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Federico Rampini
Se torna lo scontro
23 Agosto 2013
Democrazia
Un'intervista a Fareed
Un'intervista a FareedZakaria: L’Occidente e l’Islam vent’anni dopo Huntington. Il tragico “dirottamento” delle primavere arabe, le illusioni soffocate nel sangue al Cairo ebbero un profeta visionario vent’anni fa?

La Repubblica, 23 agosto 2013. Con postilla

Samuel Huntington, il grande studioso americano di scienze politiche e relazioni internazionali scomparso nel 2008, pubblicò nell’estate del 1993 un saggio destinato ad essere esaltato, strumentalizzato, incompreso, vituperato. Poche opere negli ultimi decenni hanno avuto l’impatto de Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale (pubblicato in Italia da Garzanti). Spesso ignorando la raffinatezza e la complessità della sua analisi, molti se ne sono impadroniti senza averlo veramente letto: è il destino dei veri classici, da Machiavelli a Marx. Huntington, forse pentito di aver lasciato cadere il punto interrogativo del suo titolo iniziale, tentò di difendersi dai manipolatori: fino all’ultima intervista che mi rilasciò poco prima della sua morte, si definiva caparbiamente un conservatore senza il prefisso “neo” davanti, per distanziarsi così dalle avventure militari con cui l’Amministrazione Bush s’illuse di ridisegnare gli equilibri geostrategici del Medio Oriente.

Ma oggi, proprio mentre il suo saggio più celebre compie vent’anni, c’è chi vede nella tragedia egiziana una conferma che è impossibile “trapiantare” frettolosamente le regole della liberaldemocrazia in quel contesto. È quel che pensano i fautori della realpolitik, compreso il governo d’Israele, quando suggeriscono all’America di rassegnarsi alla dittatura militare in Egitto. Ne parlo con Fareed Zakaria, l’allievo che pubblicò Huntington, diventato a sua volta una star del dibattito geopolitico negli Stati Uniti, oggi come editorialista di Time e della Cnn.

Lei era un giovanissimo direttore della prestigiosa rivista Foreign Affairs,quando decise nel 1993 di pubblicare l’articolo di Huntington sullo “scontro delle civiltà”, lo spunto iniziale di quello che poi divenne il libro. Lei che ne era stato allievo a Harvard, come ricorda Huntington?
«Era una strana mescolanza di contrasti. Era timido e formale nei modi, eppure si ritrovò circondato da una comunità di studenti e amici molto leali. Di persona era esitante, impacciato, ma la sua prosa esprimeva idee forti e controverse. Fu il mio maestro, e alla fine un amico. Che io condividessi o meno le sue analisi, ho imparato più da lui che da qualunque altro studioso incontrato nella mia vita. Aveva una grande disciplina. Ogni mattina della sua vita la dedicò a lavorare ai suoi grandi progetti di ricerca; solo quando aveva finito quella parte si rivolgeva all’insegnamento o altri impegni. Perciò fu capace di sfornare un’opera monumentale ogni cinque o sette anni. Si concentrava sui grandi temi, non perdeva tempo con i dettagli».

Lo scontro delle civiltà ebbe un grande impatto già negli anni Novanta, ma fu ancora più influente dopo l’11 settembre 2001. Oggi lei lo considera preveggente sul conflitto tra l’Occidente e il fondamentalismo islamico?
«Ricordo che nella versione iniziale, che lui mi mandò mentre finivo il mio dottorato di ricerca e stavo per andare a dirigere Foreign Affairs, c’era un punto interrogativo in quel titolo. Appena uscì la rivista con quel saggio in apertura, divenne un caso mondiale. Sì, per molti aspetti fu preveggente. Ciò che Sam capì meglio di chiunque altro fu questo: con la fine della Guerra Fredda le ideologie perdevano il loro potere di mobilitare i popoli, e qualcos’altro le avrebbe sostituite. Lui anticipò che questo qualcos’altro sarebbe stato un senso di identità culturale, basato soprattutto sulla religione. E questo avrebbe messo particolarmente la civiltà islamica in conflitto con l’Occidente. Si possono contestare le specifiche conseguenze politiche che furono derivate da questa analisi, ma il nucleo centrale è vero ed è importante ».

Nel suo saggio Huntington citava molte altre civiltà, non solo l’Occidente e l’Islam, che oggi concentrano l’attenzione.
«La sua analisi aveva due tipi di difetti. Primo: Huntington sottovalutò la potenza della modernizzazione, che ha diluito molte di quelle identità culturali. I nazionalisti cinesi o russi sono opposti all’Occidente, ma all’interno dei loro Paesi ci sono forze che si mescolano con l’Occidente. L’Islam è la più forte civiltà in cui molti elementi sono a disagio nella modernità definita dall’Occidente. Questo non esclude che nascano problemi con altre culture, penso per esempio al caso del nazionalismo turco sempre più intrattabile. Ma parlare di scontro di civiltà per descrivere queste tensioni è eccessivo. Il secondo difetto nell’analisi di Huntington è che sembra dimenticare chi sono gli attori primari nelle relazioni internazionali: sono gli stati, non le civiltà. E gli stati agiscono sulla base di interessi nazionali, che talvolta coincidono con le culture ma spesso no».

Nonostante questi limiti, la sua analisi resta rilevante oggi?
«Sì, possiamo imparare molto usando le sue intuizioni centrali: il senso d’identità si sta rafforzando, e sull’identità (a differenza che sugli interessi economici) è difficile accorciare le distanze o raggiungere compromessi. Non puoi diventare metà musulmano e metà ebreo. Nel mondo arabo, al posto delle tradizionali rivalità nazionali, abbiamo gli arabi contro i persiani, i sunniti contro gli sciiti. Questo non coincide esattamente con le previsioni di Sam, ma corrisponde alle sue intuizioni».

Che dire delle conclusioni che Huntington traeva in termini politici, sull’interazione fra l’Occidente e gli altri?
«È il punto su cui fu spesso incompreso. La sua ricetta diceva che l’Occidente dovrebbe avviare un dialogo con le altre culture, cercare terreni d’intesa, cooperare per un mondo multipolare più stabile. Era orgoglioso della cultura occidentale, credeva nelle sue grandi virtù, ma non era un guerriero dei valori culturali. Voleva trovare la strada verso il rispetto reciproco, la tolleranza, l’armonia nelle relazioni internazionali. Non una resa, ma un dialogo e un confronto ».

Dopo le primavere arabe e i loro tragici sviluppi, cosa dovremmo concludere sulla relazione tra valori universali (diritti umani, libertà, democrazia) e specifiche culture come quelle islamiche?
«Molte componenti delle culture islamiche sono a disagio nella modernità che l’Occidente ha creato. Questa può sembrare un’affermazione eccessiva visto che la più grande nazione musulmana, l’Indonesia, è molto moderna. E l’India con i suoi 150 milioni di musulmani è democratica e tollerante. Ma siamo realisti, ci sono elementi nell’Islam e soprattutto nel mondo arabo che considerano inconciliabili con la loro religione il rispetto delle altre fedi, i diritti delle donne, il pluralismo. Anche quando non sono la maggioranza a pensarla così, tuttavia hanno un seguito di massa. Finché le società islamiche non si conciliano con alcuni ingredienti basilari della modernità, come la tolleranza verso le altre religioni e l’eguaglianza di diritti per le donne, ci sarà una tensione fra loro e l’Occidente. Ma poiché quelle società sono divise anche al loro interno, questo significa che le tensioni da sciogliere sono dentro di loro, e forse più gravi».

Quel che accade oggi in Egitto convalida la visione di Huntington, o al contrario dietro il colpo di Stato militare e la repressione dei Fratelli musulmani c’è un pezzo di quella società che continua a credere in un ideale democratico universale?
«L’Egitto illustra proprio quella coesistenza di due correnti, la moderna e l’anti-moderna. Quel conflitto va risolto perché l’Egitto possa andare avanti. Da fuori, possiamo fare poco per influenzare lo scontro al suo interno. L’esistenza di quella spaccatura in qualche modo rende giustizia alle teorie di Huntington, sia pure con un paradosso. Lui vedeva l’Islam, erroneamente, come un monolito. Non capì che lo scontro di civiltà avviene dentro quella grande civiltà. E tuttavia quel che resta valido vent’anni dopo il suo saggio sono le grandi forze che lui descriveva in azione: la religione, l’identità, la cultura, e le loro influenze congiunte sulle varie civiltà ».
Postilla

Postilla
Forse un altro errore di Huntington è stato non aver compreso che c’era una nuova religione emergente e pronta a devenire vincente: quella del Denaro, il cui profeta è il Mercato.
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