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Alessandro Gilioli
Si potrebbe provare a fare i socialisti
26 Ottobre 2016
Sinistra
Noterelle sulle lacerazioni tra i diversi "socialismi" (se così si può dire) europei.

Noterelle sulle lacerazioni tra i diversi "socialismi" (se così si può dire) europei.

L'Espresso, blog "Piovono rane", 25 ottobre 2016

Mentre in Spagna il Psoe fa nascere un nuovo governo di centrodestra, in Belgio il partito socialista vallone inceppa la macchina del Ceta, l'accordo mercatista cugino del Ttip. È curioso che le due cose (Spagna e Belgio) avvengano negli stessi giorni, proprio a esemplificare la lacerante crisi d'identità del socialismo europeo: da un lato chi vuole proseguire sulla strada intrapresa ai tempi di Tony Blair (cioè l'emulazione del centrodestra liberista), dall'altra chi da questa strada vuole fuoriuscire, se non altro perché eccessive sono diventate le diseguaglianze create da quel modello e dalla sua tecno-finanziarizzazione.

Se guardate altri partiti socialisti europei (e non solo), vedete che la dinamica è spesso simile. Il Labour - quello che vent'anni fa ha aperto la strada alla "sinistra che fa cose di destra" - si è spaccato due volte sull'elezione di Corbyn, osteggiatissima dal suo gruppo parlamentare ma fortemente voluta dalla maggioranza dei suoi iscritti (61.8%). In Francia, François Hollande ha conquistato la leadership e l'Eliseo con un programma fortemente di sinistra, poi ha fatto tutto il contrario e oggi è in caduta libera nei sondaggi; alle primarie del Ps sarà sfidato dall'ex ministro dell'Economia Arnaud Montebourg, alfiere della lotta al capitalismo mondializzato e fatto fuori da Hollande proprio perché - secondo lui - troppo di sinistra. Negli Stati Uniti i socialisti come partito non esistono ma la dinamica delle primarie democratiche non è stata così lontana da quella europea: grossolanamente, con un candidato anti-establishment (Sanders) versus un candidato più centrista (Hillary). In Portogallo i socialisti di António Costa hanno scelto di governare con i due partiti della sinistra più radicale: un esecutivo che cammina in bilico tra gli obblighi imposti dalla Troika e il rispetto degli ideali ridistribuitivi della sinistra.

Sull'Italia non voglio dilungarmi troppo per non generare inutili flame su Renzi, cioè il Blair nostrano: basti ricordare che l'elettorato di sinistra è ormai diasporizzato tra l'astensione, il M5s, l'abbrivo affettivo al Pd e i cascami sparsi della cosiddetta sinistra radicale. E va aggiunto che anche dentro al Pd convivono anime blairiane e corbyniane, per capirci.

Più in generale, la situazione dei socialisti nel mondo è nota da tempo: la globalizzazione ne ha ridotto drasticamente i margini di azione, quindi il senso stesso, la ragione sociale. «Partigiani inflessibili del compromesso tra il capitale e il lavoro, i socialdemocratici non possono ritrovare la forza che avevano nel dopoguerra perché oggi i dipendenti non hanno più la possibilità di imporre concessioni sociali al capitale. Questo perché una nuova rivoluzione industriale ha smantellato le grandi fortezze operaie e perché la riduzione delle distanze permette al capitale di sfuggire alle leggi nazionali andando a cercare altrove terreno fertile per i suoi investimenti. L’unico modo che avrebbero i dipendenti e la socialdemocrazia per modificare questa situazione sarebbe quello di favorire l’emergere di una potenza pubblica europea, le cui dimensioni continentali potrebbero piegare anche le più grandi aziende» (Bernard Guetta).

Quello che dice Guetta (l'ultima parte qui citata, intendo) è un po' il tentativo che sta facendo Yanis Varoufakis, con Diem25, ma lo stesso Guetta ne mette in luce le difficoltà, perché oggi se dici "Europa" ai ceti popolari questi mettono mano alla pistola, pensando a Juncker e Merkel, e chi può dargli torto. Di qui comunque tutte le lacerazioni, le spaccature, le discrasie evidenti: come in Gran Bretagna. O come l'ultima, tra la decisione dei socialisti spagnoli e quella dei loro cugini francesi.

E insomma, certo, ha ragione Guetta: l'ipotesi di essere socialisti facendo i socialisti è faticosissima, irta di ostacoli immensi, a rischio di musate clamorose. E potrebbe finire male.

In alternativa c'è l'altra strada, quella assai più comoda percorsa negli ultimi vent'anni, cioè essere socialisti facendo i liberisti, con il plauso della finanza e dei mercati - e il graduale allontanamento dei cittadini. Ma in questo caso - lo insegna bene il Pasok - l'estinzione non è un rischio: è, sul lungo, quasi una certezza.

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