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Christopher Swope
Ripensare le "piste veloci" urbane
22 Ottobre 2005
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La monocultura automobilistica abbandonata anche dagli ingegneri stradali. Governing, ottobre 2005 (f.b.)

Titolo originale: Rethinking the Urban Speedway – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Per decenni gli ingegneri stradali si sono concentrati sulla progettazione di strade più larghe, dritte, veloci. Ora il solo movimento rapido del traffico non è più l’unico obiettivo.

Provate ad attraversare Trenton insieme a Gary Toth e Yosry Bekhiet: potreste concluderne che questi due ingegneri stradali sono gli ultimi due automobilisti del New Jersey che rispettano scrupolosamente i limiti di velocità. Bekhiet, dietro al volante di una Chevy Cavalier di proprietà statale, accelera sulla rampa di ingresso alla superstrada veloce urbana, e poi si tiene fisso sulla corsia di destra, esattamente a settanta all’ora. Toth, sul sedile del passeggero, indica la cupola dorata dello state capitol mentre le altre sfilano via la bianca Chevy. “Vado su questa strada a 70,” dice Toth, “e la gente mi sorpassa a cento”.

La State Route 29, attraverso Trenton, è stata costruita come tutte le altre strade degli Stati Uniti, per la velocità. Gli ingegneri che l’hanno progettata negli anni ’50 hanno intuito che gli automobilisti avrebbero potuto correre un po’ troppo. E così per motivi di sicurezza hanno fatto la strada un po’ più dritta e le corsie un tantino più larghe di quanto il limite di velocità rendeva necessario. All’epoca si credeva che questo fosse un tipo di progettazione prudente: e molti dei contemporanei anche oggi confermerebbero questa idea. Per la maggior parte della propria carriera dentro al Department of Transportation del New Jersey, è la cosa che hanno creduto anche Toth e Bekhiet.

Ma negli ultimi tempi i due ingegneri si sono convinti che questa Route 29 fuori misura fosse solo più pericolosa. L’averla progettata per i guidatori più veloci, pensano oggi, ha semplicemente incoraggiato la gente ad andare ancora più in fretta. Notano che di recente gli incidenti in un breve tratto hanno ucciso sei persone. “La soluzione ingegneristica tradizionale ai problemi stradali è di rendere la strada più larga, più dritta, più veloce” dice Toth. “Beh, più larga, più dritta e più veloce non significa sempre migliore”.

Toth e Bekhiet hanno sviluppato altre critiche alla progettazione della Route 29. La prima è un problema di flusso del traffico. Ci sono solo alcuni punti in cui gli automobilisti possono uscire dalla superstrada. Questo vuol dire che sulle spalle della Route 29 pesa quasi tutto il carico delle auto che si spostano attraverso Trenton. Quando la strada si intasa nelle ore di punta o dopo una partita di baseball delle divisioni minori, le auto non hanno altra scelta se non aspettare di uscire dall’ingorgo. La seconda critica riguarda la posizione della Route 29. Sta in rilevato lungo il Delaware River, tagliando fuori completamente il centro di Trenton dalle rive. Migliaia di dipendenti statali lavorano in un edificio a un tiro di sasso dal fiume, ma tutto quello che vedono sono cemento e guard-rail. “Il Delaware River potrebbe anche stare a centinaia di chilometri di distanza” dice Bekhiet.

Nessuna delle critiche degli ingegneri alla Route 29 è nuova. Per vent’anni, la municipalità di Trenton ha implorato il Department of Transportation (DOT) di smantellare questa strada a scorrimento veloce. “È come essere alla 500 miglia di Indianapolis, là fuori” racconta il sindaco Douglas Palmer. La cosa nuova, e del tutto stupefacente per chiunque abbia familiarità con le politiche dei trasporti, è che sono gli stessi ingegneri – alla fine – a dirlo.

Ed è sorprendente, perché gli ingegneri stradali hanno sempre avuto una meritata e famigerata reputazione di dogmatica inflessibilità. Per mezzo secolo, hanno teso ad applicare la formula del più-grande-è-meglio-è a qualunque strada su cui lavoravano, alla ricerca di un fine monodimensionale: muovere quante più auto possibile nel modo più rapido e sicuro possibile. Lungo il percorso, il DOT ha estirpato quartieri, danneggiato strade commerciali e distrutto qualunque paesaggio, tipicamente imponendo alla collettività i propri progetti e priorità, senza cercare alcun riscontro da parte del pubblico. Amministratori locali, attivisti di comitati, e addirittura alcuni degli stessi ingeneri, sono arrivati a definire questa mentalità con una frase significativa: “Design and defend.”

Ma negli ultimi cinque anni, più o meno, il clero degli ingegneri stradali ha cominciato a convertirsi ad un’altra religione. Tendono sempre più a prendere in considerazione un tipo di progetto che rallenti le auto. Stanno imparando a prestare attenzione ai pedoni, ai ciclisti, a tutti quanti condividono la strada con le automobili. E stanno iniziando ad ascoltare il pubblico prima, e non dopo, la redazione dei loro disegni. Il design and defend è finito. La nuova frase alla moda è “context sensitivity”.

La Route 29 a Trenton è un buon esempio del nuovo atteggiamento mentale. Gli ingegneri statali nel passato prendevano in giro l’idea dell’amministrazione municipale di buttar via la superstrada veloce e rimpiazzarla con un viale urbano a traffico più lento. Ora Toth, a capo del settore pianificazione del DOT, e Bekhiet, ingegnere responsabile per questo progetto, dedicano notevoli energie alla sua riuscita. Le ultime ipotesi prevedono che la nuova strada venga immersa entro una densa trama di nuove vie centrali. Ci saranno parecchi semafori, che consentano ai pedoni di attraversare dalla città verso il fiume. Ad essere sinceri, guidare attraverso Trenton prenderà più tempo: uno o due minuti in più, secondo i modelli del traffico. Ma c’è anche un rovescio della medaglia: Trenton riavrà il suo waterfront, oltre a una decina di ettari di superfici liberate per realizzare un quartiere di uffici e condomini che favoriscano camminare anziché guidare.

Al DOT si stanno smuovendo le burocrazie, e nel profondo c’è ancora resistenza a questa filosofia. Il progetto per Trenton, racconta Toth, è più controverso all’interno di quell’ufficio di 4.000 persone, che non all’esterno. “C’è gente che dice: Cosa? Strappare su un’autostrada per costruire un pezzo di città? Siete usciti di senno?”.

Ma di questi tempi un numero crescente di ingegneri si sta immergendo in un radicale dilemma, che contraddice tutta la loro formazione e l’esperienza di tutta una carriera. L’idea è questa: in alcuni casi, l’obiettivo è quello di spostare meno auto, non di più. “Non ci avevo pensato, nei miei primi venticinque anni qui” dice Toth, veterano che lavora al DOT da 32 anni. “La nostra missione era di costruire strade. Perché le costruivamo? Perché la gente deve andare a lavorare, a far spese, a ballare. Ma cosa succederebbe se non riuscissimo più a costruire strade abbastanza veloci?”.

LA REGOLA DEL RICETTARIO

L’emergere si questo punto di vista si lega al completamento dello Interstate Highway System. Costruire una rete stradale nazionale negli anni seguenti alla seconda guerra mondiale richiedeva che gli stati utilizzassero rigorosamente una progettazione uniforme. Chiuso quel lavoro nei primi anni ’90, i Dipartimenti ai Trasporti rivolsero la propria attenzione a sistemare a ampliare le strade statali.

Si tratta di arterie che attraversano contesti molto diversi da quelli del sistema Interstate: ad esempio vie urbane principali sono tecnicamente strade statali. Ma gli ingegneri restavano attaccati ai propri calcoli da epoca Interstate, elencati in dettaglio in un tomo da oltre 900 pagine noto tra tutti i professionisti come il “Green Book”. Il Green Book a dire il vero consentiva un buon margine di flessibilità ai progetti. Ma gli ingegneri l’hanno sempre interpretato come se significasse solo chiedere corsie più ampie, margini più alti e ambienti ottimizzati per la guida veloce. “Avevamo letteralmente un esercito di migliaia di pianificatori, analisti ambientali, progettisti e ingegneri delle costruzioni che avevano realizzato per decenni il sistema Interstate, ed erano abituati a questo approccio standardizzato” racconta Hal Kassoff, consulente che ha lavorato come capo del DOT in Maryland dal 1984 al 1996. “Era una rotta di collisione”.

Sempre più spesso, i DOT si sono trovati a combattere contro amministrazioni locali, gruppi ambientalisti, di tutela storica, di quartiere. Il punto di rottura diventava via via caratteristicamente familiare. Gli ingegneri volevano allargare le strade, togliere gli alberi o i marciapiedi, ammassare nuovi ponti, mentre gli oppositori pensavano bastasse una semplice riasfaltatura o riparazione di ponte. Gradualmente i DOT hanno cominciato a capire che dovevano diventare più flessibili se volevano completare i progetti anziché impuntarsi. Scott Bradley, responsabile per la landscape architecture al DOT del Minnesota, la mette così: “Il vecchio metodo del ricettario, di usare alcune linee guida e inserirle nel computer per capire quale sarebbe stato l’aspetto fisico della strada, non funzionava più”.

La prima reazione interna all’ambiente degli ingegneri stradali inizia verso la fine degli anni ’90, col nome di “context-sensitive design”. I progettisti non potevano più pensare strade considerando solo la dimensione dell’asfalto. Ora, avrebbero dovuto tener conto anche del contesto. La strada attraversa un paesaggio? Un quartiere urbano? Una zona commerciale? L’ambiente conta. Anche i metodi contano: i DOT avrebbero chiesto agli interessati, ovvero di solito la gente che si era opposta ai progetti, come volevano fosse progettata la strada.

Improvvisamente, progetti stradali fermi da tempo iniziarono di nuovo ad avanzare. Il modello indicato da tutti gli ingegneri era quello della Paris Pike nel Kentucky rurale. La vecchia strada a due corsie correva attraverso un paesaggio storico di basse colline, muri di pietra e scuderie. Il Kentucky aveva da lungo tempo previsto di allargare e raddrizzare la Paris Pike in una fiammante freeway a quattro corsie. Gli attivisti della conservazione storica avevano costretto il progetto in tribunale per decenni. Poi venne il context-sensitive design, e gli ingegneri cominciarono improvvisamente a adattarsi ai propri rivali. Guidarono la Paris Pike a seguire il paesaggio collinare, anziché tagliare dritto nel mezzo. Le pareti in pietra che dovevano essere demolite sarebbero state ricostruite. Si realizzarono guard-rail di aspetto attraente in legno. Il prodotto finale, consegnato qualche anno fa, assomiglia più a una parkwaydegli anni ’20 che a una freeway dei ‘60.

Il context-sensitive design produceva spesso risultati migliori, ma il metodo era ancora incostante. I DOT continuavano a considerare i rapporti col pubblico come un elemento correttivo di seconda battuta. Quello che più conta, molti ingegneri iniziarono a pensare in termini di elementi superficiali – sottopassi ricoperti di mattoni o strisce centrali piantate a fiori – come specchietti per le allodole con cui conquistarsi l’opposizione locale. Gli ingegneri, preferivano concentrarsi su aspetti estetici anziché confrontarsi con i propri assunti di base riguardo alle strade.

Un recente progetto in Connecticut, sventolato come context-sensitive design, rappresenta un caso interessante. Il DOT statale ha costruito un ponte nel centro città di Willimantic gioiosamente presidiato da quattro statue giganti di rane: in omaggio alle rumorose rane-toro che sorpresero i primi coloni nel ‘700. Il “ponte delle rane” ora è una popolare attrazione locale. Ma non aspettatevi di vederci nessuno passare a piedi, dice Norman Garrick, professore di ingegneria all’Università del Connecticut. “Resta un ambiente ostile ai pedoni” nota. “I DOT nella maggior parte degli stati ritengono ancora che context-sensitive design abbia qualcosa a che fare con l’abbellimento della strada e gli espedienti estetici. Non affrontano il modo in cui le strade vengono progettate, come autostrade in mezzo alle città, a condizionarne il carattere urbano”.

Questo limite è quello a cui ora si rivolgono gli ingegneri. Ed è qui che comincia la vera rivoluzione di pensiero sulle strade. Il “context-sensitive design” si è evoluto in “context-sensitive solution”. La differenza è molto più che semantica. Il termine “design” presume, come hanno sempre fatto gli ingegneri, che i problemi del trasporto richiedano per essere risolti di qualche genere di costruzione. Il termine “solution” implica un punto di vista per obiettivi più ampi: un punto di vista che può anche risolversi in nessuna costruzione. Suggerisce, anche, che i rappresentanti della comunità locale possono avere idee migliori di quelle degli ingegneri, per affrontare il problema.

Consideriamo come sia cambiata la programmazione stradale in New Hampshire. L’ultima volta che lo stato ha prodotto un piano dei trasporti di lungo periodo dieci anni fa, sono stati gli ingegneri dell’ufficio a controllare l’agenda. “È stato un lavoro del tutto interno” racconta Ansel Sanborn, capo della programmazione al DOT. Ora è in corso di redazione un nuovo piano venticinquennale. Anziché stabilire direttamente e priorità, essenzialmente gli ingegneri si sono orientati verso un processo di coinvolgimento del pubblico, attraverso la ben nota New Hampshire Charitable Foundation. La fondazione, si conta, può far emergere un insieme di valori comunitari più ampio di quanto potrebbero mai gli ingegneri. “La gente dei trasporti è interessata a fare progetti di trasporti” spiega Sanborn. “La Charitable Foundation è interessata alle comunità”.

Una storia simile è accaduta nel vicino Vemont. Nel 1995, i gruppi della conservazione storica erano così stufi della Agency of Transportation statale che il Preservation Trust of Vermont pubblicò un intero libro su come opporsi alle decisioni dell’agenzia. Da allora questa ha trasformato il proprio approccio ai problemi. Sono stati riscritti i criteri di progettazione per adattarsi all’ambiente dei piccoli villaggi che caratterizza il Vermont. In più, i comitati consultivi cittadini ora giocano un ruolo più ampio nel decidere a quali progetti stradali dare priorità. Anche Paul Bruhn, direttore esecutivo del Preservation Trust, è colpito. “Ora abbiamo un’Agenzia molto più sensibile alle nostre preoccupazioni”.

INTERROMPERE UN CIRCOLO VIZIOSO

Il nuovo pensiero si sta infiltrando in quasi tutti i DOT, e anche negli studi di ingegneria che fungono da consulenti per stati e amministrazioni locali. Ma in nessun caso ha raggiunto il grado di complessità del New Jersey.

Ciò si deve in gran parte a Gary Toth, che sta riorientando i livelli intermedi degli uffici verso un nuovo atteggiamento. Toth ricorda di continuo ai suoi ingegneri che il Green Book a ben vedere è flessibile tanto quanto un piatto piccante: bisogna solo aver voglia di cucinare con ingredienti diversi. Circa 800 funzionari del DOT hanno frequentato corsi di formazione intensivi sulle context-sensitive solutions. Quando Toth si riunisce coi suoi responsabili di progetto, questi discutono gli uni con gli altri e si mettono insieme le idee, quasi come per un consulto medico. “È sorprendente” racconta David Burwell, consulente dei trasporti che ha collaborato col DOT del New Jersey e parecchi altri. “C’è molta più curiosità intellettuale per i modi di affrontare specifici problemi”.

Anche se Toth ha scoperto questa filosofia piuttosto avanti nella propria carriera, non prova alcun rimorso per il passato. Gli ingegneri sono problem-solvers, ama dire. Per la maggior parte della sua carriera lavorativa, da quelli come lui ci si aspettava che risolvessero i problemi dei trasporti entro un ambito ristretto di parametri auto-oriented. Ma anche gli ingegneri possono adeguarsi ai cambiamenti. “Gli ingegneri possono cambiare paradigma in fretta” continua Toth. “Bisogna, solo, dar loro un problema diverso da risolvere”.

Il nuovo problema di Toth è particolarmente intricato. Il suo capo, Commissario Jack Lettiere, è il principale seguace a livello nazionale di un’idea piuttosto radicale negli ambienti del trasporto: è possibile trovare una via d’uscita alla congestione da traffico. Ciò può essere particolarmente vero in New Jersey, più che in altre situazioni, e il New Jersey può anche rappresentare un caso pilota nazionale. I soldi per grandi progetti stradali scarseggiano perché lo stato, come altri, non ha aumentato le tasse sui carburanti da oltre dieci anni. Il New Jersey soffre anche, in certo modo, della propria maturità dal punto di vista dello sviluppo suburbano. Non è possibile allargare le arterie congestionate senza eliminare attività economiche, le cui corsie d’accesso e parcheggi sarebbero spazzati via.

Lettiere vuole che Toth e i suoi ingegneri interrompano questo circolo vizioso che è sfuggito dal controllo per anni. In passato, il DOT avrebbe verificato che una strada era congestionata, e poi l’avrebbe ampliata, o ne avrebbe costruita una nuova. Poi le amministrazioni locali, operando in modo indipendente, avrebbero approvato insediamenti residenziali o negozi big-box lungo queste strade. Presto le vie sarebbero state di nuovo congestionate e il ciclo sarebbe ricominciato. Il DOT sono sempre partiti dal presupposto che non c’era altra scelta se non di trovar posto a sempre più macchine. Ora, Lettiere crede nell’esatto contrario. “Per ridurre il traffico”, sostiene, “forse dovremmo ridurre il numero di spostamenti sulla strada”.

E per farlo, Toth è andato dove nessun DOT era mai andato prima. Ha fatto in modo che i suoi ingegneri fossero coinvolti nell’urbanistica locale. L’obiettivo è che gli insediamenti futuri favoriscano sia gli spostamenti a piedi che quelli in auto. È la verifica finale dell’atteggiamento context-sensitive solution. Il “contesto” di Toth è molto più ampio del solito: sono gli insediamenti residenziali, uffici e negozi collocati sulle ampie fasce delle statali.

Un esempio è la cittadina di Manalapan, nel New Jersey entrale. Ci passano attraverso due strade statali: la 9 e la 33. La prima è già affollata di negozi, parcheggi e traffico. La seconda, se non si interviene in qualche modo, probabilmente subirà lo stesso destino. Di recente, il sindaco di Manalapan ha chiesto aiuto a Lettiere per intervenire sulla Route 9. Quella battaglia è già persa in partenza, ha risposto Lettiere. Ma la Route 33 potrebbe ancora essere salvata.

Sinora, le idee di sviluppo si focalizzano in gran parte sulla proposta di un costruttore per realizzare un massiccio “lifestyle center” in un ex campo di soia. Il progetto comprende commercio, residenza, un cinema multisala, supermarket e campi sportivi. Si è scontrato con un muro di opposizione locale: soprattutto per il timore che il traffico intasi la Route 33. Il DOT ha organizzato un paio di laboratori partecipati per costruire idee alternative di progetto. Questi eventi hanno messo insieme il costruttore e funzionari locali dei trasporti e urbanistica, oltre a gruppi di cittadino, operatori economici e comitati di quartiere.

Dalle giornate di laboratorio, tenute in marzo e giugno, è emerso un conceptual plan rivisto. Il nuovo piano mette l’enfasi su ambienti stradali accoglienti per il pedone. Incoraggia anche le funzioni miste, in modo che la gente possa spostarsi da un negozio a un ristorante senza dover prendere la macchina. Toth fa notare che l’amministrazione di Manalapan ha chiesto al DOT di organizzare – e pagare – i laboratori.

Toth ha decine di altri progetti come questo in via di sviluppo. Sta emergendo un principio base, che infrange un’altra ortodossia del mondo ingegneristico. Per anni, si sono progettare reti stradali che funzionassero un po’ come sistemi sanguigni, con le strade più piccole ad alimentare le maggiori (e infatti il termine del Green Book per la grande strada è arterial). Toth è arrivato a credere che gli ingegneri stiano sottoponendo ad eccessiva pressione queste grandi strade. È convinto che funzionerebbe meglio un sistema a griglia più indifferenziata: in cui i guidatori hanno molte possibilità di scelta per muoversi, anziché una sola strada sovraccarica. “Abbiamo costruito una situazione dove chiunque esce a comprare un panino o il giornale deve imboccare la stessa via” dice Toth.

Questa teoria sta per essere verificata nella zona di Flemington. Le statali 202 e 31 sono le arterie principali attraverso il centro, entrambe fiancheggiate da fasce commerciali. Sopportano quasi tutto il traffico di attraversamento della zona, oltre a quello commerciale locale. Per vent’anni, il DOT ha avuto in progetto una circonvallazione. L’idea era di una freeway in sede separata con quattro corsie, costo previsto 150 milioni di dollari. Ora il DOT è troppo povero per questo genere di cose. E anche se l’ufficio avesse i soldi, Toth ritiene che una circonvallazione sarebbe uno spreco di risorse. Darebbe agli automobilisti solo un modo, anziché molti modi, per aggirare un ingorgo.

Attraverso un’altra serie di laboratori partecipati, il progetto è stato riesaminato. La circonvallazione è sparita. Al suo posto c’è un viale a due corsie che incrocia numerose strade laterali. Il DOT sosterrà anche le spese per il miglioramento di alcune strade secondarie per disperdere ulteriormente il traffico, e allentare il carico sulle statali 202 e 31. In tutto, il costo sarà la metà di quello originario. Mary Melfi, consigliera municipale a Flemington, apprezza il cambiamento. “Il New Jersey è tutta una strada” dice la signora Melfi. “Il DOT ha sempre voluto arterie a sei corsie, e ora non ne fanno più. Costruiranno venti chilometri di strade più piccole, anziché molti meno di vie più grandi”.

A dire il vero, in New Jersey si allargano ancora, le strade, quando la cosa ha senso e quando ci sono i soldi per sostenere le spese. “Non intendiamo arrenderci, in questi casi” dice Toth. “Ci interessa ancora il problema degli spostamenti motorizzati”. Ma il lavoro di progettazione delle strade non potrebbe essere più diverso rispetto a quando Toth è entrato al DOT 32 anni fa. Gli ingegneri non devono solo essere più carini e gentili. Devono diventare più creativi. “Se si legge un manuale, quella non è progettazione” conclude Toth. “È solo leggere un manuale”.

Nota: il testo originale al sito di Governing; per una comparazione con un caso (diverso ma simile) italiano, qui su Eddyburg la ACME Cremona-Mantova; scaricabile di seguito il file PDF di questa traduzione (f.b.)

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