La nostra Giunta regionale, verniciata di sovranismo, ha annunciato la nascita del nuovo “Piano paesaggistico dei sardi” che si chiamerà Pps. Però il nuovo Piano sardo ... >>>
La promessa del 2004 – poi mantenuta – di tutelare l’identità della Sardegna attraverso il Paesaggio ricompattò le truppe edificatorie di destra che si cementarono indissolubilmente con il cemento. Il Piano fortificò la destra sfilacciata che si riunì intorno all’ideologia del mattone toccasana di ogni male. Così nel 2009 la nuova dottrina trionfante consisté nell’impegno di cancellare il Piano paesaggistico considerato la causa di ogni male. Con un nuovo Piano la Sardegna si sarebbe aperta in un sorriso sereno. E tra i Dulcamara del laterizio apparvero anche i discendenti deviati di Emilio Lussu i quali con l’abituale fierezza consegnarono i quattro mori al padre dei 250.000 metri cubi della costa turchese.
Nell’attesa, per non stare con le mani in mano, i nostri maestri cementificatori produssero ben cinque Piani casa e una sbalorditiva legge sul golf che si portava dietro almeno due milioni di metri cubi. Il Piano casa sardo – forse il peggiore d’Italia – sospese dal 2009 ogni misura di tutela prevista dal Piano paesaggistico. L’offensiva cementificatrice contagia nel frattempo anche la nostra cosiddetta sinistra che, a luglio di quest’anno, mette in pericolo gli usi civici con una legge votata in perfetta armonia con i templari del mattone. Tutto illegittimo. I provvedimenti impugnati dal Governo per puzza di incostituzionalità. Ma la Corte Costituzionale ha digestioni tortuose e ancora aspettiamo la decisione.
E il nuovo Piano paesaggistico dei sardi, il Pps? Gli appassionati del cemento penseranno che in cinque anni la Giunta regnante avrebbe potuto partorirlo prima e che gli ostetrici del nuovo Piano avrebbero dovuto garantire gravidanza e parto felici. Non una gravidanza da elefante e un cucciolo cadavere. E così, a fine legislatura, non abbiamo neppure un feto formato e sano. Fetali e malate le linee guida. Decedute nel grembo materno anche le norme che abbassano – fatto giuridicamente impossibile – il livello di tutela.
Un Piano paesaggistico è fatto di linee guida, di cartografie e, soprattutto, di norme che lo realizzano. Inspiegabilmente coperte dal segreto di chi conosce sin dalle origini una deformità ignominiosa, queste benedette norme, a lungo nascoste come i Beati Paoli, hanno visto la luce.
Esse permettono quasi tutto quello che rassomiglia anche lontanamente a un metro cubo. E riproducono il Piano casa, notoriamente insofferente a ogni tutela. Levigano la legge sul golf. Rendono arbitraria la scelta stessa di cosa è o non è bene paesaggistico.
Il Ministero del Beni culturali, però, deve pianificare necessariamente con la Regione sarda la quale non può decidere da sola la revisione del Piano, perché anche il paesaggio della Sardegna è patrimonio di tutta la Nazione. Bisognerà spiegarlo all’emiro. E leggere al monarca del Qatar la nota inattaccabile del ministero che ricorda come l’adozione del nuovo “Piano dei sardi” sia un’iniziativa unilaterale e contraria al Codice del paesaggio. Chi glielo racconterà?
Insomma, lo sanno anche i Rosa Croce della Regione che lo Statuto sardo non permette di decidere in solitudine e segretamente il destino del nostro paesaggio. E che non è consentito portare il Piano in Giunta e adottarlo sapendo che non sarà legittimato dal Ministero.
La vera linea guida è: “Permettiamo tutto con le nuove norme. Adottiamo il Piano e poi si vedrà. Intanto ci devono inseguire”.tàMa di lepri impallinate è piena la storia e se noi fossimo investitori non rischieremmo neppure un euro con chi non è riuscito in cinque anni a mantenere la promessa di smontare il Piano paesaggistico del 2006 e ora tenta un maldestro colpo di mano destinato all’insuccesso. Esiste e resiste la certezza del diritto e con certezza si può affermare che nessun Governo – e nessuna corte – accetterà che i livelli di tutela attuali vengano cancellati dalle nuove terribili norme venute scandalosamente al mondo in questo fine legislatura, ma nate morte.
Questo articolo è inviato contermporaneamente a La Nuova Sardegna