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Luciana Castellina
Segnali francesi
20 Marzo 2009
Articoli del 2009
Qualcosa si muove, altrove; eppure qui è peggio. Forse è un inizio. Il manifesto, 20 marzo 2009

Era un po' che non capitava, girando per le capitali d'Europa, di imbattersi in una manifestazione imponente. Da qualche tempo comincia a riaccadere. Qui a Parigi, in questo assolato giovedì 19 marzo, vengo coinvolta da una moltitudine nello sciopero generale contro la politica di Sarkozy, raffigurato in mille modi sui cartelli di questo corteo cui se ne accompagnano altri 200 nel resto della Francia.

Sono tantissimi. Perché quando i francesi decidono di scioperare, scioperano per davvero compatti. La città è paralizzata. Da Place de la Republique devono avviarsi verso la Nation due flussi diversi, lungo Boulevard de Filles du Calvaire e Voltaire, altrimenti la folla non riuscirebbe a defluire. Perché con i lavoratori - vecchi, e però in maggioranza giovanissimi, assieme a pensionati, insegnanti, precari e ricercatori, dietro alle sigle di tutte le confederazioni sindacali senza eccezione - c'è anche l'«Onda» francese - immensa - degli studenti universitari e medi, che non hanno mollato dopo tre ininterrotti mesi di lotta, sebbene abbiano già ottenuto il blocco delle minacciate riforme.

E ci sono anche gli immigrati, molti, dietro agli striscioni della Cgt che li sta recuperando, e delle organizzazioni di solidarietà con i sans papiers. C'è persino un drappello cinese, con gli striscioni nella loro lingua, la prima volta che li vedo in una manifestazione sindacale.

Ai crocevia drappelli di ostinati militanti di partito distribuiscono le loro ultime proposte elettorali: il Pcf, tutt'ora il più attivo nonostante le batoste, insiste sulla parola d'ordine «unità delle sinistre» e mette assieme nel «front de gauche» anche la recente scissione di sinistra dal partito socialista di Jean-Luc Mélenchon («Partì de Gauche») e quella, piccolissima, di Christian Piquet («Gauche uniter»), che non ha seguito la Ligue communiste, trasformatasi in Npa («Nouveau Parti Anticapitaliste»), che di allearsi non vuole saperne. Così come i trozkisti di Arlette Laguiller e un'altra parte di quelli che avevano condotto la battaglia per il no al referendum sulla costituzione dell'Unione europea. Mentre i verdi sembrano essersi invece accordati con José Bové. Tutti in ordine sparso, insomma, come in Italia. Un disastro.

Ma qui, ora, importa poco. Nello sciopero e nell'immenso corteo ci sono tutti. A livello sociale, ci si unisce e ci si mobilita. Ed è già qualche cosa.

Ricordo, molto tempo fa, quando - a New York - un nipotino di Roosevelt, giovane economista di sinistra, mi raccontò di esser andato, mentre era studente al Mit a chiedere al suo professore Paul Samuelson cosa c'era di interessate in Marx che avrebbe dovuto sapere. «La lotta di classe» gli aveva risposto il kennedyano premio Nobel. E infatti si riparte proprio di qui, a quanto sembra. A Parigi, ma anche altrove. Persino in Italia. Non basta da sola, certo, ma è un prezioso zoccolo duro.

Realisticamente, con modestia, più di un cartello ricordava tuttavia che la trincea in questi anni, è un po' arretrata: «Chiediamo democrazia»,

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