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Ida Dominijanni
Scacco al re
17 Agosto 2005
Articoli del 2004
Un commento alla mossa di Santa Rita (Carlo Azeglio Ciampi), su il manifesto del 17 dicembre 2004

Che arrivi o no a concludere questa legislatura, e perfino che perda o torni sciaguratamente a vincere le prossime elezioni, la filosofia di governo di Silvio Berlusconi si trova finalmente costretta a fare i conti con un limite invalicabile. Essa consta a ben vedere di pochi e scellerati punti, i primi dei quali sono un'idea post-costituzionale della democrazia, e la convinzione che il rito inaugurale della seconda Repubblica consista nella Grande Vendetta contro quei magistrati che hanno messo le grinfie sulla corruzione della prima. L'uno e l'altro punto trovavano nella riforma dell'ordinamento giudiziario firmata dall'ingegner Castelli la loro apoteosi. Non solo perché si tratta di una legge incostituzionale. Ma perché spalanca le porte a una architettura istituzionale privata di alcuni capisaldi del costituzionalismo, quali la divisione dei poteri, l'autonomia della giurisdizione, il controllo di legalità sul potere politico. Il rinvio alle camere della riforma da parte di Ciampi è dunque un doppio schiaffo alla filosofia di governo di Silvio Berlusconi: non solo perché boccia nel merito la riforma, ma perché ribadisce di per sé il funzionamento fisiologico di una democrazia costituzionale, in cui le pretese di onnipotenza della maggioranza e dell'esecutivo possono e devono essere bloccate dagli organi preposti alla custodia della legge fondamentale, il presidente della Repubblica in primo luogo.

C'è dunque ben poco da minimizzare in generale, come fa Berlusconi tirando fuori l'ennesimo coniglio dal cappello della vittima per sospirare quant'è difficile il mestiere del riformatore. E c'è poco da minimizzare anche in particolare, come fa il guardasigilli assicurando che i rilievi di Ciampi intaccano i rami ma non il tronco della sua riforma, qualche dettaglio ma non la sostanza. Non è così, perché anche se le sette cartelle del presidente non fanno menzione di due dei punti della riforma più controversi e più contestati dalla magistratura - la separazione delle funzioni e la riorganizzazione gerarchica delle procure - , bastano tuttavia a mandare all'aria l'intero impianto della legge. Ribadiscono che l'obbligatorietà dell'azione penale non può essere subordinata alle linee di politica giudiziaria emesse annualmente dal guardasigilli. Che l'attività dei magistrati non può essere condizionata dai monitoraggi ministeriali. Che il Csm non è un organo amministrativo ma un potere dello stato; e soprattutto che le sue competenze non possono essere vincolate dal sistema concorsuale previsto dalla riforma. Con il che salta non qualche quisquilia ma l'ispirazione generale della creatura di Castelli (oltretutto tecnicamente malfatta, manda a dire il Colle, come tutte le leggi italiane da troppo tempo in qua).

Non salta invece ma viene sciaguratamente confermata, con la stessa giornata di ieri, l'ispirazione generale dei ritocchi - chiamiamoli così - al sistema penale introdotti dalla legge Cirielli votata alla camera. Nella quale non si tratta «solo» dell'indecente dispositivo salvapreviti, ennesima replica della legiferazione ad personam in cui filosofia e prassi berlusconiane eccellono senza tema di confronti nazionali e internazionali. Si tratta, attraverso il combinato disposto delle prescrizioni, delle recidive e delle attenuanti, di un ben più grave passaggio da un diritto penale incentrato sulla punibilità del reato a uno incentrato sulla punibilità della persona. Nella scia della tradizione americana, di una giustizia sempre più forte con i deboli e sempre più debole con i forti, che produce devianza nelle fasce basse della popolazione e riempie le carceri di immigrati e piccoli spacciatori. Proprio per questo c'è bisogno di una magistratura autonoma: non a difesa di un potere corporativo, ma a garanzia dei diritti fondamentali scritti in Costituzione.

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