Attrarre pubblici, costruirsi le strutture, diffondere un'immagine appropriata - sono qualità decisive per ogni città che voglia affermare (nel mondo globale) una propria identità culturale riconoscibile e competitiva. Tutto questo richiede tempo e fatica, ma si distrugge in pochi attimi con lo spoil system.
Prendiamo Roma. La città di Argan e Petroselli, tra effimero e «progetto Fori», capace di sedurre il ministro della cultura di Mitterrand, Jack Lang; e - dieci anni dopo - la città del Colosseo che si illuminava contro la pena di morte e delle notti bianche di Veltroni... È diventata la città buia di Alemanno, che dopo due anni persi inseguendo la Formula 1 all'Eur (o la demolizione di Torbellamonaca), scopre più di duecento campi nomadi ignoti al Campidoglio. Senza la fantasia tolkieniana di Umberto Croppi, come non vedere che l'estate romana si è trasformata in un ristorante di scarsa qualità e alti prezzi, allestimenti tutti uguali e programmi in saldo estivo; che l'ambiziosa Festa del Cinema, senza più nessuna ambizione di competere con Venezia, ha perso comitato scientifico, le punte più radicali del team di programmatori, una metà del suo budget, e si prepara a ribattezzarsi Festa del Cinema e della Fiction (per rendere più visibile il ruolo della Regione Lazio)!
Questo destino da Beckett di dopolavoro è del resto già toccato alla Casa del Cinema di Villa Borghese. L'Auditorium - Parco della Musica non è più presieduto da una personalità della cultura ma da un imprenditore, con le prevedibili conseguenze che possiamo immaginare. Il contributo del Comune all'Azienda Autonoma Palaexpò (che comprende anche le Scuderie del Quirinale) scende da 8 a 2 milioni di euro, rimettendosi per il proprio futuro al portafoglio privato di Emanuele Emmanuele. Il Macro (come del resto il Maxxi) rischia, sempre per i tagli, la chiusura a pochi mesi dall'inaugurazione del nuovo ingresso. L'Opera si affida all'uso improprio del nome di Riccardo Muti per coprire un più che ordinario tran tran, il Teatro di Roma non ha trovato di più di Gabriele Lavia. Villa Borghese è visibilmente abbandonata ai vandali, non si chiudono nemmeno più i cancelli del Giardino del Lago la notte... I «teatri di cintura» e la Casa del Teatro non hanno altro futuro che quello che vorrà Zetema, il manager (monopolista e scelto dal potere politico) al posto dell'autonomia della cultura. Dove è restato l'intellettuale, lo si è scelto «uso a obbedir tacendo» (alla Casa del Cinema e della Fiction Caterina D'Amico, che non ha nemmeno chiesto a Mauro Masi perché Rai Cinema - di cui era amministratore delegato - doveva acquistare i diritti di trasmissione del film di Dragomira Bonev, quasi al prezzo del Caimano...).
Lo spoil system di Roma può persino apparire un modello di rispetto del principio di continuità istituzionale rispetto a quanto sta accadendo a Napoli. In odio a Bassolino se ne abbattono non i simulacri ma le cose buone che aveva fatto. Qualcuna era già caduta da sola, come il Museo Aperto lungo i Decumani; o si era deteriorata come il Maggio dei Monumenti. Ha un tremendo valore simbolico che - dopo quindici anni - questo Capodanno si sia interrotta la tradizione di aprire l'anno nuovo con un'installazione di un grande artista contemporaneo - Paladino, Kounellis... - in Piazza Plebiscito. Eduardo Cicelyn, direttore del Madre, un museo d'arte contemporanea che l'Europa ci invidia per il luogo in cui sorge, Palazzo Donnaregina, per la qualità architettonica con cui è stato allestito da Alvaro Siza, e per il valore delle sue collezioni e delle sue mostre, è sottoposto da più di un anno alla macchina del fango. Il Napoli Teatro Festival dopo tre anni chiuderà i battenti, col programma 2011 già stampato e con fondi europei che dovranno essere restituiti, perché si sono voluti licenziare tutti i suoi dipendenti (compreso il direttore artistico Renato Quaglia) e dimissionarne d'autorità il consiglio d'amministrazione. I pretesti sono degni della favola dell'agnello e del lupo: al Teatro Stabile di Napoli, il Mercadante, c'è una flessione delle presenze in sala, e senza ricondurla alla campagna denigratoria contro il suo direttore artistico Andrea De Rosa, se ne nomina un altro, che ha il pregio di essere particolarmente gradito a Gianni Letta (noncuranti di dover pagare per almeno un anno una doppia direzione artistica).
Che questo accada è perfettamente conforme alla politica per la cultura del Governo Berlusconi. Tagli al Fus; tagli persino al tax shelter per il cinema; trasformazione della Rai, azienda pubblica, nella copia conforme della Fininvest, con Mauro Masi a fare da cane da guardia; tagli al bilancio del ministero dei Beni culturali; crolli a Pompei; desertificazione delle sopraintendenze; Colosseo affidato a Della Valle; spada di Damocle sospesa sull'editoria; un ministro che diserta Cannes, Venezia e Scala di Milano; soppressione della Direzione generale per il paesaggio e l'architettura contemporanea ... La legge Gelmini, la soppressione del Cnr, i panini con la Divina Commedia di Tremonti, il furore anti '68 (comodo capro espiatorio), il «piano casa», la tragica menzogna dell'Aquila «ricostruita» sono in perfetta sintonia con un quadro che ha un chiaro significato: il lavoro intellettuale non ha più futuro in Italia, se non accetta di diventare una variante dell'industria della pubblicità. Anziché i «cattivi maestri» delle università, si consigliano Daniela Santanchè, Fabrizio Corona e Lele Mora. Quello che sorprende è l'incapacità politica delle opposizioni, a partire dal Pd, di farne la questione centrale, quella che meglio può disegnare partendo dal negativo il futuro possibile dell'Italia dopo Berlusconi.