserlo”. I Bush non hanno mai messo piede a Portland, è come se Berlusconi andasse a Livorno. Nella “repubblica cristiana d’America” dell’era teocon questa è certo la città del Diavolo. Èinvece il paradiso in terra e la mecca laica per l’altra metà degli americani: “ Portland, la città perfetta” ha titolato recentemente il New York Times, per citare solo uno dei grandi giornali che negli ultimi mesi hanno raccontato il fenomeno della piccola - circa 600 mila abitanti -metropoli ribelle del Nord West, nell’Oregon, la nuova frontiera dello spirito “ radical” (ma non chic, perché anche il bostoniano Kerry, che qui l’anno scorso prese l’80 per cento dei voti, “non diventerebbe neanche assessore” garantisce Sten).

Tanto per cominciare, diversamente dal resto degli Stati Uniti, “pubblico” non è una parolaccia a Portland. Anzi, è la parola chiave per scoprire il segreto della sua diversità, e la pronunciano tutti quasi con ostentazione, così che sembra l’ultima trovata tecnologica, una cosa appena scoperta, moderna e rivoluzionaria.

Il 90 per cento dei bambini frequenta la scuola pubblica

Un mese fa, a dichiarazione dei redditi già presentata, il 70 per cento della popolazione ha votato sì a un referendum comunale che chiedeva un aiutino extra per sanare il bilancio delle Superiori pubbliche. Il comune, senza incontrare ostacoli, ha piazzato 900 case popolari nel Pearl District, ex quartiere operaio oggi sofisticato centro artistico e professionale di Portland: “Non siamo contro il privato, ma ci piace di più se c’ è anche una buona dose di pubblico” spiega Sten “il rosso”. Per gli homeless (quelli che qui arrivano in abbondanza, triturati dal liberismo) i servizi sociali hanno costruito fuori porta un villaggio tutto per loro: Dignity Village si chiama, basta rubare una volta per tornare sotto i ponti. Ma è sul fronte energia che Portland fa notizia. Ricordate Enron, il colosso dello scandalo? Ecco: era il maggiore fornitore d’energia in città, ma il comune ha comprato le centrali spendendo un’iradiddio, perche Portland sta diventando il laboratorio ambientale d’America, si gioca tutto sul verde.

Un incubo per Bush: questi rompiscatole hanno avuto il coraggio, unici negli Usa, di applicare gli accordi di Kyoto sulla riduzione delle emissioni di anidride carbonica. I dati sono usciti proprio mentre eravamo lì: dal 1993 il livello di emissioni pro capite è diminuito del 13 per cento. “Kyoto avrebbe distrutto la nostra economia” dice Bush. E a Portland rispondono: “Kyoto ci ha resi più ricchi e più sani”. E giù con l’elenco: meno tasse per tutti spese in energia, trasporto pubblico (soprattutto tram) così efficiente ed economico che in quattro anni il traffico è calato del 25 per cento, mille chilometri di piste ciclabili, una generazione di “cervelli verdi” richiesti in tutto il mondo e che è volano per l’eco-economia locale: hanno addirittura inventato lampadine per semafori che consumano l’80 per cento in meno di elettricità e fanno risparmiare un milione di dollari l’anno. “Un successo che va controllato” dice Ken Rost, 32 anni, manager pubblico che ha rinunciato a un megastipendio della portlandese Nike: “C’è la corsa a venire a vivere qui, soprattutto dopo la guerra in Iraq e la rielezione di Bush. E diversamente dalle altre città qui tutti vogliono abitare in centro; i prezzi aumentano e dobbiamo difendere il tessuto comunitario, evitare divari tra ricchi e poveri, continuare a essere l’anti corporated city”.

E il privato? La forza diabolica di Portland (chi legge Chuck Palahniuk, il vate dell’America “altra”, già lo sa) è soprattutto nell’arte di vivere controcorrente. Nelle storie, per esempio, di gente come Naomi e Michael Hebberoy. Sono chef, “chef anarchici”. Se gli chiedi quanti anni hanno rispondono “non abbastanza per ricordarci l’amministrazione Reagan”. Li hanno giudicati tra i dieci più influenti ristoratori d’America. Sei anni fa erano una coppia disoccupata: “Sapevamo solo fare buon sesso. E buoni piatti dopo il sesso”. Concepirono un piano: costruirono un grande tavolo e invitarono a casa trenta amici, il prezzo: una sedia. La volta successiva gli amici degli amici dovevano portare una bottiglia e lasciare cinque dollari. Da quel ristorante clandestino è nato Family Supper, il primo locale per sole famiglie degli Usa. Lì c’è ancora lo stesso tavolo. Ora gli Hebberoy gestiscono tre ristoranti, hanno cento dipendenti e un fatturato annuo di sette milioni di dollari. Eppure Michael sta per pubblicare un libro intitolato Kill the restaurant: “Voglio creare una rete nazionale di ristoranti illegali, underground. Mangiare bene deve essere un diritto per tutti”. Micidiale: ha rifiutato la prenotazione di 15 executive della Monsanto, quella che ha il monopolio mondiale delle coltivazioni Ogm. “Non voglio il nemico in casa” gli ha detto.

Portland è una città slow food. L’85 per cento dei ristoranti acquista prodotti biologici dai contadini della regione. “Qui è difficile trovare i pomodori in dicembre” dice Haward Silverman del centro Ecotrust, nato per difendere le risorse locali: “Prendi il salmone. Con la nostra politica quello non coltivato costa un terzo meno di quello d’allevamento”. Un mondo a parte che richiama sul Pacifico carovane di “pionieri dell’anima” come li definisce Palahniuk, il più famoso tra tanti scrittori adottati dalla città americana che legge di più, tanto che vanta il più grande negozio di libri usati del mondo, Powell’s Books, 15 mila metri quadrati, un intero isolato. “Siamo tutti resistenti, profughi e fuggiaschi” dice il regista Gus van Sant, che come Todd Haynes ha lasciato Los Angeles per venire qui. Viaggi “one way” come quello di Jeffrey Kovel, 32 anni, l’architetto del “costruire sostenibile” più corteggiato degli Usa che ha lasciato New York “perché la noia mi uccideva. Qui - racconta - ho trovato il Rinascimento”.

Ogni ultimo venerdì del mese nel Pearl District banche, poste, fruttivendoli, boutique diventano gallerie d’arte. I nuovi cercatori d’oro sono però soprattutto musicisti in cerca d’ispirazione più che di gloria. Portland è diventata l’ultimo avamposto delle band. C’è chi sfonda come I Pink Martini e ci sono i musicisti sconosciuti della scuderia di John Askew, il più noto dell’etichetta Film-Guerriero, cooperativa che pubblica solo cd di nicchia: “La vita costa poco, nessuno parla mai di soldi e di religione, ci sono duecento locali, comprese le panetterie, dove puoi suonare e poi, se ti viene un cancro, puoi suicidarti in santa pace” dice Askew, riferendosi all’ultima conquista della secolare Portland, l’assisted suicide, legge che permette ai malati terminali di ingoiare una manciata di barbiturici prescritti dal medico. Pare che la Corte Suprema si prepari ad abolirla, come è accaduto per altre leggi progressiste votate nella città del Diavolo. “Non accettiamo il conformismo, fino alla fine” dice Susan Tolle, direttrice del Centro per l’Etica e la Salute. “Siamo diversi. Per tanti americani la morte è una sconfitta. Per noi può essere una conquista. Ma siamo un’isola in un mare d’ipocrisia”.

Nota: qui su Eddyburg molti articoli trattano le politiche urbanistiche e ambientali a Portland, come quello sul Piano 2040; altri testi che contengono riferimenti alla città si possono trovare semplicemente utilizzando il “cerca” del sito con la parola chiave Portland (f.b.)

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