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Carlo Vulpio
Se Matera diventa capitale della cultura lo deve a Olivetti
25 Febbraio 2015
Libri da leggere
Rimpianto per l'epoca della ricostruzione, quando pareva ancora possibile che l'urbanistica si inserisse in un progetto sociale e politico più ampio per lo sviluppo del paese.

Rimpianto per l'epoca della ricostruzione, quando pareva ancora possibile che l'urbanistica si inserisse in un progetto sociale e politico più ampio per lo sviluppo del paese. Corriere della Sera, 25 febbraio 2015

Se Matera è stata scelta come capitale europea della Cultura per il 2019 lo deve ad Adriano Olivetti e alla pattuglia di intellettuali e professionisti che negli anni Cinquanta lo accompagnò nella realizzazione di un’apparente utopia: fare di Matera, la città considerata «la capitale dell’Italia contadina», un’altra Ivrea. Replicare, nel Mezzogiorno d’Italia, ma senza colonialismi né forzature, ciò che era avvenuto nel Canavese di Olivetti, cioè creare una «comunità di persone» che lavorano e vivono in armonia tra loro e con l’ambiente che li circonda, perché «ricostruite» anche moralmente ed «educate a pensare».

Era da poco finita la guerra, l’Italia viveva degli aiuti americani del Piano Marshall e negli Stati Uniti era esplosa la curiosità di conoscere il nostro Sud e, in particolare, le due facce di quella città, Matera, raccontata da Carlo Levi in Cristo si è fermato a Eboli come un unicum trogloditico (i Sassi) abbandonato alla miseria e all’arretratezza, ma anche come «una città bellissima, pittoresca e impressionante».

Olivetti era amico di Levi e durante i suoi viaggi negli Usa si rende conto dell’interesse suscitato anche lì dai temi di quel libro, che per lui erano stati illuminanti. Così nel 1947, diventato commissario dell’Unrra-Casas (l’organismo delle Nazioni Unite per la ricostruzione dei Paesi danneggiati dalla guerra e per il soccorso ai senzatetto), e poi nel 1950 presidente dell’Inu (l’Istituto nazionale di urbanistica), Olivetti «recluta» un giovane professore americano dell’Arkansas, Friedrich Friedmann, e gli affida la direzione di una commissione di studio sui Sassi. Nello stesso tempo, chiede a un gruppo di urbanisti, architetti e sociologi guidati da Ludovico Quaroni di progettare, alle porte di Matera, un villaggio modello che si chiamerà La Martella («l’altra Ivrea»), in cui sarebbero andati ad abitare una parte dei 16 mila contadini stipati nelle 3 mila grotte dei Sassi. Risanare i Sassi, dunque, per non abbandonarli al degrado. Ma dimezzarne la popolazione — costretta a vivere insieme con le bestie e a morire di malaria — trasferendo l’altra metà, assegnataria di terre coltivabili grazie alla Riforma agraria, a La Martella, dove avrebbe abitato case degne e ritrovato la dimensione comunitaria dei Sassi senza patirne i guasti.

Questa formidabile avventura, cominciata nel 1950, l’anno in cui Olivetti lancia la macchina per scrivere Lettera 22, è raccontata in un libro altrettanto formidabile, Matera e Adriano Olivetti. Conversazioni con Albino e Leonardo Sacco, di Federico Bilò e Ettore Vadini (edito dalla Fondazione Olivetti, pp. 278). Il volume è arricchito da una conversazione inedita tra la figlia di Adriano, Laura, e Friedmann, il quale, per far capire bene chi era e come ragionava Olivetti, racconta che «tra le cose che mi fecero una certa impressione a Ivrea, c’era un concorso mensile riservato agli operai, che dovevano recensire un libro: i vincitori venivano mandati a spese dell’azienda in una scuola di formazione tecnologica». Il libro di Bilò e Vadini è indispensabile per capire i Sassi, Matera, il Sud e l’entusiasmo di quei giovani, tra i quali i fratelli materani Albino e Leonardo Sacco, che vi si dedicarono con tutta l’anima.

Al punto che oggi, un giovanotto di 91 anni qual è Leonardo Sacco — amico fraterno di Levi e Olivetti — ha avuto l’idea di cedere alla Regione Basilicata i suoi diecimila volumi al prezzo simbolico di un euro affinché a La Martella e a Matera sorgano due biblioteche intitolate ad Adriano Olivetti. E tuttavia, nonostante l’accordo firmato e i mille discorsi (infarciti di molto inglese inutile) sulla capitale europea della Cultura che deve tutto a quel signore di Ivrea, per le biblioteche il treno si è fermato. Di nuovo a Eboli?
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