Fiumi da tutelare come monumenti, boschi da salvaguardare al pari dei centri storici. Un approccio innovativo, portato avanti quando parlare di «cultura ambientale» in Italia era ancora affare per pochi. È quello del Piano paesistico regionale, che compie vent’anni ma non li dimostra, pronto a raccogliere nuove sfide. Come spiega una dei suoi artefici, l’architetto Felicia Bottino allora assessore all’Urbanistica: «I fulcri dello sviluppo regionale del futuro? I fiumi, che devono tornare a essere la porta di accesso alle città, e l’Appennino».
Professore, tutto cominciò con la legge nazionale Galasso che nell’85 introdusse per la prima volta l’idea di tutela e di salvaguardia dell’identità e degli aspetti naturalistici del territorio.
Ma rimase in sostanza lettera morta. L’Emilia-Romagna fu la prima a recepirla, seguita credo solo dalla Liguria. Scegliemmo la strada di un Piano, che attraverso norme o direttive poteva intervenire su tutto il complesso del territorio, e a cui quindi tutti i soggetti, privati o Comuni che fossero, dovevano adeguarsi. Una scelta molto forte e innovativa.
Ma anche contestata?
Sì, ricordo soprattutto il divieto di escavazione nel Po e negli altri fiumi che andava a incidere sulle attività di cava, tra le più remunerative, la Regione pose il vincolo ben oltre i 150 metri dai parchi fluviali. I fiumi e la costa furono senz’altro il teatro delle attività di salvaguardia più significative. Ma penso anche a molti enti locali, risentiti perché vedevano invasa la loro capacità di pianificazione.
Un esempio?
Quello era il periodo in cui la Riviera fu invasa dalla mucillagine. Gli operatori turistici, preoccupatissimi, volevano costruire piscine sulla spiaggia per non perdere clienti: sulla base dei singoli piani regolatori comunali magari avrebbero anche potuto riuscirci, il nostro Piano lo vietava. Per la sinistra fu un’operazione coraggiosa portare avanti questa battaglia: servì a creare una cultura ambientale che oggi diamo per scontata ma che allora non c’era. Anche se nella nostra regione i vincoli ambientali erano già una tradizione in molti Comuni.
La soddisfazione più grande?
Quando ho incontrato sindaci che dopo anni mi hanno dato ragione. Ma anche vedere che la Convenzione europea del 2000 andava nella direzione da noi già intrapresa. La Regione poi mi ha fatto un vero regalo di compleanno: con assessori e tecnici di Regione, Provincia e comuni dovrò redigere il documento con le linee di azione del nuovo Piano paesistico regionale, per recepire proprio la Convenzione europea.
Quali sono le nuove sfide da raccogliere?
Si tratta di spostarsi dalla tutela, ormai un dato acquisito, a progetti specifici di riqualificazione e recupero di paesaggi degradati. Oggi con la globalizzazione c’è una forte competizione territoriale, in Italia, allora dobbiamo investire sul Bel Paese, non a caso nel programma del nuovo governo si punta sul turismo culturale e sullo sviluppo della qualità urbana.
E per quel che riguarda la Riviera Adriatica?
Intanto a 20 anni dal Piano paesistico si deve decidere cosa fare delle colonie. Senza massacrarle e senza speculazione, penso al modello dei castelli in Trentino riconvertiti in Bed&Breakfast o in beauty farm. Insomma bisognerà unire un progetto paesaggistico a uno di gestione economica. Le colonie sono un grande patrimonio che può portare al rilancio del turismo. Poi occorrono incentivi per la riqualificazione di alberghi e di alcune aree cittadine.
Altre linee d’azione future?
Creare finalmente dei parchi fluviali che siano veramente tali. L’Emilia-Romagna è un pettine: il dorso è l'appennino, con i fiumi che “affondano” nel territorio. I piani regolatori comunali hanno sempre voltato loro le spalle, occorre una riqualificazione che ne faccia le vere porte di accesso alle città. L’Appennino e i fiumi sono la nostra risorsa ambientale, da valorizzare e rendere fruibili in un’unica rete ecologico-ambientale. Perché, per dirla con una battuta, non si può andare sulla costa tutti i fine settimana.
Cosa pensa del ricorso del WWf contro il campo da golf sulla collina bolognese?
Non ne conosco il dettaglio, vedo che si contesta il campo come «urbanizzazione privata»: in effetti, se è a pagamento non si può in alcun modo definire pubblico. Ma il vero punto è capire se questo campo è un’attività compatibile con la “migliore fruizione del bene da tutelare”, cioè la collina.
Insomma una questione di interpretazione?
Per la giunta comunale evidentemente il campo scuola garantisce questa migliore fruizione, io lo trovo molto discutibile. L’unico modo per facilitare l’accesso alla collina è predisporre pulmini pubblici, chioschi e gazebo gestiti dalle associazioni nei parchi esistenti, come al Cavaioni, per incentivare trekking e passeggiate. Così invece c’è il rischio che, se il campo da golf fallisce, la costruzione venga trasformata in una villa privata: bisogna capire qual è la volontà della proprietà, la giunta deve vigilare.
Postilla
La rilettura di uno strumento, il PTPR della Regione Emilia Romagna divenuto quasi un simbolo di una ideologia di pianificazione che, benchè indulga all'autocelebrazione, è quasi interamente condivisibile (ma che la tutela sia un dato ormai unanimemente acquisito è affermazione pericolosamente ottimistica e metodologicamente errata: la tutela non è un elemento statico, ma un processo che si evolve).
Il PTPR ha rappresentato certamente un punto di innovazione e di avanzamento della cultura ambientalista in Italia e come tale fu ampiamente apprezzato, fra gli altri, da Antonio Cederna, anche perchè fu il risultato di uno sforzo interno di un'amministrazione pubblica. All'epoca, Felicia Bottino, era la lungimirante assessora all'urbanistica di una regione che si faceva carico dei propri ruoli di pianificazione e gestione del territorio. Adesso, il nuovo incarico finalizzato all'adeguamento del PTPR viene dato alla presidente di una società esterna...(m.p.g.)