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Sergio Cararo
Se la destra cavalca l'astensionismo
19 Marzo 2010
Articoli del 2010
Diventa sempre più consistente il rifiuto delle elezioni: sarà il bipolarismo a portare alla dittatura della minoranza? Il manifesto, 19 marzo 2010

Lo spettro dell'astensionismo di massa aleggia sulle prossime elezioni regionali in Italia. Lo spettro si è già materializzato Oltralpe nei risultati elettorali francesi che hanno visto la sconfitta del partito di governo del centro-destra di Sarkozy. Fatte le dovute differenze, l'indicatore della disaffezione di quote crescenti di popolazione dalla certificazione delle opzioni politiche a disposizione - le elezioni - alimenta questa volta sponsorizzazioni e preoccupazioni diverse dal solito.

A oggi il più preoccupato da un astensionismo che danneggerebbe le proprie liste, è lo schieramento di centro-destra, soprattutto nella sua filiazione più direttamente berlusconiana. «Prima il partito dell'astensione coincideva con elettori di sinistra delusi, magari intellettuali. Oggi no, di astensione puoi sentir dibattere in un mercato, o tra artigiani elettori classici del centrodestra» sottolinea La Stampa. Gli fa eco un guru dei sondaggi come Renato Mannheimer, secondo il quale «sì, stavolta un'alta astensione è una possibilità reale. Non di dimensioni francesi, magari; ma mai così alta prima da noi». Non solo. Un altro organo di informazione dei poteri forti, Il Sole 24 Ore, il 12 marzo ha dato ampio spazio, ma soprattutto legittimazione, ai risultati di un sondaggio condotto dalla Swg per conto della Fondazione «Italia Futura» di Luca Cordero Montezemolo, un altro businessman che più di qualcuno vorrebbe e vedrebbe bene come presidente del Consiglio al posto di Berlusconi - da la Repubblica fino a settori del popolo viola che, nella pronta iniziativa di piazza Navona in difesa della Costituzione, hanno letto il brano sul «governo dei migliori» di Pericle che tanto sta a cuore allo stesso Montezemolo.

«Non è più un tradimento»

Secondo il sondaggio commissionato alla Swg di Trieste «favorevole all'astensione è il 25% degli intervistati, contrario il 58%. Ma il dato cambia se si chiede di prendere in considerazione il caos che caratterizza la vita politica italiana e il particolare momento che accompagna le elezioni regionali. In questo caso il 35% dei cittadini ritiene che la scelta di non andare a votare o di votare scheda bianca sia legittima. Il dato sale ulteriormente, fino ad arrivare al 51%, se si prende in esame la classe di età tra i 18 e i 34 anni». I risultati del sondaggio servono alla fondazione di Montezemolo per affermare alcune cose:

1) L'astensionismo elettorale di fronte ai soggetti dell'attuale competizione politica non è più un tradimento del diritto-dovere del cittadino ma una forma di aperta e legittima obiezione di coscienza

2) Ad essere astensionisti non sono più gli elettori più esigenti o più radicali della sinistra o le popolazioni delle isole e del Meridione, ma quote crescenti di professionisti, imprenditori, ceti medio-alti delusi dall'estremismo berlusconiano e dalla pochezza del Pd.

3) L'astensionismo cresce tra le nuove generazioni come forma di rifiuto attivo verso i lacci e lacciuoli politici e sociali del sistema Italia che ne impediscono la conquista di uno status sociale coerente con le proprie altissime aspettative, verso un sistema arretrato rispetto agli standard economici, politici e sociali europei.

Emerge insomma come una parte dei poteri forti (a partire da Montezemolo e Confindustria), una volta verificata la loro straordinaria ininfluenza politica ed elettorale nella pancia profonda del paese, questa volta tenti di usare la carta della delegittimazione attraverso l'astensionismo non in senso sovversivo ma come forma di pressione sull'attuale e troppo populista establishment politico.

Il loro interesse infatti non è certo quello di recuperare la partecipazione popolare ai processi politici, al contrario, essi sono stati tra i carri armati dell'introduzione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e delle sue maglie restrittive del suffragio universale. Il fatto è che il quadro attuale non consente quella «terza forza» per cui lavora Montezemolo e che abbisogna del proporzionale. Scrive ancora La Stampa (di proprietà della Fiat) che «qualcosa di culturale è mutato nella percezione italiana. Alle politiche del '53 o del '58 votarono il 93,8% degli italiani. Ma dalla svolta maggioritaria del '93 in poi è iniziato un calo costante, culminato col 35% di astensioni alle ultime europee».

L'invasione di campo

Quello maggioritario è dunque un sistema che volutamente allontana dal processo elettorale quasi un cittadino su tre perché, in nome della govenrabilità e dell'alternanza, lo costringe a votare su opzioni e candidati che ingabbiano l'esigenza di rappresentanza politica e ne eliminano quelle considerate incompatibili con la centralità degli interessi materiali della borghesia italiana. Lo confermano la bassa partecipazione popolare alle elezioni nei paesi dove da sempre vige il sistema maggioritario. Lo incentivano non pochi pensatori «liberali» secondo cui l'esercizio della partecipazione alle sorti delle società è sempre stato un privilegio per i «migliori» che va negato al popolo dei semplici e dei meno abbienti.

In queste elezioni regionali siamo dunque in presenza di una «invasione di campo» da parte di una frazione della borghesia sul terreno dell'astensionismo elettorale inteso come opzione politica. Una invasione che cerca di agire questo strumento contro un'altra frazione del suo stesso blocco sociale. È una situazione decisamente imbarazzante ed inquietante quando il nemico di classe si appropria di ogni spazio di espressione politica. È materia su cui riflettere e non solo per le prossime elezioni regionali. La questione della rappresentanza politica dei settori popolari e della ricostruzione di un blocco sociale intorno a interessi di classe ben definiti, è una sfida che il politicismo della sinistra esistente ha continuato a rimuovere in modo decisamente suicida. Per questo adesso viene incalzata e rimossa in tutti gli spazi dello scenario politico.

L’autore è direttore di Contropiano

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