L'ultimo intervento del Cittaterritorio Festival, affidato al grande storico dell'architettura Joseph Rykwert dal titolo "La città ideale: che cosa resta di un'utopia", ha ripreso l'esigenza di una progettualità urbanistica espressa dal primo intervento di Bernardo Secchi e l'ha coniugata con la necessità di un'architettura della socialità avanzata sabato da Saskia Sassen. Anche per questa sintesi, la sua dissertazione sulla città utopica è stata la migliore conclusione possibile dell'evento, salutato da un tendone gremito in Piazza del Municipio.
Secondo Rykwert, il futuro è inaspettato, e la statistica non può aiutarci a prevederlo. A questa indeterminatezza, noi possiamo reagire con la passività, o con il progetto: "il progetto in architettura, è un proiettile lanciato verso il futuro, che richiede terreno solido sotto i piedi, inteso come conoscenza della propria situazione". Costruire una casa è anche costruire una città, cioè il contesto dell'edificio, così "ogni progetto non può essere fine a sé stesso, passando dal disegno, al cantiere all'edificio in modo meccanico, ma ci deve essere un'elaborazione concettuale". Il progetto può avere due obiettivi: uno ovvio e raggiungibile ed uno che rimarrà irraggiungibile ed irraggiunto. Questo è il senso del pensiero utopico. "Noi cerchiamo sempre di fare meglio sapendo che non sarà fatto, nonostante possa sembrare un paradosso".
E per dimostrare come il progetto formale privo di una visione sociale, sia un concetto superato, Rykwert ha portato l'esempio di Le Corbusier che negli anni '20 aveva progettato un modello di città tecnocratica per tre milioni di abitanti con al centro otto palazzi di 60 metri e un aeroporto, poi, nel dopoguerra, intervenendo nella ricostruzione di Marsiglia, aveva invece progettato un sistema di palazzi a stecca con al centro uno spazio collettivo, fatto di caffé, alberghi e uffici, che prima era negato. Successivamente, attorno agli edifici del grande architetto, ne sono stati costruiti altri, che li imitavano, ma senza un progetto, con il solo effetto di interrompere la prospettiva fino al mare. "Molti miei contemporanei - ha detto Rykwert - sembrano sedotti dagli insegnamenti di certi professori i quali cercavano di liberare l'impresa formale dei grandi architetti del ‘900 da qualsiasi impegno sociale. Io invece ho cercato di tener libera la ricerca formale che rispetta un legame tra forma costruita e un pensiero sociale. Dall'altra parte mi sembra che questa ricerca sia minacciata dall'insegnamento forse più raffinato che l'architetto operante nella società tardo-post capitalistica, nella società dove manca qualsiasi occasione sociale, quella società del populismo mercantile di cui parlava Gregotti, non può nutrire speranze di elaborare un ordine architettonico. La ricerca formale può solo mirare presentare forme vuote di qualsiasi pretesa significativa ed è contro questi due formalismi che ho cercato di proporre un impegno con la ricerca di un modo di incarnare la speranza sociale in un ordine formale. Ed è appunto questo impegno che voglio proporre come la ricerca più attuale in quanto mira a una cosa irraggiungibile, occulta che offre il pensiero utopico: non chiedo che si costruiscano città ideali, sarebbe ridicolo, ma chiedo invece che nel pensare la città non si renda all'immensità delle forze laceranti, il tessuto urbano, ma si proceda al progetto tenendo sempre presente la ricchezza e l'efficacia del pensiero utopico".
Con un'ovazione degna di una star, i presenti hanno salutato questo grande pensatore dimostrando che anche tematiche così astratte e complesse possono catturare un vasto pubblico, non solo di addetti ai lavori.
E invece proprio agli architetti, agli urbanisti e ai costruttori, si è rivolto il Sindaco Gaetano Sateriale in chiusura: "Non esagerate, non vogliate lasciare per forza un segno nella città e considerate sempre il contesto in cui lavorate".
Poi ha aggiunto: "Per quanto riguarda me, l'ideatore del Festival Giuseppe Laterza e l'organizzazione di Ferrara Fiere, siamo già al lavoro per la prossima edizione del Festival, arrivederci!".