«Manganellate contro gli attivisti del Làbas, apprezzato anche dalla sinistra istituzionale. Proteste dall’Arci alla Cgil». E una domanda al sindaco: chi comanda a Bologna? la Repubblica, 9 agosto 2017, con postilla
BOLOGNA. Uno sgombero in vecchio stile, manganelli all’alba, ha chiuso le porte del centro sociale più amato di Bologna, il Làbas, e aperto la strada a un fiume di polemiche nella città un tempo laboratorio delle più svariate esperienze sociali. Un corposo gruppo di ragazzi, molti dei quali studenti, che da anni si era impegnato a creare una piccola cittadella vivace e solidale — mercatini, corsi, aiuto ai più deboli, musica e impegno sociale — dopo molti ultimatum ha dovuto alzare le braccia e abbandonare l’ex caserma di proprietà della Cassa depositi e prestiti. Azione ordinata dalla procura, eseguita dalla polizia e osservata a distanza dal Comune. «Non potevo interferire — ha detto il sindaco Merola — nel rispetto dei ruoli istituzionali. Ma cercherò una soluzione per quelli di Làbas».
Quelli del Làbas, in verità, la soluzione l’attendevano da tempo, forti di alcuni sponsor che ne avevano elogiato l’impegno e la capacità di coinvolgere il vicinato, oltreché di offrigli momenti di svago. Il mercatino del mercoledì (sì, proprio oggi) era di gran lunga l’appuntamento più frequentato dai bolognesi, anche di rango, in un tripudio di frutta e verdura obbligatoriamente bio e a km zero. Ma alla socialità il Làbas aveva sempre saputo aggiungere un impegno non di facciata, e uno stile di lotta anche politica che si era sempre tenuto ben a distanza dalla violenza.
«Una ferita gravissima per la città, per le persone del quartiere, per il percorso di quei ragazzi», ha subito dettato alle agenzie Amelia Frascaroli, consigliera di stretta osservanza prodiana ed ex assessore ai servizi sociali. «Il fallimento della politica», ha invece commentato lapidariamente Andrea Colombo, consigliere Pd e a sua volta ex assessore al traffico. Ma dalla Cgil all’Arci, passando per la Fiom e l’Arcigay, nessuno ha fatto mancare il proprio sostegno a Làbas. Che forse avrebbe avuto bisogno di tutto quel consenso nei mesi precedenti all’annunciatissimo sgombero. «Decisione improvvida e miope, su quell’esperienza bisognava lavorare per farla crescere e integrarla alla città», è stato il commento del filosofo Stefano Bonaga, da sempre vicino a quelli del collettivo. «Certamente la legalità andava ristabilita — ha osservato il politologo Piero Ignazi — ma non in modo così cruento, è mancata la governance ».
Il Pd, fisiologicamente, si è diviso. La destra ha esultato. Il sindacato di polizia ha denunciato 5 agenti lievemente feriti negli scontri durante lo sgombero. Quelli della Cassa depositi e prestiti hanno detto che ora vedranno che fare della ex caserma di via Orfeo. E il collettivo Làbas, in una caotica conferenza stampa all’ombra della statua del Nettuno, ha dato un mese di tempo al sindaco per trovare una soluzione alternativa. Soluzione alla quale pareva si lavorasse da tempo, ma che non è mai saltata fuori. Allargando così la distanza tra la sinistra diffusa e il governo della città, rieletto da un anno non a furor di popolo. Facile prevedere che lo sgombero di un torrido agosto apra la via a un autunno caldo.
postilla
Il sindaco ha dichiarato che non poteva interferire con la polizia, e ha ragione. Ma con la Cassa depositi e prestiti, e con la decisione di quest'ultimadi destinare la ex caserma a una destinazione diversa da quelle di fatto definta dalla utilizzazione in atto?.Perché a Bologna non è il potere elettivo a decidere sull'utilizzazione degli spazi della città? La legge stabilisce che le trasformazioni degli spazi della città vengano stabilite dagli strumenti della pianificazione urbanistica, potestà degli organi elettivi, non dalla Cassa depositi e prestiti. Magari a Bologna vale già la nuova legge urbanistica regionale che legittima l'abusivismo urbanistico, ma non è ancora in vigore...