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Antonio Padellaro
Si chiama sovversione dall'alto
13 Aprile 2004
I tempi del cavalier B.
L’editoriale di Antonio Padellaro su l’Unità del 30 gennaio 2003.

Ha detto: posso essere giudicato solo dagli eletti del popolo. Ha comunicato che, anche in caso di condanna, intende restare a palazzo Chigi, perché così ha deciso il popolo. Ha annunciato che, in nome del popolo, cambierà la giustizia in Italia. È il discorso del 29 gennaio di Silvio Berlusconi. Prefigura una deformazione del nostro sistema democratico e la fine della divisione dei poteri sancita dalla Costituzione della Repubblica. Stravolgerà le regole appellandosi continuamente al popolo. Facendosi consegnare dal popolo, attraverso l’uso esasperato degli appelli elettorali, un potere sempre più grande. Nel tono autoritario del proclama, nell’uso della cassetta preregistrata che Rai e Mediaset hanno “dovuto” mandare in onda, nell’esultanza dei capimanipolo impazienti di entrare in azione, si colgono accenti autoritari ed echi golpisti. Ma non sarà un golpe, poiché non è previsto, almeno per ora, l’uso della forza. Sarà una sorta di sovversione dell’alto. Un graduale, costante, insidioso attacco alle istituzioni, magari approfittando dello stato di emergenza psicologica che i venti di guerra porteranno nel paese. Per arrivare a un mutamento di regime. Costi quel che costi.

Il 29 gennaio di Berlusconi non giunge in clima di guerra civile, di spaccatura del paese, di emergenza istituzionale. Dietro il discorso mussoliniano del 3 gennaio del ‘25, c’era un’Italia in fiamme e il delitto Matteotti. Dietro i pieni poteri chiesti dal generale De Gaulle c’era la tragedia di Algeria. Dietro le minacciose parole di Arcore c’è un processo per corruzione di giudici. Certo, non un processo qualunque, poiché tra gli imputati c’è il presidente del Consiglio. Perciò il fascicolo non si è fermato nell’aula di un tribunale, come poteva accadere al caso di un cittadino qualsiasi.

Perciò questa miserabile storia di bustarelle, date e ricevute, è arrivata fino alla Corte Costituzionale, per poi approdare alla Corte di Cassazione. Che è chiamata la Suprema Corte proprio perché i giudici che ne fanno parte rappresentano il massimo di garanzia formale che la giustizia italiana possa assicurare. Alla prudenza di questi supremi magistrati, tutti prestigiosi giuristi, che soltanto la barzelletta di un clown fuori di testa può descrivere come dei giacobini di sinistra, viene in soccorso una legge sul legittimo sospetto, che una maggioranza rassegnata agli ordini del capo ha dovuto approvare in fretta e furia. Una legge moralmente nefasta e tecnicamente sbagliata, tanto che perfino Jack lo Squartatore potrebbe beneficiarne, ma che purtuttavia nel suo garantismo un po’ folle, rappresenta l’omaggio estremo alla dignità di un premier. Se davvero un ventata di prevenzione ha travolto la legge a Milano, con questi giudici così saggi e prudenti e con queste norme così benevole, l’imputato premier avrà tutte le garanzie che chiede e che forse anche gli sono dovute per la funzione che svolge. Ma lui non vuole e i suoi legali non vogliono, semplicemente, più garanzie. Lui pretende e i suoi legali pretendono molto ma molto di più: l’immunità assoluta. Purtroppo per lui e per i suoi legali in questo paese vige ancora lo stato di diritto. E i giudici, ancora, non si possono assumere, e mettere nel libro paga del partito-azienda, come si fa con gli avvocati, o con gli onorevoli, o con i giornalisti. Succede che la Suprema Corte questo legittimo sospetto proprio non riesce a scovarlo nell’aula del tribunale di Milano. E dunque i processi non possono essere trasferiti, per poi ricominciare a Brescia, o a Perugia, o a Catanzaro in un interminabile gioco dell’oca che ha come casella finale la provvidenziale prescrizione. Non si può fare? E allora ci si appella al popolo.

Nell’ora berlusconiana delle decisioni fatali c’è un aspetto davvero paradossale. Dopo che tutti i leader del centrosinistra, e gli esponenti dei movimenti, e i girotondisti più incalliti hanno ribadito che nessuno pensa, neppure lontanamente, a chiedere le dimissioni del premier eventualmente condannato. Dopo che dall’opposizione tutti hanno escluso un uso politico del caso Berlusconi, ecco che a usare politicamente il caso Berlusconi è proprio lui, Berlusconi. Si ha come l’impressione che il discorso di Arcore fosse lì pronto nel cassetto ad essere usato, preparato con cura. Il piano “A”, con il trasferimento del processo, avrebbe tolto ogni impaccio penale al presidente del Consiglio, ma sarebbe rimasta una carta politicamente inerte. La teoria della persecuzione giudiziaria permette, al contrario, di armare una strategia politica formidabile. Con la sovversione dall’alto si può ottenere per via plebiscitaria, e a colpi di maggioranza, un mandato più forte. Con il pretesto dell’ingovernabilità, attribuita alla perfidia dei giudici, si può mettere sotto il controllo del governo quel potere giudiziario riottoso ai diktat padronali, concentrando il potere esecutivo e quello legislativo, e quindi la sovranità, nelle mani di uno soltanto. Fassino, Rutelli e tutta l’opposizione hanno fatto bene a gettare l’allarme Il 29 gennaio rischia di essere davvero una brutta data.

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