Erano già tutti in piedi alle cinque, ieri mattina, i rom di via Rubattino. Assieme a loro, ai cancelli dell’ex fabbrica, i volontari della comunità di Sant’Egidio, dei Padri somaschi e del Naga, che li aiutano da anni. Due ore dopo, non vedendo arrivare nessuno, cominciavano già a sperare: «Forse ci hanno ripensato». E invece no. Alle 7.30 è arrivata la colonna dei blindati che hanno scaricato davanti all’ex stabilimento Enel centinaia di agenti e carabinieri in assetto antisommossa, accanto ai vigili del Nucleo problemi del territorio, anche loro in tenuta da combattimento, con manganelli, caschi e mascherine antivirus. Gli zingari hanno chiuso il cancello dietro al quale erano accampati da mesi. Ma l’hanno subito riaperto, consapevoli che non c’era margine di trattativa. Ci sono voluti meno di trenta minuti per svuotare le baracche dei 250 romeni. Loro non hanno fatto resistenza, abituati come sono agli sgomberi. Sono già stati cacciati dal ponte Bacula, dalla Bovisasca, dalla cascina Bareggiate di Pioltello ad agosto, adesso anche da via Rubattino. Domani, chissà.
Da ieri mattina nemmeno più quest’ultimo rifugio. «Con questo sgombero, il numero 166 - è il commento del vicesindaco Riccardo De Corato - restituiamo alla città un’altra fetta di territorio degradato, l’ultima grande baraccopoli, in condizioni igieniche spaventose con tonnellate di rifiuti. Ora non rimangono che piccoli insediamenti». Ma la maggior parte delle 61 famiglie, con un centinaio di bambini, ha dovuto per ora accamparsi sotto il vicino ponte della tangenziale. Il primo a denunciare il trattamento riservato ai rom è stato il cardinale Dionigi Tettamanzi: «La miseria non sia zittita, ma piuttosto ascoltata per essere superata. A vincere deve essere sempre l’infinita dignità dell’essere umano. Chi ha alte responsabilità deve ascoltare l’invocazione che viene da tante forme di miseria, di ingiustizia e di solitudine». I funzionari del Comune hanno offerto posti in comunità solo a cinque donne con bambini sotto i 7 anni: «I minori sopra questa età - precisavano - possono essere ospitati in appositi centri ma senza i genitori».
Una frase che per le famiglie rom suona come una condanna: «Come faccio a separarmi da mia figlia? Alina ha dieci anni, fa le elementari in via Pini. Come faccio a mandarla da sola, senza madre, padre, fratelli?» ripeteva Doriana, madre di quattro bambini. Eppure l’assessore alle Politiche sociali Mariolina Moioli, proprio ieri a Palazzo Marino per la vigilia della giornata mondiale dell’infanzia, ha parole rassicuranti: «Abbiamo garantito i diritti dei bambini. Sei nuclei familiari su 61 sono stati accolti in strutture del Comune e altri sei hanno accettato l’alternativa al campo. Abbiamo dato massima attenzione a piccoli e mamme». Di parere opposto i consiglieri del Pd David Gentili (presente allo sgombero così come Patrizia Quartieri del Prc), Andrea Fanzago e Marco Granelli: «Le condizioni in Rubattino erano insostenibili - dicono - ma così è meglio? È molto grave che alla vigilia della giornata dei minori si sgomberi il campo senza preservare nemmeno i 40 bambini che frequentavano la scuola».
I temi dei compagni di classe "Dovrebbero aiutarli a restare"
«E se i rom fossero ricchi e il Comune una mattina si trovasse una ruspa che gli distrugge la sua casa? Sicuramente sarebbe deluso, ma poi il Comune che cosa ci guadagna? I rom passano da un campo all’altro e per la città sono nuovi problemi». Hanno fatto un tema, ieri mattina gli alunni delle scuole elementari di via Pini, di via Feltre e di via Cima. Un tema che in qualche caso ha preso la forma di lettera al sindaco Letizia Moratti, in qualche altro ha semplicemente raccontato lo sgombero del campo rom di via Rubattino. Pagine disperate e incredule dei compagni di classe dei piccoli rom che hanno terminato il loro anno scolastico. «In classe piangevano tutti, non solo i bimbi rom che hanno perso tutto e che da ora dormiranno in strada», diceva ieri, mentre le ruspe assaltavano le baracche dentro all’ex Enel, la maestra Barbara Bernini, responsabile del progetto stranieri nei tre plessi della primaria «Elsa Morante». C’era anche lei in via Rubattino, ieri, assieme alla dirigente Maria Cristina Rosi: «Tutto il nostro lavoro, tutta la fatica che abbiamo fatto per accoglierli, per metterli in grado di seguire le lezioni e di ottenere grandi risultati, tutto questo buttato via! È una vergogna, una cosa scandalosa». In classe intanto scrivevano: «Quello che è successo non mi piace per niente - si legge in un tema - . Le autorità dovrebbero mettersi nei panni della mia compagna Isabela, che a me all’inizio non sembrava proprio una rom. Mi sembrava africana. Aveva un grande senso dell’umorismo e era ottimista e positiva».
C’erano diversi genitori della scuola Elsa Morante, accanto agli insegnanti, davanti ai cancelli della fabbrica occupata dai rom. Ma c’erano soprattutto le maestre: Flaviana Robbiati, Silvana Salvi e Ornella Salina, che da mesi si occupano dei bambini iscritti a scuola, 36 quelli in età dell’obbligo, oltre a un altro centinaio più piccoli, in età da nido o da materna. «Nelle nostre scuole si stava costruendo concretamente quella integrazione di cui tanti parlano», racconta Veronica Vignati, una delle maestre che hanno dovuto consolare i bambini in classe, in via Pini, cercando di incanalare tutta la tristezza nel fiume di parole che ha riempito le pagine dei quaderni. «Secondo me dovrebbero aiutare questi rom a trovare un posto nuovo dove stare, invece di rendergli sempre più difficile la vita», conclude una bambina nel suo tema. «Per loro è incomprensibile, inimmaginabile che un loro compagno di scuola resti senza tetto - continua la maestra Veronica - anche se conoscevano la povertà di quelle persone. Sono disperati e noi non sappiamo come consolarli, con quali parole spiegare questo sgombero, che non ha avuto rispetto delle famiglie che volevano integrarsi». Anche l’onorevole pd Patrizia Toia si indigna: «Nel campo di via Rubattino si stava compiendo un autentico miracolo. Chiedo al sindaco Moratti, all’assessore Moioli in quale scuola andranno domani quei bambini. Chiedo se si rendono conto che hanno interrotto colpevolmente un cammino di integrazione scolastica, il primo passo di un percorso che può cambiare la vita di quei bambini».
Fondo solidarietà della diocesi altri 500mila euro dalla Cariplo
Oltre sei milioni di euro per il Fondo Famiglia e lavoro lanciato dal cardinale Dionigi Tettamanzi la notte del Natale 2008. Ieri il presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti ha annunciato di aver aggiunto altri 500mila euro alla dotazione del fondo. Guzzetti aveva già donato un milione di euro, dopo il primo milione messo dall’arcivescovo. Ieri sera oltre 500 volontari dei decanati Caritas e delle Acli sono accorsi ad ascoltare Tettamanzi nella chiesa di santo Stefano. Il Fondo ha aiutato 1.985 famiglie che vivono sul territorio della Diocesi ambrosiana. Oltre 4.100 sono state le richieste delle famiglie colpite dalla crisi. I contributi sono concessi per pagare spese non comprimibili, come l’affitto della casa, l’asilo dei figli. Nella maggior parte dei casi si tratta di famiglie con un reddito mensile inferiore a 500 euro. Il Fondo ha aiutato in uguale misura famiglie italiane e straniere, sposate (66 per cento), con figli piccoli a carico (72 per cento). Ieri sera il cardinale Tettamanzi ha ringraziato la Cariplo e tutti i volontari che dedicano tempo ed energie a raccogliere e vagliare le richieste d’aiuto: «I soldi non bastano mai perché la situazione economica è complessa. Devono svegliarsi le coscienze dei singoli se si vuole risolvere un problema che è morale, educativo e culturale».
Forse la coincidenza toponomastica sarà sfuggita a qualcuno: la via Rubattino, scenario delle belle trovate di rinnovo urbano descritte sopra, è la stessa della INNSE, fabbrica (probabilmente) salvata l’estate scorsa grazie alla mobilitazione dei suoi operai, ma che era destinata, così come quel fazzoletto di terra occupato dai rom, alla Milano da Due Milioni di Ciellini. Se questi sono i metodi, figuriamoci i risultati finali! Sembrano proprio riemersi da qualche tombino di sventramento ottocentesco, questi neo-cattolici-liberisti, che delegano alla compassione di qualche ala minoritaria di credenti locali tutte le rogne collaterali, tenendosi stretto il timone di comando per le grandi manovre: operai, rom, …a chi toccherà, la prossima volta? Magari qualche commentatore delle strategie del PgT potrebbe anche metterli nel conto, questi minuscoli effetti collaterali (f.b.)