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Michael Hopkin
Ricostruire in modo responsabile
22 Maggio 2006
Articoli del 2005
Da Nature, versione online del 18 gennaio, un articolo dal contenuto apparentemente banale: per ricostruire dopo la tsunami dell'Oceano Indiano ci vogliono pianificazione, partecipazione, analisi, e non solo progetti e cemento. E c'è ancora bisogno di una rivista scientifica, per queste cose ... (f.b.)

Titolo originale: Communities given helping hand with responsible rebuildingTraduzione per Eddyburg di Fabrizio Bottini

Gli abitanti del villaggio di Kirinda, nel sud-est dello Sri Lanka, hanno perso quasi tutto con lo tsunami dell’Ocenao Indiano. Ora un gruppo di architetti spera di trasformare questa piccolo comunità di pescatori in un modello per il lavoro di ricostruzione delle aree colpite dal cataclisma.

La paura principale, ci dice Cameron Sinclair di Architecture for Humanity, organizzazione con base a New York, è che i costruttiori senza far troppa attenzione tirino su strutture senza alcun piano, in luoghi pericolosi.

”Una volta effettuati i soccorsi e ristabilita la normalità, la gente inizierà a ricostruire” prosegue Sinclair “E lo scenario peggiore è quello di vedere blocchi di cemento apparire ovunque”.

Architecture for Humanity ha mandato una squadra di urbanisti, architetti, biologi e ambientalisti a Kirinda nell asperanza di aiutare la popolazione a ricostruire il villaggio in modo sicuro e sostenibile.

”La comunità giocherà da protagonista almeno al 50%” sottolinea Sinclair “ma per quanto riguarda le decisioni chiave di trasformazione, le prenderemo noi”. Il gruppo prevede di operare a Kirinda per tutto il 2005, e spera di iniziare i lavori principali di costruzione entro l’estate.

Parlare chiaro

Il governo dello Sri Lanka raccomanda che i villaggi sulla costa vengano ripristinati più all’interno. Ma questo non è quello che vogliono gli abitanti, e quindi gli architetti probabilmente seguiranno il punto di vista dei residenti in questo caso, dice Sinclair.

”Le comunità non si sposteranno di un centimetro” continua. “La gente vuole addirittura piantare tende esattamente dove stava la loro casa.

Ma comunque si tenterà di combattere la crescita di baracche di pescatori ammucchiate sulla linea di costa. Sinclair sottolinea come i villaggi vicini che avevano dune di sabbia, anziché edifici direttamente di fronte al mare, abbiano subito molti meno danni dall’onda mortale del 26 dicembre.

Gli architetti sono anche orientati a preservare gli elementi ambientali di Kirinda, ovvero la riserva per gli uccelli e le aree a parco nazionale sui lati del villaggio. Si prevede di orientare la ricostruzione all’uso di materiali e manodopera locale, edificando con legno e argilla, anziché in cemento

Una migliore capacità di recupero

Spesso è l’economia anziché l’urbanistica a determinare i modi di crescita delle città nei paesi in via di sviluppo, ci dice Zygi Lubkowski, ingegnere a Londra per Arup e presidente della Society for Earthquake and Civil Engineering Dynamics.

I villaggi di pescatori vivono del mare, e così le popolazioni finiscono per colonizzare la linea di costa.

Ma se la gente non vuole muoversi, deve diventare in qualche modo più capace di reagire a eventuali tsunami future.

Un modo per farlo, è che gli elementi infrastrutturali chiave come ospedali o stazioni di polizia siano collocati in zone protette, spiega Lubkowski. “Così quando, Dio non voglia, succederà ancora, l’aiuto sarà lì, nel momento del bisogno”.

Chi sovrintende ai lavori di ricostruzione deve anche essere consapevole di quanto le proprie azioni possano determinare altri disastri, come frane, continua Lubkowski. “Il modo più facile [di evitare alcuni effetti dello tsunami] è di tenere gli edifici più in alto, ma occorre verificare la stabilità dei pendii, specie quando è stata rimossa la vegetazione”.

L’isola di Hong Kong, per esempio, è stata resa instabile dalla eccessiva edificazione, ci racconta.

Per le comunità povere della regione colpita dalla tsunami dell’Oceano Indiano, la migliore difesa può essere la consapevolezza, conclude Lubkowski. Imparare r conoscere i segnali di avvertimento, avere un ben sperimentato piano di evacuazione, potrebbe salvare innumerevoli vite la prossima volta.

Nota: qui il testo originale e alcuni links al sito di Nature come quello con la descrizione e le immagini da Kirinda (f.b.)

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