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Marco Galluzzo
Sblocca Italia» e Fisco, l’agenda di Renzi: la Ue? Non temo pagelle
2 Giugno 2014
Articoli del 2014
Il komeinista della rottamazione del Belpaese , dopo aver inseguito e superato D’Alema nel recupero del supremo evasore fiscale, segue le orme di quest'ultimo con rafforzata capacità distruttiva.
Il komeinista della rottamazione del Belpaese , dopo aver inseguito e superato D’Alema nel recupero del supremo evasore fiscale, segue le orme di quest'ultimo con rafforzata capacità distruttiva.

Corriere della Sera, 2 giugno 2014, con postilla

La fase due della rottamazione di Matteo Renzi è rivolta a 360 gradi dentro e fuori il Paese. L’Europa, quella attuale, quella che «ci dice tutto di come un pescatore dell’Adriatico deve fare il suo mestiere» è anche quella dei «tecnocrati», che «girano la faccia dall’altra parte quando un bambino muore» nel canale di Sicilia, in quelli che sono anche mari europei, ma evidentemente più per la tipologia delle lenze e le tecniche di pesca, che per i principi morali, quelli «latitano», accusa e insieme ironizza il capo del governo.

Ma accanto a questo tipo di Ue c’è anche una questione interna, con altri due tipi di potere da riformare. Quello politico, la classe che «per anni è stata campione mondiale di alibi, quella che non si è mai presa una responsabilità», quella che il giorno dopo le elezioni «non avevano mai perso». E quello meno appariscente, che in parte era seduto ieri mattina all’Auditorium di Santa Chiara, nel centro storico di Trento, che lo applaudiva, ma che ha avuto un attimo di sussulto quando il premier l’ha messa giù senza perifrasi, perché «dopo le riforme del Senato e della legge elettorale» ci occuperemo anche «della classe dirigente di questo Paese, che per anni ci ha fatto la morale».

Al Festival dell’Economia Renzi arriva in jeans sdruciti, scoloriti, come gli capita sempre più spesso. In prima fila ex ministri come Fabrizio Saccomanni, l’ad di Fiat Chrysler, Sergio Marchionne, un simbolo della sinistra come Franco Marini (in realtà la fila è la settima). L’economista Tito Boeri gli gira una serie lunga di domande, Enrico Mentana sviluppa i temi di Boeri e conduce l’intervista pubblica. Alla fine, proprio Marchionne dirà: «Mi è piaciuto, è l’unica agenda che in questo momento ha l’Italia e anche l’Europa, condivido tutto».

Agenda dice Marchionne, quasi un manifesto dicono in sala, sicuramente c’è un elogio del ruolo migliore della politica, una rivendicazione impostata su parametri a tratti drammatici. Se negli Stati Uniti, in Asia, in Giappone, spiega Renzi, «hanno tutti dato una risposta alla crisi economica, risposte diverse ma efficaci, qui in Europa ancora cerchiamo la formula giusta». Conseguenza: delle raccomandazioni in arrivo dalla Ue «terremo conto, ma non sono il problema, non ho timori», come non è un problema il nome del futuro vertice dell’Unione, piuttosto «la Ue ha bisogno di cambiare linea economica o la politica torna a fare il suo mestiere e riprende il suo potere di indirizzo sulla burocrazia o non ci salviamo».

Una politica diversa a Bruxelles come a Roma. Se lì manca fra gli altri «una politica estera», qui da noi occorre una «rivoluzione pacifica del buon senso», che può significare tante cose, tutte finora difficilissime. Per esempio occorre smetterla di fare calcoli e cominciare a pensare che «il risultato elettorale dimostra che possiamo andare verso due schieramenti, che mettono la residenza al 40%». Occorre cambiare mentalità, che ci sia «uno che abbia responsabilità, il ballottaggio serve a dire questo, a dire chiaramente chi ha vinto e che deve fare delle cose che se non gli riescono, anche per colpe non sue, gli verranno attribuite». Occorre ancora diminuire il numero dei politici, anche con un Senato senza compensi, perché viceversa i posti si moltiplicano, «i politici sono come le ciliege, uno tira l’altro».

Uno schema che ha anche ricadute personali: «Siamo i teorici della rottamazione, un governo di 30enni o 40enni, fra dieci anni dovremo noi essere rottamati, andare a fare un altro lavoro, perché così accade negli altri Paesi».

Se questo è il manifesto dei prossimi anni ci sono anche altri tabù della sinistra da abbattere: dopo i magistrati, dopo la Costituzione che non è la più bella del mondo («lo sapete che per i padri costituenti il bicameralismo perfetto fu un ripiego?»), dopo i sindacati da snobbare, entrano nel mirino le Soprintendenze, mentre annuncia un provvedimento che chiamerà sblocca Italia: anche i custodi del bello del Paese impediscono gli investimenti, bloccano il Paese. Una volta, poco tempo fa, erano uno dei feticci della sinistra. E invece ora «faremo entro luglio un provvedimento che si chiamerà sblocca Italia, chiederemo ai sindaci di dirci tutte le opere bloccate dalla mancanza di concerto, dai vincoli e dai divieti delleSoprintendenze. La regia sarà a Palazzo Chigi, vi abbineremo il massimo dell’open government, trasparenza assoluta, dobbiamo essere più trasparenti degli anglosassoni».

E figuriamoci se in questo schema le polemiche sulla Rai, la minaccia di uno sciopero di fronte ai tagli chiesti dal governo, trovano il capo del governo in posizione di difesa: «Abbiamo dato alla Rai due chance, vendere Rai Way o riorganizzare le sedi regionali, non mi sembra tanto. Se poi uno dei luoghi più politicizzati del Paese, dove ancora c’è chi scambia la carriera con la vicinanza ad un partito, luogo dal quale io voglio stare il più lontano possibile, se vogliono fare lo sciopero lo facciano, è umiliante, poi faremo due conti sulle sedi regionali, siamo l’azionista, a me piace la Rai dei professionisti, con una governance sganciata dalle ansie dei partiti, non una polemica incredibile fatta dal sindacato interno».

L’unico argomento che non si può aggredire è quello del fisco: «La riforma l’ho un po’ bloccata io, è un tema molto complesso. Abbiamo 271 forme di deducibilità, dobbiamo tornare ad essere un Paese come gli altri, dove si pagano le tasse una volta l’anno. Ma ci vorrà del tempo».

postilla
Avevamo già sentito proclamare “via lacci e lacciuoli” ai tempi di Benito Craxi (e di Lucio Libertini). Avevamo già sentito dichiarare dall’ex premier fedifrago Berlusconi, in difesa della proprietà privata degli immobiliaristi grandi e piccoli, che “ciascuno è padrone a casa sua”. Conoscendo l’ideologia di Matteo Renzi non dubitavamo che
giunto al potere, avrebbe proposto, di abolire quelle poche regole che ancora ostacolano la distruzione del Belpaese, come ha fatto a Trento. Ciò che vivamente ci colpisce e ci addolora è che tanti italiani perbene lo applaudiscano. A cominciare da molti di quelli che militano nel suo stesso partito. Ci auguriamo che la resistenza al rottamatore dei patrimoni comuni si consolidi e si accresca.

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