Oggi, 11 gennaio 2011, il quotidiano della Confindustria, il Sole 24 ore, dedica un ricco inserto speciale alla edizione biennale “Pitti immagine uomo” di Firenze. Foto di giacche, scarpe, orologi… i migliori brand e gli indossatori più sexy. Nulla di nuovo, se non fosse per l’editoriale di apertura a cinque colonne, così titolato. Occhiello: “Nuove visioni. La 79° edizione di Pitti si apre in una difficile congiuntura economica e sociale”. Titolo: “Così la crisi ha cambiato l’idea di felicità e di natura”. Sommario: “L’uomo 2011 potrebbe ribellarsi agli effetti del turbo capitalismo e del narcisismo esagerato che ha prodotto disastri su persone e sistemi”. A firma di un giornalista filosofo Walter Mariotti direttore del raffinatissimo supplemento mensile Lifestyle, sempre del Sole, che vi invito a guardare ogni tanto, perché spesso pubblica servizi interessanti.
Ecco ampi stralci dell’articolo.
«Essere felici. E’ il programma minimo per il 2011, realizzabile ad una sola condizione: il coraggio di abbandonare l’idea base del capitalismo classico che fonda il nostri immaginario personale e collettivo. La convinzione di uno sviluppo crescente e infinito. Del resto dopo l’ultima crisi siamo paradossalmente fortunati. Sappiamo che l’accumulazione è un mito, che non si può separare l’economia dall’etica ed equilibri ecologici perché il prezzo è troppo alto: la devastazione dell’ambiente, del mercato e di qualcosa ancora più profondo ed essenziale: l’inconscio, fonte della verità degli uomini contemporanei».
Mariotti passa ad intervistare lo psicanalista Massimo Recalcati, che afferma:
«E’ l’epoca del turbo capitalismo, dell’inebetimento maniacale, della gadgettizzazione della vita, della burocrazia robotizzata, del culto narcisistico dell’io, dell’estasi della prestazione, della spinta compulsiva al godimento immediato come nuovo comandamento assoluto. (…) Recalcati parla di ‘antiamore’ di una società dominata da legami liquidi, dove ogni giorno si sbriciolano i riferimenti simbolici che facevano da bussola per orientare le nostre vite (…) di ‘ assimilazione conformista con il mondo esterno’.(…). Come uscirne? Come riscoprire la verità del proprio desiderio oltre gli schemi del turbo capitalismo? Ancora una volta la risposta è semplice ma coraggiosa. Un nuovo modello di pensiero, che riancori l’economico nel sociale facendo della sobrietà la base necessaria. Un patto sociale inedito, che risponda all’individualismo degli ultimi trent’anni strutturando forme di identità e di democrazia attraverso consumi qualitativi e alternativi basati su principi di sovranità essenziale».
La parola quindi passa ad un altro filosofo, Eduardo Zarelli, direttore della casa editrice Arianna che spiega - tra l’altro- che «l’uomo non può mutare se stesso senza mutare l’approccio relazionale con la natura». Prosegue Mariotti:
«Occorre una vera svolta culturale ed esistenziale che riesca nuovamente a collocare l’uomo nella natura innescando una revisione critica dell’idea di civiltà tecno-scientifica. ‘L’ecologia profonda – spiega Zarelli – oltrepassa l’approccio scientifico fattuale per raggiungere la consapevolezza del sé e della saggezza della manifestazione naturale. L’uomo è polisticamente inteso come parte di un tutto relazionale. L’implicazione di questo principio è l’ecocentrismo, secondo cui la natura va protetta di per sé, per il suo valore intrinseco, indipendente dall’utilità strumentale o intergenerazionale. Se arrechiamo danni alla natura danneggiamo noi stessi.. Il tipo di approccio alla realtà che se ne ricava è radicale: bisogna interamente ripensare l’attuale società, le forme culturali e il posto dell’uomo nella natura. Occorre agire sulle cause invece che sugli effetti (…) Non giocare la natura contro l’uomo e i suoi processi ribaltando lo schema meccanicistico dello sfruttamento in un’irreale fuga dalla civiltà, ma praticare la via intermedia del giusto mezzo all’insegna del riequilibrio olistico tra cultura e natura (…) nello sposare la semplicità volontaria dello stile di vita a una felicità cercata nella virtù, nella misura, della compiutezza in controtendenza alla dissoluzione dei consumi nell’egoismo narcisistico che fa della felicità un diritto, a prescindere dai doveri dell’uomo nei confronti della natura e della comunità di cui è parte. Dolo una felicità-virtù può ridurre i bisogni materiali, la complessità organizzativa e la tensione psicologica e decisionale del singolo; all’opposto una società edonistica, sposando una felicità-piacere, proietterà i bisogni nell’artificio e nell’illimitatezza fino a rendere patologica l’indecisione individuale nell’ansia abulimica o anoressica dell’eccesso o del suo rifiuto»
E così chiude:
«E’ il cuore di tenebra del capitalismo, la sua ultima fermata verso una visione riduttiva dell’uomo creato per ben altri orizzonti. Liberi dall’immaginario - che oggi qualcuno cima ‘narrazione’ - di uno sviluppo deviato che rende sudditi e consumatori per riscoprirsi soggetti liberi e creativi, in grado di sintonizzarsi di nuovo con l’essere divino della natura umana. Rinunciando alle seduzioni faustiane dell’avere che hanno prosperato per troppi anni tradendo tragicamente l’idea di felicità». Fine.
Tutto questo al Pitti!