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Paolo Cacciari
Segnalazioni curiose (2)
26 Gennaio 2011
Scritti ricevuti
Spigolando sulla stampa, per eddyburg, si comprende che cosa ha in testa chi decide per noi. Brandelli del pensiero corrente

I predatori

“Vorrei fare dell’Italia una Disneyland culturale” è il titolo su Sette, il magazine del Corriere della sera, dell’intervista a Mario Resca diVittorio Zincone. “Sì alle aziende dentro l’università” è il titolo del fondino di Bebbe Severgnini, sempre sul Corriere del 13 gennaio 2011.

Di Resca, si sa ormai tutto: è il responsabile della “valorizzazione del patrimonio culturale” scelto dal ministro Bondi, nonché membro dei consigli di amministrazione di Eni e Mondadori, già manager di McDonald’s, Cirio, Standa, Casinò di Campione ecc. Viene da una famiglia operaia: “Mi iscrissi alla Bocconi vincendo una borsa di studio all’insaputa dei miei genitori”. “Partecipai ai cortei e a qualche occupazione. Ma non ero molto barricadiero. Prima comincia a lavorare per il mensile economico L’espansione. Poi entrai nella Chase Manhattan Bank. Gli amici mi accusavano di essermi venduto all’imperialismo. Mi difendevo dicendo che l’imperialismo si può combattere dall’interno”.

Il nostro manager è contento: “Nell’ultimo anno c’è stato il 15% dei visitatori in più”. E il futuro gli darà ragione: “Nei prossimi 20 anni, se ci crediamo, potremmo assistere a un nuovo rinascimento della produzione di ricchezza basato sulla leadership del nostro patrimonio culturale. L’Italia potrebbe diventare una grande Disneyland culturale. Crediamo davvero che il futuro dei nostri figli sia ancora nelle fabbriche e nel manifatturiero? Lì non abbiamo speranze”.

Pompei non lo sfiora: tutta colpa dei sovraintendenti: “Per guidare la Fiat non è stato chiamato il progettista di un motore Panda, ma un manager come Marchionne. Per gestire Pompei, che ha problemi di sicurezza e migliaia di visitatori al giorno, non ci si può affidare ad un archeologo”. Convinzione avvalorata alla fine dell’intervista. Chiede il giornalista: “Sa dove si trova La madonna del parto di Piero della Francesca? Risposta: “Mi pare in Toscana. Non l’ho mai vista. Lo sa che la volevo portare in trasferta nelle sale del Senato?”.

Ma andiamo con ordine. I musei in Italia sono tanti: 450 solo quelli statali. Forse Resca ne vuole chiudere qualcuno? “No. Voglio valorizzare quel che abbiamo. Soprattutto i siti meno visitati. Magari delegando qualche gestione ai privati”. Però non ne vanno aperti altri: “Dobbiamo valorizzare quel che abbiamo, non aprire nuovi buchi nel bilancio per autocelebrare la politica”.

E’ favorevole alle feste nei musei? C’è forse un problema di decoro? Insinua il nostro giornalista. Risposta: “A me è capitato di cenare all’ombra di incredibili capolavori: un dinner di classe in un museo non è male”. Si teme che un uomo d’azienda come lei punti a mercificare la cultura. Risposta: “La mercificazione era già qui prima che arrivassi io”. Altre domande. E’ favorevole o contrario alla tassa di soggiorno proposta per i turisti? Risposta: “La considero una stupidaggine. Dobbiamo attirare i turisti con nuovi servizi, non con nuove tasse”. Se lei fosse premier? “Defiscalerei le donazioni”. Concetto ripreso: “Berlusconi ha molti meriti, ma non è ancora riuscito a liberalizzare il Paese.”.

Ancora più memorabile l’opinionista, saggista, sociologo di successo Severgnini che inizia così: “Davanti all’Aula del Quattrocento, nella romantica e unitaria Pavia, hanno appeso uno striscione giallo: ‘Fuori le aziende dall’università!’. Domanda:perché? Sono il mostro che vuole divorare il sapere, infilandosi nei consigli di amministrazione? Il seducente vampiro che risucchia i brevetti (…) Questa ostilità va spiegata. In un momento di magra e di tagli rinunciare ad agganciare le università all’economia è una scelta impegnativa. (…)”. Per Severgnini sarebbe meglio scrivere: “Dentro le aziende nell’università!. Con regole chiare, paletti evidenti, vantaggi reciproci: ma siano benvenute. Mi dice un’amica biologa: ‘se le industrie interessate alle nostre ricerche non retribuissero i dottorandi, avremmo una soluzione sola: niente dottorandi’ (…) Impariamo dagli Stati uniti, dove gli ex alunni sono corteggiati e il rapporto con le aziende è incoraggiato e governato da regole chiare (…) Basta dogmi pelosi. Se lo studente tratta le aziende come appestate, mentre è all’università, rischia di venir ripagato con la stessa moneta, appena è laureato e cerca lavoro”. Più chiaro di così.

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