Il giudice per le indagini preliminari di Milano, Clementina Forleo, chiede al Parlamento di rendere «utilizzabili» nel processo le intercettazioni telefoniche in cui sono incappati i Ds Massimo D´Alema, Nicola Latorre, Piero Fassino; il senatore e i deputati di Forza Italia, Grillo, Comincioli e Cicu. Il ceto politico – in coro e con allarme, a destra come a sinistra – discute i toni e le parole che il gip, Clementina Forleo, ha ritenuto di adoperare nella sua ordinanza. Il ministro di giustizia si spinge addirittura a ipotizzare contro il giudice «una potenziale lesione dei diritti e dell´immagine di soggetti estranei al processo». I «soggetti estranei» sarebbero i politici di cui si parla. Al contrario, il giudice li definisce «complici consapevoli» dei reati ipotizzati nel tripartito progetto di scalata Antonveneta/Bnl/Rcs-Corriere della Sera. Chi è chiamato a giudicare? Il ministro o il giudice? Forse il giudice anche quando si tratta di politici, e allora la confusione di linguaggi, interessi e opposte (e forzate) interpretazioni può far perdere il filo.
Che cosa accade? Accade che, dopo la pubblicazione a goccia e a boccone, delle intercettazioni di due anni fa finalmente abbiamo - con la richiesta di utilizzabilità - un giudice che configura penalmente "il fatto" e non è tenero con i politici coinvolti nell´affare. Al giudice, i politici appaiono non «passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti né personaggi animati da una sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata che si stava consumando ai danni dei piccoli e medi risparmiatori, in una logica di manipolazione e lottizzazione del sistema bancario e finanziario nazionale».
I politici, dunque, non stavano soltanto alla finestra per guardare e applaudire o fischiare, ma erano sul terreno di gioco a giocare una partita che era anche loro. Ma i dialoghi telefonici giustificano questa approssimata - preliminare, appunto - convinzione? Va detto che nessuno può dirla spensieratamente ballerina. Anche senza trarre affrettate conclusioni di colpevolezza o di innocenza, è indubbio che quelle conversazioni hanno bisogno di spiegazioni, approfondimenti, indagini. Il reato degli "scalatori" è documentato. Ammettono di aver messo insieme il 51 per cento prima di lanciare un´offerta pubblica di acquisto (opa) obbligatoria già quando si detiene il 30 per cento. Confessano candidamente come hanno occultato gli accordi sotto banco. Peccano di «insider trading» e "passano" quelle informazioni privilegiate a soggetti non legittimati a riceverle. Bene, fin qui tutto chiaro. Ma i politici? Non si limitano a raccogliere notizie, a tenersi informati sugli eventi. Per il giudice, intervengono, si danno fare per rimuovere o aggirare gli ostacoli. Hanno un ruolo attivo. Sono partecipi (se complici appare troppo). Per usare le parole di Clementina Forleo, sono «pronti e disponibili a fornire loro supporti istituzionali». Giovanni Consorte (Unipol) giunge a chiedere a D´Alema e Latorre un aiuto: «Stiamo messi così, adesso dovete darci una mano a trovare i soldi, no?». E Latorre: «Vabbé, a disposizione». E, più tardi D´Alema, a un Consorte che gli racconta delle sue riunioni con il mondo cooperativo, chiede: «Di quanto hai bisogno ancora?». «Non tantissimo, di qualche centinaio di milioni di euro», risponde l´altro.
Appare chiaro dalla lettura dell´ordinanza che, per il giudice, questi colloqui sono frammenti d´indagine che avrebbero giustificato un´iscrizione al registro degli indagati e un´investigazione severa. Iniziative che non sono mai decollate per la inutilizzabilità delle intercettazioni "politiche". Una volta utilizzabili - sembra di capire - il giudice si attende dal pubblico ministero un´imputazione e, in sua assenza, appare pronto a chiederla coattivamente. Quindi, se il Parlamento dovesse liberare quelle carte è molto probabile che soprattutto D´Alema e Latorre saranno indagati.
Ora ci si deve interrogare sulla correttezza delle mosse del giudice. In altri termini, la legge consente al giudice per le indagini preliminari di "leggere" con tanta severità le carte, giungendo anche a una prima conclusione su soggetti che non sono stati mai ufficialmente indagati? Non c´è dubbio che la Forleo si muove nell´ambito delle regole. Potrebbe addirittura indicare al pubblico ministero quali aspetti dell´affare approfondire. Deve spiegare però al Parlamento la necessità di mettere a disposizione della giustizia quelle intercettazioni. Per farlo, è quasi obbligata a squadernare la rilevanza di quei comportamenti, la loro opacità, l´opportunità di verificarne la consistenza penale. Non c´è dubbio che nel farlo, scivoli in qualche eccesso moralistico e sovrattono. Non sembra che un giudice possa essere, per dirne una, il tutore dell´«immagine del Paese». Ma può una "papera" oscurare i fatti? O gettare in un canto l´esigenza di accertare chi ha fatto che cosa, e perché, in una stagione in cui, come dicono con candore gli intercettati, si voleva «cambiare il volto del potere» italiano? Ora la parola tocca al Parlamento. Che si spera renderà al più presto utilizzabili quelle intercettazioni anche nella consapevolezza che la scelta può significare - per tre uomini del centrosinistra e tre uomini del centrodestra - affrontare i pubblici ministeri, un´istruttoria, un giudice. Una decisione contraria - il rifiuto - creerebbe una nuova nuvola nera sui destini della politica italiana; impedirebbe ai protagonisti di liberare la propria reputazione da ogni sospetto; accentuerebbe la separatezza della politica dal Paese. A chi conviene?