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Vittorio Gregotti
Se la città è fatta di recinti
27 Luglio 2010
Spazio pubblico
La progettazione urbana contemporanea per spazi sedicenti “definiti” prodotto e metafora di una società autoritaria e segregata. Il Corriere della Sera, 27 luglio 2010 con postilla (f.b.)

Spero sia cosa ovvia affermare che la pratica di chiudere qualche gruppo sociale entro un recinto di muri sia la rappresentazione simbolica della paura delle comunità altre e del suo fantasmatico antidoto, cioè la sicurezza soggettiva o di una comunità in cui si pensa di riconoscersi. Non si può dire certo che manchino anche nella storia antica del nostro pianeta esempi della questione, anche se gli esempi dei nostri anni hanno allargato notevolmente le antiche motivazioni di difesa militare della costruzione delle mura della città, e della loro coincidenza con il limite città-campagna che ne definiva l'insediamento. Il borgo medioevale era sovente un luogo specializzato ma al servizio della città; persino la specializzazione funzionale degli insediamenti predicata dalla Carta d’Atene negli anni 30 del ventesimo secolo si presentava come un modo di essere della organizzazione della città senza recinti murati.

Ma gli esempi di oggi, con giustificazioni diverse, investono l’intero pianeta in modi nuovi: motivazioni di contese territoriali, motivazioni religiose, razziali, di censo, di protezionismo economico, ma anche di difesa di privilegi o di vere o supposte identità comunitarie, di cultura, di lingua, etc etc. Si va dai muri che dividono palestinesi ed israeliani (muri dimentichi delle terribili tradizioni dei ghetti ebraici) sino a quelli frammentari che chiudono nei paesi d’Europa gli immigrati clandestini. Sono anche ben noti i recinti controllati che definiscono negli Stati Uniti (ma anche in alcuni paesi sudamericani) gli insediamenti per ricchi, a partire ad esempio da Lewittown sino ai numerosi casi californiani: per scendere alle nostre provinciali imitazioni come «Milano Due».

Una delle motivazioni (o se si vuole delle coperture ideologiche) più diffuse è quella del «controllo urbano» nella prospettiva del suo indispensabile funzionamento nei confronti degli spostamenti di popolazione (più o meno clandestina) nei paesi più ricchi dai paesi più poveri; l’altra quella dell’immigrazione della manodopera dalla campagna alla città, con le diverse motivazioni relative.

Di recente sono emersi a questo proposito i provvedimenti presi in alcune grandi città cinesi per regolare gli insediamenti di periferia, conseguenti al fenomeno dell’inurbamento delle campagne, con la costruzione di insediamenti definiti da muri e cancellate sorvegliate, da cui si entra o si esce mostrando un documento, recinti che circondano interi quartieri come quello di Daxing alla periferia di Pechino. È pur vero che in Cina la tradizione del recinto sorvegliato èmolto antica anche se è oggi rotolata dall’antica «città proibita» sino all’isolato con ingressi sorvegliati, un principio fatale al destino dei nuovi insediamenti cinesi. Sono tutti segnali che la relazione tra città e cittadini si è fatta sempre più instabile e provvisoria. La città più che accogliere seleziona, produce scarti sotto forma di quantità crescente di immondizie ma anche di esuberi umani che il potere tenta di contenere in recinti.

Il recinto, lo spazio sorvegliato (ricchissimo o poverissimo) è quindi un’idea che va molto di al di là del tema della sicurezza, è il principio di una concezione della stessa città come somma di «accampamenti» reciprocamente impermeabili. Ciascuno provvede alle proprie necessità primarie e forse, in futuro, oltre che ad una propria polizia, ad una propria giustizia. Ciascuno è visto come nemico del gruppo opposto.

Scrivo di «accampamenti» perché essi, nella mobilità socio-finanziaria dei nostri anni, sono aree che negano qualsiasi possibilità di stratificazione storica, non si propongono come luoghi componenti di un insieme urbano riconoscibile. Proprio a partire dal suo isolamento e dalla sua autonomia relativa l’accampamento (anche multipiano ed esteticamente decorato) è nel suo insieme pronto ad essere sostituito tra un trentennio da qualcosa d’altro, più redditizio o meglio localizzato; non fonda cioè in alcun modo l’idea di contesto civile, non conta come tessuto urbano consolidato, non contiene funzioni aperte e necessarie al resto della città; le sue variazioni interne sono solo provvisoriamente estetiche o duramente connesse alla pura sopravvivenza.

Ancora una volta, quindi, neofunzionalismo immobiliare, riduzione delle parti urbane a gettoni da giocare al momento giusto in funzione speculativa. Contro, un’immagine della città come luogo del mutamento, della mescolanza, della possibilità, della libertà come progetto aperto di relazioni urbane, ci si muove in direzione opposta della postmetropoli senza forma.

postilla

Giustamente Gregotti individua aspetti fortemente simbolici di certe forme insediative che spesso diamo per scontate, e/o che molti suoi colleghi progettisti praticano, insegnano a giovani ahimè assai plasmabili, impongono in quanto emissari di grandi operatori immobiliari.

C’è naturalmente dell’altro, sopra, sotto e oltre l’aspetto puramente spaziale dei fenomeni descritti, e ha a che fare direttamente col potere, col nostro futuro, con le possibilità che abbiamo di incidere concretamente anche nella qualità concreta di questi ambienti, oltre che nei valori che rappresentano.

Nel corso delle edizioni 2008 e 2009 della Scuola di eddyburg, a proposito sia della vivibilità che dello spazio pubblico, abbiamo rivolto un'attenzione particolare alle politiche e ai progetti urbani che mistificano il concetto stesso di spazio pubblico (e quello di città) promuovendo segregazioni, recinzioni, frammentazioni, sconnessioni fisiche e sociali. Che cosa possiamo fare per tutelare, riconquistare, ampliare un vero spazio pubblico aperto, accessibile, politicamente praticabile a tutti?

Le riflessioni di studiosi, operatori, società civile, sui temi della Scuola di eddyburg sono raccolte in libro. Oltre a quelli già pubblicati (a proposito di sprawl, di città pubblica, di vivibilità) è disponibile fra pochi giorni quello dedicato allo spazio pubblico: declino, difesa, riconquista (f.b.)

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