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Giorgio Todde
Cagliari, massoni e fenicotteri
14 Maggio 2017
Giorgio Todde
Un giornalista di vero talento, Alberto Statera, inventò per Cagliari un definizione eterna. La chiamò città delle tre Emme. Massoneria, Medici e Mattone. Logge, ospedali e imprese formicolano ...

(segue)

Un giornalista di vero talento, Alberto Statera, inventò per Cagliari un definizione eterna. La chiamò città delle tre Emme. Massoneria, Medici e Mattone. Logge, ospedali e imprese formicolanodi figli della vedova.

Invece, un medico massone che riuniva in sé le tre Emme, in disaccordo con la definizione di Statera, affermò che Cagliari era la città del sole, del mare e dei fenicotteri. E ha avuto ragione perché oggi i fenicotteri sono molto più numerosi dei massoni, dei medici e dei costruttori. Dice Vincenzo Tiana, parroco dello stagno di Molentargius e ostetrico dei fenicotteri, che l’ultimo censimento conta quarantamila esemplari adulti e diecimila pulli. Insomma, anche contando i pulli di medici e massoni, oggi stravincono i fenicotteri.

Però nella nostra città non è sempre stato così. Quando Helmar Shenk – lo zoologo tedesco che riuscì a far nidificare i fenicotteri al Molentargius e che lasciò la Germania perché là gli alberi erano troppo dritti – iniziò la sua impresa i fenicotteri erano ridotti a pochi esemplari. Allora il popolo dei fenicotteri era inferiore a quello dei massoni che intanto si moltiplicavano secondo le leggi della natura. Ma Shenk ebbe la meglio e così oggi a Cagliari, naso all’insù, al tramonto si vedono bellissimi stormi di fenicotteri che vanno da uno stagno all’altro. Uno spettacolo che vale il viaggio.Quel medico aveva ragione e oggi ci sono molti più fenicotteri che massoni. Ma i massoni continuano a nidificare in città. E pure loro valgono un viaggio per vederli quando anch’essi si radunano in stormi la sera.

Che la città nuova abbia la forma di oggi è anche demerito loro, nel senso che la forma illogica dei nuovi quartieri, delle periferie e dell’hinterland è stata in parte decisa dalle Emme che dal dopoguerra in poi hanno inciso profondamente nel governo dei luoghi. La saldatura delle tre Emme con i governi che si succedevano è difficile da mettere in discussione e la definizione di Statera non è mai stata “smontata”.

Ma tante, forse più dei fenicotteri, sono le menti massoniche. Una mente massonica non ha l’obbligo di iscrizione. E si può essere massoni, fare parte dello stormo, senza essere un adepto del Grande Oriente. Si è massoni di fatto se si concepiscono i rapporti tra esseri umani, governi e blocchi sociali come rapporti basati sull’affiliazione.

Insomma, si è affermato un sentire massonico fondato sull’appartenenza, su una visione iniziatica del gruppo, sul riconoscimento tra simili, sul “è dei nostri”, sul “gli parlo”, un sentimento talmente infiltrante che pochi possono affermare di esserne esenti. Un sentire, oltretutto, prevalentemente maschile, da spogliatoio dopo calcetto, dove i maschi si incontrano a parlare di roba da maschi. Il collante è nella tendenza alla confraternita, alla congregazione, sino alla setta. L’esigenza tranquillizzante di appartenere a qualche comunità.

Quando nel rapporto non è importante l’argomento discusso, l’oggetto del ragionare – comunemente chiamato il merito dei fatti – allora diventa fondamentale, appunto, l’appartenenza a un gruppo, a una rete. Ci si riconosce come esemplari della medesima specie attraverso segni, riti e princìpi che precedono la sostanza, il significato delle cose e perfino l’uso della ragione.

Affiliazione, dunque. Non ragionamento. Prima di tutto riconoscimento.

Una roba ancestrale, istintiva. E’ il paleo-cervello, quello delle emozioni, che entra in gioco. L’opposto della relazione, forma evoluta dei rapporti sociali, attività della corteccia cerebrale. La relazione si sostiene attraverso il ragionamento, senza forme preconcette di accettazione. Quest’anima massonica è ubiquitaria e può manifestarsi in ogni forma associativa, nei partiti, nelle sette religiose, nei circoli, in ogni confraternita.

Ha causato e causa danno nella gradazione del progresso sociale. Lo blocca, lo mummifica, lo priva di una reale parità, di dinamismo, di complessità, amputa la democrazia vera perché crea di fatto un’oligarchia molesta, fondata, lo ripetiamo, sull’affiliazione.

Però la speranza che la capacità di stabilire relazioni prevalga sul sentimento di appartenenza è ancora viva. E molti, tra mille difficoltà e nonostante l’intreccio tra affiliati di ogni risma, riescono mantenere il filo della relazione libera, fondata su ragionamento e critica. Sarà un processo lento, un’emancipazione faticosa, ma un giorno, finalmente, potremo vedere nel cielo della nostra città solo stormi di fenicotteri.

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