Il lettore rilegge il titolo, tre volte, incredulo, fino a dovere riconoscere che quanto legge non è illusione. La cover story dell’ultimo numero di Agricoltura, il mensile dell’Assessorato regionale dell’agricoltura titola, esattamente, Il consumo del suolo è una minaccia inarrestabile. I dati con cui il solerte redattore dimostra la drammaticità del fenomeno sono obiettivamente inquietanti: conquistando un ambito primato nazionale, la regione Emilia Romagna avrebbe coperto di cemento, nell’arco temporale compreso tra il 2003 e il 2008, dieci ettari di suoli agricoli ogni giorno. E’ sufficiente una semplice moltiplicazione per verificare che il dato corrisponde alla sottrazione, alla sola agricoltura emiliana e romagnola, ogni quattro anni, della potenzialità produttiva di un milione di quintali di frumento. Siccome il pane quotidiano degli italiani corrisponde al fabbisogno di 70 milioni di quintali annui, e la sottrazione del suolo agricolo ha privato l’agricoltura nazionale, negli ultimi venti anni, della superficie equivalente a 60 milioni di quintali (che, per non rinunciare a colture diverse, l’Italia sarà per sempre costretta a importare), il contributo emiliano romagnolo alla distruzione della risorsa necessaria alla prima esigenza di qualunque società umana è palese e inquietante. Se consideriamo la travolgente rivoluzione imposta ai mercati mondiali delle derrate dalla nuova domanda asiatica, e dalla decisione americana di convertire in carburante un quarto della propria produzione cerealicola, dobbiamo riconoscere di essere di fronte a un autentico delitto contro le generazioni future.
Misurata l’entità della minaccia incombente sugli italiani di domani, il lettore del foglio regionale torna al titolo e l’incredulità si converte in un sentimento diverso. Il periodico ufficiale dell’Assessorato all’agricoltura della Regione proclama che la conversione dei campi sarebbe una minaccia inarrestabile, che significa tale che nessuno potrebbe arrestarla. Rilegge il titolo, verifica, in prima pagina chi diriga la pubblicazione, constata che è lo stesso autorevole assessore all’agricoltura. L’incredulità si converte in sconcerto, lo sconcerto assume le connotazioni dello sgomento. L’assessore, erede di una lunga successione di “ministri” che da un trentennio assicurano gli elettori che il “modello di sviluppo” cui conformano la politica regionale dell’ambiente sarebbe “sostenibile”, sottoscrive l’allarme per un processo che condannerebbe alla fame gli italiani di domani, definendolo inarrestabile, cioè fuori da ogni possibilità di controllo da parte di chi governa la società e l’economia regionale. Ma allora ci si domanda: lo sviluppo regionale è processo di cui è possibile il controllo, ed è legittimo che vi sia chi proclama di indirizzarlo secondo i criteri della “sostenibilità”? O invece è fenomeno che si sottrae ad ogni umano potere, soggetto alle influenze di astri malevoli? Si dica però agli elettori che non esiste assessorato regionale in grado di controllare il divenire dell’ambiente, e si riconosca, per coerenza, che chi si proclama tutore dello sviluppo “sostenibile” gioca sul soddisfacimento dei bisogni essenziali delle generazioni future.
Ma è mai possibile che l’assessore di oggi, e, prima di lui, i predecessori nella pratica dello “sviluppo sostenibile”, non abbiano percepito che l’entità della progressiva sottrazione dei suoli agricoli in Emilia Romagna costituisce un autentico delitto verso la sicurezza delle generazioni future? Che la minaccia inarrestabile fosse ignota non sembra credibile. Nel 2003 il presidente dell’Associazione regionale delle bonifiche spiegava alla stampa che negli ultimi tredici anni nella nostra regione erano stati sottratti all’agricoltura 157.000 ettari, l’equivalente dell’intera provincia di Ravenna (la più piccola della Regione, ma è una consolazione?). Poteva forse essere forse ignorato il dato proclamato urbi et orbi da uno degli organismi più autorevoli che condividono con la Regione la gestione del territorio dell’Emilia Romagna? Pubblicato questo dato, chi governa l’agricoltura regionale ha il dovere di farsi promotore della revisione di tutti i piani comunali di sviluppo edilizio. Potrà allora a buon diritto proclamarsi paladino della “sostenibilità”!
Una postilla è d’obbligo sulla tessera della agricoltura regionale costituita dalla provincia di Modena, la cui Giunta ha proclamato, in circostanze diverse, la propria ferma determinazione a arrestare la conversione in cemento dei suoli agrari, pubblicando che quella conversione si misura, sul territorio provinciale, in 350 ettari all’anno (2005), entità enorme per un territorio in parte rilevante montagnoso, nel quale i suoli di reale valore agrario costituiscono peculio tanto minore, e tanto più prezioso. Se sono lodevoli i proclami, attraversare le campagne modenesi su una qualsiasi delle strade che le solcano impone la domanda sulla coerenza di chi li emana. Percorriamo la Fondovalle Panaro: un piccolo borgo quale Marano ha sepolto, con una sola operazione edilizia, i meravigliosi terreni su cui fiorivano orti e frutteti e così ha raddoppiato il proprio insediamento urbano. Come è stata possibile una simile impresa dopo il solenne impegno degli amministratori provinciali a frenare la distruzione del territorio agricolo? O coloro che governano quel paese sul Panaro hanno violato regole che lo vincolavano, o chi, a Modena, ha proclamato l’arresto dell’urbanizzazione selvaggia non diceva sul serio.