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Jon E. Hilsenrath
Rimpicciolire New Orleans?
23 Maggio 2006
Articoli del 2005
Ricostruire New Orleans e paradossi dell’economia: ”Abbiamo obblighi nei confronti delle popolazioni, non dei luoghi”. Wall Street Journal, 15 settembre 2005 (f.b.)

Titolo originale: Scaling Back New Orleans – Traduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Il portavoce Dennis Hastert ha imparato nel modo peggiore i pericoli che si corrono prendendo a calci una città quando è già a terra. Un quotidiano dell’Illinois riferisce che poco dopo l’uragano Katrina abbia detto come New Orleans “poteva essere spianata con le ruspe”, e gli oppositori l’hanno presto zittito con accuse di insensibilità e spietatezza.

L’uragano ha mostrato chiaramente come New Orleans ospiti infrastrutture di trasporto ed energetiche vitali per l’economia nazionale. È città ricca di storia, con un ambiente culturale vivace (e festoso) che tutta la nazione tiene in alta considerazione. Ed è la casa di quasi 500.000 persone legate alla propria comunità. Tutti questi, sono argomenti decisivi per stimolare una grande sforzo affinché la città si riprenda velocemente. La storia dimostra, tra l’altro, che le città hanno la forza di reagire dopo le crisi (pensiamo al grande incendio di Chicago più di un secolo fa).

Ma alcuni economisti iniziano a chiedersi se Mr. Hastert non abbia in qualche modo colto il segno, sull’essere cauti parlando della ricostruzione di New Orleans, per quanto rozzamente l’abbia espresso. Non sono solo gli svantaggi naturali della città (la cui gran parte sta sotto il livello del mare) a preoccupare gli studiosi. È anche il suo stato economico – povertà crescente, e un esodo di persone e imprese già prima che l’uragano colpisse – e la necessità di evitare nuovi incentivi che possano portare ad uno sviluppo non meno vulnerabile.

”Abbiamo degli obblighi nei confronti della popolazione, non dei luoghi” ha detto Edward Glaeser, professore di Harvard specializzato in economia urbana. “Calcolato quanto costerebbe pro-capite ricostruire New Orleans in tutta la sua gloria precedente, sarebbe molto meglio consegnare a parecchi dei residenti un assegno da 10.000 dollari e un biglietto d’autobus per Houston”.

Il paradosso del Buon Samaritano

Gli economisti si misurano da anni coi modi di affrontare le conseguenze dei disastri naturali. Gary Becker, economista premio Nobel che insegna all’Università di Chicago, dice che i decisori politici devono prendere in considerazione quello che lui chiama il “paradosso del Buon Samaritano”. L’istinto di chiunque dopo una calamità naturale è quello di soccorrere le vittime. “È difficile per un paese stare lì seduto a guardare gente in condizioni miserabili dopo un disastro”, dice. “Non è auspicabile”.

Ma gli aiuti, le promesse di ricostruzione, sono anche un incentivo perché le persone continuino a risiedere in località pericolose. Come Glaeser, anche Becker è favorevole agli aiuti. Ma anche a limitarne gli incentivi perversi. Becker sostiene che qualunque sforzo di ricostruzione dovrebbe essere gestito con mano amorosa ma ferma dal governo, ad esempio con rigidi vincoli urbanistici nelle aree a rischio di alluvione, e con altrettanto rigide norme sulle assicurazioni.

E non si tratta del solo premio Nobel che sostiene la cautela nella ricostruzione di New Orleans. “La migliore politica è quella di non consentire la ricostruzione di New Orleans nelle zone dove è possibile l’allagamento” dice Edward Prescott, ricercatore alla Federal Reserve Bank di Minneapolis, famoso per aver utilizzato gli investimenti nelle pianure alluvionate come esempi di politiche di breve termine che invece innescano incentivi di lungo periodo. Richard Posner, giurista conservatore che condivide un sito web con Becker, propone che la città diventi qualcosa come la Williamsburg coloniale: un sito turistico a sé senza una vera città.

Naturalmente, ci sono alte probabilità che la città venga comunque ricostruita. Oltre l’inerzia della decisione politica, i vari oppositori non possono non valutare le pressioni delle attività economiche al ritorno, dice Loren Scott, economista a Baton Rouge. Le imprese chimiche, i cantieri navali, le aziende energetiche, hanno enormi investimenti nell’area, privi di valore quando non operativi: “Torneranno molto velocemente” dice.

Ma le persone potrebbero non farlo. Secondo i calcoli del censimento, la popolazione di New Orleans è diminuita del 4%, pari a 21.000 unità, fra il 2000 e il 2004, agli attuali 462.000 abitanti. Fra le città più popolose della nazione, l’unica con un declino più pronunciato in quell’arco di tempo è stata Detroit. Circa il 24% delle famiglie di New Orleans vivono al di sotto del livello di povertà secondo il Census Bureau, contro il 9% a livello nazionale.

Fuga dalla Città

Molti se ne sono andati nei suburbi in cerca di scuole migliori. Anche alcuni grossi investitori se ne sono andati. ExxonMobil, Shell e ChevronTexaco, per esempio, hanno eliminato o spostato centinaia di posti di lavoro verso Houston negli ultimi anni, proseguendo un esodo dalla città che dura da vent’anni. Risultato: anche se il settore energetico sta attraversando una fase di boom, New Orleans non ne ha beneficiato gran che. Nel 2004, i livelli occupazionali nel settore privato in città erano ancora sotto a quelli del 1997.

Mr. Glaeser sostiene che ci sono problemi di lungo periodo dietro le difficoltà pre-Katrina. Negli anni ’40 del XIX secolo New Orleans era una delle tre città più popolose, insieme a New York e Philadelphia. A quei tempi, il trasporto via acqua era il modo dominante di spostare persone e merci, e l’economia era in gran parte agricola. I collegamenti col Sud e col Mississippi facevano di New Orleans un polo fondamentale e integrale del commercio. Secondo Glaeser, l’ascesa dei trasporti ferroviari e automobilistici, insieme all’industrializzazione del secolo successivo, hanno cambiato tutto questo e innescato il lungo, lento declino della città. Quelle che oggi crescono più rapidamente, nota, sono posti come Las Vegas o Atlanta, organizzate sullo sprawl suburbano e non circondate dall’acqua.

”New Orleans è un luogo che ha raggiunto il proprio massimo livello economico negli USA 160 anni fa” dice Glaeser. “Certo ora non offriva un grande futuro, alla maggioranza dei propri abitanti”.

C’è anche una questione di tempi. Solo due settimane dopo Katrina, città come Baton Rouge o Houston fremono di persone e imprese che tentano di continuare vita e lavoro. Quando il piano di ricostruzione per New Orleans sarà stato steso e attuato, probabilmente migliaia di persone si saranno già stabilite altrove. Come promemoria di quanto lungo – e dibattuto – possa diventare un processo di ricostruzione, resta ancora vuoto, quattro anni dopo l’attacco terroristico su New York dell’11 settembre, lo spazio che era il World Trade: una cicatrice di terreno inedificato.

I questi primi giorni di crisi, Washington non sembra orientata verso la circospezione. Lo stanziamento di 62 miliardi per soccorrere le vittime è solo il primo passo di una spesa che potrebbe raggiungere i 200 miliardi. Ma prima di impegnare questi miliardi a rimediare alla tragedia urbana, questi economisti sostengono che i decisori politici dovrebbero pensare meglio alla condizione in cui era New Orleans, ed essere ben certi di non ricacciarcela.

Nota: il testo originale ripreso dal sito Sito Real Estate Journal ; qui su Eddyburg, tra i molti articoli su New Orleans dopo l'uragano, dubbi sui modi di ricostruzione sono espressi ad esempio da Drake Bennet del Boston Globe (f.b.)

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