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Rubano la nostra memoria per cancellare il nostro futuro
30 Maggio 2010
Articoli del 2010
Articoli di Gianfranco Capitta e Roberti Ciccarelli e un’intervista a Gerardo Marotta sull’incredibile taglio dei fondi a 232 istituti di cultura. Il manifesto, 30 maggio 2010

La memoria e il futuro

editoriale di Gianfranco Capitta


Via via che scopre i suoi "assi" da poker, la manovra di Tremonti perde il carattere della "cecità ingenua" per quanto sanguinaria, o del destino cinico e baro, e acquista un carattere organizzato e cosciente, che rispecchia bene lo spettro culturale del ministro commercialista e dei suoi ispiratori leghisti col forcone. Uno spettro non ampio ma sincero, direbbe il cantautore. Che ha in prima fila e massimo orrore la "cultura", in tutte le sue forme e in tutti i suoi schieramenti. Perché oltre che inutile è dannosa, e fondamentalmente esterna all'unità concettuale che nasce, cresce e si chiude entro i confini della monade televisiva berlusconiana. E certo molesta e irriverente, e sommamente pericolosa, per le giovani generazioni di trote messe a ripascimento.

Non ci sono molte altre spiegazioni per il taglio, tanto netto quanto concretamente censorio, messo a segno contro tutte le fondazioni e gli istituti culturali, di ogni parte e di ogni spessore, ma che tutti assieme raccattavano una manciata di spiccioli rispetto al montepremi di dodici miliardi annui della stagata manovriera. Ma rifilare di quel pugno di milioni le uscite dell'erario consolida e chiarisce la politica cieca della scuola targata Gelmini, il ricatto all'informazione, la dissennata gestione dei beni culturali in format coiffeur, i tagli drastici e progressivi a tutto lo spettacolo.

Con la manovra si toglie a tutto questo il pericoloso gene riproduttivo, quello che rende possibile la coltivazione insieme della memoria e del futuro. Vale per gli istituti culturali e per quelli scientifici, per quelli che funzionano finora egregiamente e con coraggio, e per quelli che magari hanno anche disperso fondi e possibilità dietro alle chimere balenate da quella politica che oggi li sega alla radice.

Insomma un vero disastro che lascia sempre più le istituzioni culturali in balìa degli enti locali e delle loro risorse prosciugate dai trasferimenti dello stato a loro volta tagliati. Con il risultato di trasformare la prospettiva di un oscuro federalismo nella certezza di un campanile esasperato. E il riferimento non è necessariamente alla Roma di Alemanno o al Nord a guida leghista.

Nella civilissima Toscana, ad esempio, i sindaci di Prato e di Firenze - l'uno di destra e l'altro del Pd - hanno decapitato d'imperio istituzioni importanti come il Metastasio e il Maggio Musicale, solo per «esemplificare» la propria volontà di cambiamento e «discontinuità», ma soprattutto di giovanilismo («la bellezza dell'asino», lo definivano le nonne). Nulla hanno potuto opporre i conti in ordine e la qualità artistica davanti alll'impulso podestale a mostrare la propria potenza.

E nel campo dello spettacolo ci sono a livello centrale due casi da vero manuale di scienza finanziera di governo. Uno è il Centro sperimentale di cinematografia cui vengono tagliati i fondi (e Bondi potrà farci poetici versi dopo la figuraccia cannense e la debacle aquilana); l'altro è la soppressione tout court dell'Ente teatrale italiano, con i suoi tre teatri storici e le centinaia di dipendenti (di cui solo una minima parte potrebbero essere riassorbiti dal ministero del medesimo Bondi). L'Ente è stato davvero in passato bacino di coltura di clientele e favori governativi, ma attualmente, e pur con un cda dominato dall'attuale maggioranza, è l'unico che persegua le sue finalità istituzionali: che sono anzi tutto la promozione del nuovo nel campo dello spettacolo, la formazione del pubblico, la diffusione dei nostri artisti all'estero in collaborazione con le istituzioni di altri paesi. Ma i teatri, come il cinema, gli studi storici, gli archivi, le biblioteche, gli istituti di ricerca, le arti (quelle visive sembrano partorire nell'informazione corrente solo quello che ne pensa Sgarbi), producono pensiero e non voti, semmai d'opposizione. Per questo dovrebbero stare al loro posto, anche, o tanto più, se ora questo viene eliminato. E come era scritto una volta sui tram, «non disturbare il manovratore». Piuttosto e in fretta, cercare di licenziarlo.

Una mannaia sulla memoria

di Roberto Ciccarelli


Le Fondazioni Gramsci, Basso, Sturzo e Feltrinelli, il nucleo più attivo dell'Associazione delle istituzioni di cultura italiane (Aici), stanno preparando un documento da rendere pubblico entro poche ore che lanci un appello al mondo della cultura mondiale contro la decisione del governo di azzerare i fondi statali per le attività degli istituti e gli enti culturali italiani.

Flavia Nardelli, segretario generale dell'Istituto Sturzo, giudica «insensato» il taglio ai 232 istituti culturali che «decapita la cultura e la memoria italiana». Ma la cosa più grave, aggiunge, «è che mette un marchio d'infamia sul modello virtuoso più interessante di collaborazione tra pubblico e privato». L'articolo 7, comma 22 della manovra finanziaria stabilisce che lo Stato cesserà da subito «di concorrere al finanziamento degli enti, istituti,fondazioni e altri organismi».

Il 30 per cento della cifra risparmiata andrà inoltre a costituire un fondo destinato a finanziare attività di enti che ne facciano «documentata e motivata richiesta». Diversamente dalla cifra diffusa ieri, il fondo messo a disposizione nell'ultimo triennio per questi enti non sarebbe di venti, ma di circa sei milioni di euro.

A preoccupare sono le modalità improvvisate, come spesso accade nelle politiche governative che si occupano di formazione e conoscenza, con le quali negli ultimi tre giorni il provvedimento è stato definito. La diffusa impressione è che al ministero dell'Economia abbiano messo nel calderone misure molto diverse e non si siano resi conto che su provvedimenti di questo genere, di bassa rilevanza economica ma di alto impatto simbolico, possa esistere un consenso trasversale.

Nella tabella ministeriale stabilita per il prossimo triennio 2008-2011, i contributi statali sono un decimo rispetto al bilancio dello Sturzo, per altri il 20 per cento e per altri ancora è più rilevante. Nella maggioranza dei casi permette di avviare processi virtuosi attraverso i quali catalizzare nuovi fondi, mettendo a disposizione del pubblico servizi e archivi di cui lo Stato non si occupa più. «Si colpisce una realtà virtuosa - aggiunge Flavia Nardelli - facendola sembrare un mondo di mangiatori ad ufo. Questa immagine la rifiutiamo. Noi anzi dovremmo essere ringraziati per il lavoro che facciamo».

Non è solo la cifra complessiva a contare, ma il peso simbolico di una decisione presa con il piglio del contabile. Si tratta di un costo molto contenuto che però è altamente produttivo. Il provvedimento colpisce innanzitutto gli enti che si occupano della storia e delle culture politiche «forti» nel nostro paese, quelle del movimento operaio come la Fondazione Basso, la Fondazione Gramsci o Feltrinelli e quelle cattoliche dello Sturzo. Ancora più grave è l'indifferenza e la distrazione con le quali, per risparmiare una manciata di euro, si sacrifica un patrimonio culturale che fino ad oggi, a dispetto dei tagli che procedono ormai da un ventennio, ha trovato un modo per essere valorizzato.

Giuseppe Vacca, direttore del Gramsci, pensa che questo sia un attacco al modello no-profit adottato dalle fondazioni e dagli istituti di ricerca per finanziare la ricerca. «Non è una novità per le politiche della destra - afferma - questa è la sua idea del rapporto tra stato e società tra pubblico e privato, tra governare e appropriarsi di risorse pubbliche. Lo si è visto in Grecia, negli Stati Uniti con Bush. Oggi lo vediamo in Italia». «Siamo un pezzo indispensabile della ricerca, in parte della formazione altamente specializzata non sostituibile da altre istituzioni - aggiunge - Noi siamo un pezzo della internazionalizzazione della ricerca italiana largamente interconnessa con le ricerche internazionali».

Giacomo Marramao, direttore della Fondazione Basso, ha contattato personalmente 150 studiosi in tutto il mondo, liberali e conservatori, di destra e di sinistra, per sollevare lo scandalo. Annuncia anche che scriverà una lettera a Tremonti denunciando la «miopia» dei tagli all'università e alla ricerca, come quelli alle fondazioni culturali. A suo avviso il governo è del tutto incapace di colpire le sacche di speculazione e di evasione fiscale, né di ricavare le cifre per rimettere in moto politiche sociali e di sostegno alla produzione.

«Scienza e sapere sono diventati da tempo la maggiore forza produttiva - afferma - dovrebbe saperlo Tremonti che conosce Marx. Questo è un governo che ha come imperativo categorico gli interessi di un uomo e della sua azienda che si sono impadroniti di un paese. Ma non hanno fatto i conti che siamo in una sfera pubblica europea e globale. Coinvolgeremo studiosi di tutto il mondo per difendere questo patrimonio».

APPELLO AGLI INTELLETTUALI

«Il progetto ora è chiaro Dobbiamo darci una mossa»

R. Ciccarelli intervista Gerardo Marotta


Mecenate, viaggiatore della cultura e cittadino del mondo. Militante della funzione civile e pedagogica della filosofia. Jacques Derrida lo descrisse circondato da «un'aura di seduzione irresistibile». Sono molte le vite, e i progetti, che l'avvocato Gerardo Marotta ha sperimentato da quando 35 anni fa ha fondato a Napoli l'Istituto Italiano degli studi filosofici. La sua reazione contro il taglio di 3 milioni di euro al suo Istituto è indignata. «Quella del governo è un'offesa all'Italia e all'Europa». Per questo ha promosso un appello al Presidente della Repubblica Napolitano, già sottoscritto da migliaia di persone, contro i tagli alla ricerca e alla cultura.

Come ci si sente ad essere definito un ente inutile?

Se l'istituto è inutile, allora è inutile anche il Collegio di Francia. Le confesso però di essere contento che lo trattino come un ente inutile. Stia sicuro che non voglio suicidarmi. Quello che conta non è la mia sopravvivenza, ma che gli intellettuali e le forze sociali prendano il coraggio di parlare chiaro contro questo governo. Vico disse che «prima vennero le selve, poi le caverne, i tuguri e infine le accademie». Oggi stiamo tornando ai tuguri. I nostri non sono tempi meno orribili dei sei secoli di anarchia e miseria in cui visse l'Italia. Io voglio capire se Napoli e l'Italia sono la mucillagine che dice De Rita oppure se da qui può nascere una nuova resistenza.

Quale progetto si nasconde dietro questi tagli agli istituti culturali?

Non credo che segua una strategia razionale. Avverto però qualcosa di ben peggiore: l'inerzia. L'incapacità di dare prevalenza al pubblico rispetto al privato. È questo l'atteggiamento che hanno avuto i governi di destra e di sinistra negli ultimi anni. Tutto viene dimenticato, anche se ti regalano una buona accoglienza quando ti ricevono a Roma.

Che cos'è oggi un'istituto di cultura, avvocato?

L'università impartisce le cognizioni utili per i professionisti, ingegneri avvocati o medici, e non apre alla vita e alla mente. Quello che vale qui è l'interesse privato del professore, non quello pubblico. Gadamer disse una cosa meravigliosa a questo proposito: «Dio creò l'università. Poi arrivò il diavolo e creò il collega». Gli istituti hanno un compito molto più ambizioso. Sono istituzioni che aprono a nuove forme contrattuali fra lo Stato e la società civile, ridefiniscono i ruoli dell'intervento pubblico e di quello privato, si radicano nel territorio. I 10 miliardi che Ciampi stanziò a nostro favore nel 1993 ci permisero di creare centinaia di scuole estive, biblioteche, enti e centri di ricerca in tutto il meridione come in Europa. 2700 giovani hanno ricevuto grazie a noi borse di studio. Storicamente è stato questo il ruolo delle accademie europee prima che Talleyrand gli cambiasse il nome in «istituti». La loro idea della ricerca e della produzione della cultura è ispirato al sodalizio disinteressato tra intellettuali in nome del publique.

Qual è la differenza tra il governo italiano che continua a tagliare scuola università e cultura e quello francese che ha destinato 7,7 miliardi alla ricerca?

L'italia non è da mettere in conto. È un paese che sta perdendo tutto, memoria, identità e pensiero. Ma non pensi che in Francia o in Germania la situazione sia migliore. Se andiamo nel profondo della loro situazione culturale, i ricercatori fanno una vita tremenda, sono insormontabili le difficoltà che affrontano. C'è una lotta feroce per conquistare non dico un posto, ma una borsa di studio. La loro condizione di lavoro è disperante. Sono paesi che hanno rifiutato le loro tradizioni intellettuali. Al punto che hanno reso facoltativo l'insegnamento della filosofia nelle scuole. Per fortuna, l'Italia non ha ancora trovato questo coraggio. Voglio fare una provocazione.

Prego...

Farò appello alla Svizzera, il paese che in Europa subisce meno la crisi. Che destini una parte infinitesimale delle sue immense ricchezze a edizioni di classici, a convegni e borse di studio. Faccia ardere la fiamma sopita della civiltà europea.

Ritiene che basti?

Può essere un segnale in un momento in cui rischiamo di diventare l'appendice geografica dell'Asia. L'Europa non ha voluto creare una federazione di Stati, né darsi una costituzione. Si accontenterà di fare da portaerei sul Mediterraneo? Trova piacevole fare il deposito di rifiuti tossici? La nostra sciagura è di avere politici che hanno costumi deteriori, pensano al particolare, si odiano, ignorano il bene comune. Siamo vittime del loro vuoto mentale. A meno che l'Europa non rilanci l'appello di Pericle che disse ad Atene di smettere di fare guerre e diventare la scuola dell'Ellade. Questo continente deve raccogliere la sua eredità culturale, l'unica che gli resta dopo la perdita dell'egemonia politica ed economica sul mondo.

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