MANCANO le parole per dire le impressioni e l´emozione di fronte alla grandezza di quella liturgia per i funerali di Papa Wojtyla: lì c´era l´eco dei secoli e dei millenni; c´era una Chiesa che per un suo Papa, al momento della morte, usa le stesse parole, le stesse preghiere che per uno qualsiasi dei suoi fedeli e invoca da Dio misericordia perché tutti sono peccatori. E c´era un popolo venuto da ogni parte del mondo, e soprattutto dalla sua Polonia, che ha fatto irruzione nella celebrazione liturgica con numerosi applausi e con la richiesta di una beatificazione immediata.
come nei primi secoli cristiani, quando le beatificazioni non erano regolate dalle norme del diritto canonico: "santo subito" c´era scritto su un grande cartello.
Qualcuno ha notato che nella omelia del cardinale Ratzinger, a differenza che nel testamento di Wojtyla, non c´era il Concilio Vaticano II; ma quello del cardinale era un discorso affettuoso e aristocratico, preoccupato di non apparire un programma da successore. È difficile in ogni caso immaginare ipotesi di restaurazione di fronte a un popolo immenso che interviene nella liturgia, che fa sentire la sua voce: sarà impossibile tornare indietro rispetto alla acquisizione fondamentale del Concilio della Chiesa come "popolo di Dio". E poi, si sa, le restaurazioni falliscono sempre…
Per mio conto, dopo l´ossessione mediatica dei giorni della malattia, e poi di fronte alla annunciata solenne celebrazione in piazza San Pietro e alla città invasa e schiacciata dai pellegrini di ogni parte del mondo sentivo un inconfessabile desiderio alternativo: quello di una celebrazione non concentrata tutta fisicamente in San Pietro, che avesse, sì, in Roma il suo punto dominante di riferimento, ma fosse articolata, nel mondo, nelle diverse comunità cristiane, quasi a sottolineare che la Chiesa è fatta di tante comunità locali, che la Chiesa è realtà complessa, unita, sì, nel Papa ma non è il Papa. Perché un rischio di questo papato è stato proprio, a mio avviso, quello della identificazione del Papa con la Chiesa stessa, di un soffocamento delle chiese locali, di un sacrificio della collegialità…
E allora ho tentato di realizzare il mio disegno alternativo e sono andato a Messa nella mia parrocchia: in una chiesa quasi deserta un giovane prete ha letto il Vangelo di Giovanni nel quale si narra il famoso episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci per sfamare la folla che aveva seguito Gesù. L´episodio si conclude così: "Allora la gente visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: ‘Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo´. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo nella montagna tutto solo".
Mi pare che quel "tutto solo" sia lo spazio della coscienza, del rapporto interiore con il mistero di Dio, sia l´antidoto alla tentazione di trasformare una manifestazione di fede, spontanea, bella e vissuta, di popolo, in un segno di potenza. Questa manifestazione di popolo c´è stata e come dicevo all´inizio ne sono stato anch´io affascinato e coinvolto, anche se solo attraverso uno schermo televisivo. Non c´è dubbio: Papa Wojtyla, con il suo pontificato e con la sua morte, lascia una Chiesa più potente, più ascoltata, più riverita: il presidente americano, che tanto poco aveva ascoltato il monito di Wojtyla contro la guerra era presente, primo fra i potenti del mondo, ai suoi funerali.
Ma, paradossalmente, la condizione di questo prestigio, di questa capacità di presa sul popolo è proprio negli spazi di quel "tutto solo" nei quali Gesù si rifugiava, spazi del resto ben noti al grande Papa che ci ha lasciati. Forza e debolezza nella Chiesa sono strettamente intrecciate: la Chiesa, è stato detto acutamente, è un forza debole
La tentazione della Chiesa mi sembra, oggi, quella di affidarsi alla forza che Wojtyla le ha assicurato, di affidarsi alla comunicazione mediatica (ma chi saprebbe usarla come il Papa scomparso ha saputo fare?) dimenticando l´ascolto e il rapporto diretto con gli uomini del nostro tempo, come condizione dell´annuncio. La manifestazione trionfale in San Pietro è anche una grande sfida per la Chiesa di domani.