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Marco Revelli
Senza democrazia. La politica a caccia di nuove “forme”
4 Febbraio 2013
Libri segnalati
Nel suo saggio in uscita domani Marco Revelli, “Finale di partito” analizza la crisi dei sistemi di rappresentanza e il futuro delle istituzioni. Un libro utile per chi crede che la volontà di affrontare insieme i problemi comuni richiede ancora unaorganizzazione comune. Eccone un brano, selezionato da
Nel suo saggio in uscita domani Marco Revelli, “Finale di partito” analizza la crisi dei sistemi di rappresentanza e il futuro delle istituzioni. Un libro utile per chi crede che la volontà di affrontare insieme i problemi comuni richiede ancora unaorganizzazione comune. Eccone un brano, selezionato da

La Repubblica, 4 febbraio 2013

Nel passaggio dalla riflessione colta alle retorichepolitiche prevalenti, quelle che erano domande e individuazioni di rischi sonodiventate perentorie certezze. La formula ha perso il punto interrogativo perassumere l’esclamativo: «Non può esserci democrazia senza partiti! ». L’hascritto sotto il titolo impegnativo A cosa serve la politica?, Massimo D’Alema,sia pur ammettendo la difficoltà del compito di convincerne gli elettori («Nonbasta riaffermare ciò che è indiscutibilmente vero: non c’è democrazia senza ipartiti»). L’ha ripetuto, inun accorato appello radiofonico, Rosy Bindi («Senzai partiti non c’è democrazia e il cittadino è costretto a scegliere tra i tantipopulismi che si annidano nel nostro Paese o le tecnocrazie che ci dettanoricette da organismi che non hanno fondamento democratico»). L’ha ripreso sulfronte politico opposto Maurizio Lupi in veste di vicepresidente della Camera(«Non possiamo far vincere il populismo di chi vorrebbe cancellare la politicae i partiti che ne sono la massima espressione. Senza i partiti non c’èdemocrazia»).

L’ha ribadito infine, con tutta l’autorevolezza istituzionale che gli derivadall’alta carica ricoperta, il presidente Giorgio Napolitano in un citatissimodiscorso tenuto a Mestre al Teatro Toniolo nel settembre del 2012: «Non puòesserci democrazia funzionante senza il canale deipartiti politici. Nessunanuova o più vitale democrazia può nascere dalla demonizzazione dei partiti».Tutti con l’obiettivo di affermare perentoriamente la tesi che alla centralità deipartiti politici non c’è alternativa, secondo la logica del «tutto o niente ».E di porre un Paese spaesato e attonito di fronte alla necessità di accettarel’improbabile prospettiva di un qualche recupero dei partiti politici al lorocompito storico e alla loro natura originaria di gestori della partecipazione,pena la perdita della possibilità stessa di partecipare e decidere.
In realtà non è così. Il nesso tra la democrazia e la“forma-partito” così come essa si è strutturata nell’ultimo sessantennio non èaffatto così esclusivo e indissolubile. La democrazia dei moderni si è definitaconcettualmente e praticamente ben prima che comparisse all’orizzonte il“partito di massa” e che esso divenisse il monopolista quasi esclusivo delprocesso di partecipazione e di rappresentanza. Può sopravvivere alla fine diquel monopolio e di quella centralità, rinnovandosi nei contenuti e nelleprocedure. Né l’attuale crisi dei partiti nella loro espressione storica cipone di fronte alle alternative “terminali” e “assolute” che la retorica della“fine della democrazia”
sembrerebbe richiamare: il “partito politico” non scompare istantaneamente inogni forma e in ogni luogo. S’indebolisce, certo. Si modifica: può subire unametamorfosi selettiva, più profonda in alcune realtà geopolitiche e sociali,meno in altre. Per molti aspetti l’ha già subita. È mutato nel profondo, neisuoi stessi codici genetici. Esattamente come l’impresa capitalistica ha mutatoil proprio “paradigma” socio-produttivo nella transizione alla modernitàpost-industriale e post-fordista — assumendo una formale orizzontalità tecnico-operativa e accentuando la propria sostanziale verticalità nei meccanismi delcomando e dell’agire strategico — allo stesso modo la forma organizzativa“partito” si è “dissipata” alla base, allentando il proprio radicamentoterritoriale e sociale, annacquando i propri legami identitari, e si èverticalizzata. Ha accentuato il trasferimento “in alto” dei propri centri dicomando. Ne ha rafforzato il grado di autonomia rispetto alla massa deimilitanti e degli elettori. E ha visto nascere — in quello che era il proprio“ambiente” originario nel senso tecnico del termine, nel proprio environment naturale— altre forme di rappresentanza degli interessi e delle culture, reti più omeno lunghe di partecipazione parallela o alternativa, culture, soggettività,aggregazioni che hanno complicato il “gioco”. Moltiplicato gli attori.Relativizzato i poteri.
È da tempo — da un paio di decenni almeno — che il partitopolitico ha smesso di svolgere nei nostri sistemi istituzionali cosiddettiavanzati il proprio ruolo storico. E che la nostra democrazia rappresentativaha mutato natura e logica di funzionamento. Il fenomeno, soprattutto in Italia,è stato mascherato in qualche misura dalla sostanziale continuità di buonaparte della classe politica e del personale professionale di partito,sopravvissuto alle pur rilevanti contorsioni dei rispettivi supportiorganizzativi. Ma le dis-connessioni sono state numerose, ed evidenti: bastipensare alla toponomastica politica e parlamentare dove non vi è settore in cuisi trovi ancora traccia delle antiche etichette anche se vi siedono spesso lemedesime facce. Basta dare un’occhiata alla simbologia politica —sensibilissimo indicatore dei sommovimenti profondi delle appartenenze e delleidentità — resettata sistematicamente con un processo di sradicamento chericorda per molti versi l’ondata biblica che ha spopolato il nostro entroterramontano. O, ancora, è sufficiente curiosare tra le pieghe del nostro territoriocon occhio avvertito, censire l’infinità di sedi dismesse nelle periferieurbane o nei piccoli centri, le vecchie insegne stinte, le bacheche diquartiere ingiallite, per cogliere il processo esteso di “sottrazione” dailuoghi dell’abitare della rete organizzativa partitica, in un esodo verso ilcentro e verso l’alto che lascia al livello del suolo il vuoto.
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