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Andrea Capocci
Sabbia, la tragedia di un bene comune
8 Settembre 2017
Beni comuni
«La sua estrazione incontrollata per l'edilizia sta devastando la biodiversità. Uno studio, appena pubblicato, sulla rivista

«La sua estrazione incontrollata per l'edilizia sta devastando la biodiversità. Uno studio, appena pubblicato, sulla rivista Science». il manifesto, 8 settembre 2017 (c.m.c)

Su alcune delle più belle spiagge del nostro paese negli ultimi anni sono comparsi buffi cartelli che recitano «Vietato rubare la sabbia». Non solo l’erosione sta infatti consumando le nostre coste, trasformando la sabbia in un bene sempre più prezioso. La sabbia fa gola ai bambini e alle loro palette, ma soprattutto all’edilizia, che solo in Italia ne consuma circa cento milioni di tonnellate l’anno. Secondo una ricerca pubblicata dalla rivista Science, il suo iper-sfruttamento rappresenta un’emergenza globale. Complice il massiccio spostamento delle popolazioni verso le città, il fabbisogno di materiale da costruzione è in vertiginoso aumento.

Per costruire un palazzo di medie dimensioni, occorrono tremila tonnellate di sabbia. Per un chilometro di autostrada, dieci volte di più. «Tra il 1900 e il 2010, il volume di risorse naturali sfruttate nell’edilizia e nelle infrastrutture dei trasporti è aumentato di ventitre volte. La sabbia e la ghiaia ne rappresentano la maggior parte (l’80% del totale, cioè 28,6 miliardi di tonnellate l’anno)», riportano Aurora Torres, Jodi Brandt, Kristen Lear e Jianguo Liu, i membri della collaborazione Germania-Usa che ha firmato la ricerca. Le conseguenze per l’ecosistema sono catastrofiche.
L’estrazione incontrollata della sabbia mette a rischio la biodiversità, causando l’estinzione di alcune specie, come una ormai rara popolazione di delfini fluviali in India, oppure la diffusione di specie invasive – se la «vongola asiatica» è ormai diffusa dal nordamerica ai fossi del bresciano, lo si deve alle navi che trasportano sabbia (vongole comprese) attraverso gli oceani. Inoltre, ed è un tema di strettissima attualità, le pozze d’acqua che rimangono nei fiumi devastati dall’estrazione della sabbia sono un bacino perfetto per le zanzare che trasmettono la malaria. In alcune regioni, dall’Iran all’Africa occidentale, la diffusione della malaria e di altre malattie e le attività di estrazione della sabbia appaiono strettamente correlate.

Anche il territorio, soprattutto in aree povere della terra, ne appare devastato. In Indonesia, una ventina di isole sono letteralmente sparite, scavate via per trasformarsi nelle nuove terre che la città-stato di Singapore si sta costruendo intorno. Persino nei paesi arabi la sabbia arriva dalle coste dell’oceano indiano, in quanto quella proveniente dal deserto non è adatta a trasformarsi in cemento. In totale, si tratta di un’industria globale da 70 miliardi di dollari l’anno. Secondo i ricercatori, stiamo assistendo a una nuova «tragedia dei beni comuni», una celebre espressione coniata da Garrett Hardin nel 1968 a proposito dei pascoli inglesi: senza una regolamentazione, un bene comune a completa disposizione degli interessi individuali si esaurisce rapidamente.

Estrarre sabbia da coste e fiumi per farne cemento è stato finora considerato il modo più facile ed economico per rifornirsi. È ormai urgente che i governi aprano gli occhi sul fenomeno e che noi tutti iniziamo a ripensare la sabbia, la più umile delle materie prime, come una risorsa scarsa. E a studiare le possibili alternative, come sta avvenendo con il carbone e il petrolio. Qualche governo, soprattutto nei paesi più avanzati, sta prendendo provvedimenti. Alla fine di luglio, lo stato della California ha deciso la chiusura dell’ultima miniera di sabbia rimasta sulle spiagge degli Stati Uniti, nella baia di Monterey.

La sabbia, però, è preda anche delle organizzazioni criminali. Le «sand mafia» si stanno diffondendo in tutto il mondo. Il fenomeno è radicato e pericoloso soprattutto in India. Le vittime della Sand Mafia indiana si contano a decine, tra affiliati e forze dell’ordine. Secondo i dati forniti dell’indiana Aunshul Rege e dell’italiana Anita Lavorgna, il business nel subcontinente vale 16 milioni di dollari al mese. Analoga è la situazione in altri paesi, come Cina, Kenya o Marocco. Anche in Italia questa particolare forma di ecomafia ha dimensioni ragguardevoli. Tuttavia, lamentano Rege e Lavorgna, non c’è una conoscenza quantitativa precisa sul traffico illegale di sabbia in Italia, strettamente controllato da camorra e ’ndrangheta.

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