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Ricercatori, professori e studenti contro la legge Gelmini
30 Novembre 2010
Articoli del 2010
Perché e in nome di quale alternativa occorre combattere la riforma Gelmini: diritto allo studio, libertà della ricerca, eliminazione delle mafie. Scrivono (il manifesto, 30 novembre 2010) Alessandro Ferretti, Enzo Scandurra, Claudio Riccio

Alessandro Ferretti, ricercatore

Enzo Scandurra, professore

Claudio Riccio, studente



Noi ricercatori siamo l'università

di Alessandro Ferretti



Nel paese delle iperboli ridicole si dice che i ricercatori sui tetti sono manipolati dai baroni, ma su quei tetti non abbiamo visto alcun barone. Dicono che dal lancio delle uova si passerebbe alle mitragliatrici, come dalle sigarette si passa agli spinelli e dagli spinelli all'eroina. Queste sciocchezze sono un luogo comune quasi impossibile da sradicare.

Da fisico sono però abituato a verificare i fatti per quello che sono e non per quello che potrebbero essere. Perché gli studenti italiani occupano i monumenti? Perché gli studenti inglesi occupano la sede del partito conservatore in segno di protesta contro i tagli all'istruzione e la triplicazione delle tasse universitarie? Entrambi insorgono contro il modello dell'aristocrazia e della baronia culturale fondato sul numero chiuso, sull'estrema selettività, sulle tasse elevatissime. Oggi iniziamo a raccogliere i frutti di un malcontento sociale diffuso. Di tutto questo pochissimi hanno messo a fuoco l'essenziale. Difficile del resto farlo in un paese in cui chi controlla i media, e chi vi ha accesso, non ha la minima idea di quali siano le prospettive di vita e di futuro di uno studente. Giovani brillantissimi e dalle capacità eccezionali hanno come unica opzione quella di lavorare come iperprecari. La riforma Gelmini punta ad abolire ogni speranza mettendo formazione e ricerca nelle mani di coloro che stanno attivamente contribuendo a mantenere, o addirittura ad aggravare, questo stato di cose, inserendo le logiche del profitto al posto dei valori umani di consapevolezza, solidarietà e responsabilità.

Molto si è detto sul taglio del 90% dei fondi per il diritto allo studio. Questo significa che il prossimo anno oltre 100mila studenti non potranno terminare gli studi, magari dopo aver fatto già anni di esami e sacrifici. Senza considerare che gli studenti più sensibili e consapevoli vedono anche altro: gli yacht da 40 metri per cui un pieno di gasolio costa qualche decina di migliaia di euro, le discoteche in cui una bottiglia di champagne costa 500 euro, l'ostentazione del lusso e dello spreco, la corruzione ed evasione fiscale impunite e anzi condonate, l'aumento dei fondi pubblici per le scuole private mentre si tagliano 8,5 miliardi alla scuola e 1,3 miliardi all'università, la privatizzazione di servizi essenziali come trasporti, elettricità, addirittura l'acqua. Il disegno di legge Gelmini che oggi sarà votato alla Camera è solo la miccia che ha fatto esplodere una situazione intollerabile, fondata sulla conservazione di un sistema che giova solo a chi ha già tutto.

Noi ricercatori ci domandiamo quanto sia violento un sistema che non permette ai cittadini di conoscere la realtà in cui vivono, spingendo i più sensibili e consapevoli a disobbedire alle leggi pur di poter sperare di invertire il corso delle cose.

Invece di allontanarci da queste persone abbiamo un altro dovere: non farle sentire sole. Con loro vogliamo interrogarci, capire, dialogare. Se invece cadremo nel facile gioco della stigmatizzazione, allora sì che quelli che oggi scalano i monumenti e i tetti rimarranno soli. E di questo crimine saremo tutti responsabili.

Noi ricercatori e studenti che si oppongono alla riforma le nostre energie le vogliamo impiegare spiegando perché rinunciamo ad una didattica che quasi tutti amiamo fare; perché ci dobbiamo arrampicare sui tetti d'inverno; perché dobbiamo bloccare strade, stazioni ed aeroporti per avere una minima chance di mostrare che esiste un problema alto come un grattacielo che riguarda la possibilità di sopravvivenza della stessa idea di società. Forse perché tutto ciò serve ad evidenziare quanto sia marcio un sistema che si interroga su se stesso solo quando qualcuno arriva ad interrompere l'orchestrina che suona mentre il Titanic affonda.

Io, barone, difeso dai ricercatori

di Enzo Scandurra

Dell'università italiana si può (ed è questo il vero dramma) dire tutto il bene possibile e tutto il male possibile, senza, purtroppo, che nessuna delle due visioni contrapposte sia necessariamente faziosa.

Esistono centri di potere corrotti, così come c'è una valanga di precari, ricercatori, docenti e "baroni" che si prodigano per tentare di farla funzionare. Come ha fatto rilevare anche Walter Tocci si fronteggiano due visioni. Chi vede in questa prestigiosa istituzione nazionale solo gli aspetti malati, di corruzione, di nepotismo e, dall'altra, chi guarda ad essa come un luogo dove ancora è possibile costruire saperi, idee, pensieri non subordinati alle ideologie dominanti. E' ovvio, allora, che le opinioni in merito alla cosiddetta "riforma Gelmini", divergano. I primi optano per una legge "di riforma" di tipo punitivo: distruggiamola, rendiamola impraticabile, così avremo distrutto un centro di potere; insomma usiamo contro l'università gli stessi metodi che usiamo contro la mafia. Si potrebbe addirittura pensare, secondo questa logica, di confiscargli i beni patrimoniali (cosa che in parte sta avvenendo) per darli a organizzazioni non-profit (ammesso che queste ultime riescano a sopravvivere dopo i tagli di Tremonti).

C'è un furore distruttivo nei suoi riguardi che va dai Panebianco ai Rutelli. Peccato, però, che in questo modo si buttano nel fiume i bambini oltre all'acqua sporca. In questo modo, sì, facciamo un vero favore ai baroni, che poi altro non sarebbero che una minoranza di professori ordinari di ruolo (ben protetti dal Ministero) che esercitano il potere di veto nei riguardi di tutte le altre categorie di docenti. C'è, al contrario, una visione opposta (ed è quella di tutti coloro che oggi sono scesi in piazza) che guarda all'università come a un luogo ancora libero, un luogo dove si fa ricerca, dove si preparano le future classi dirigenti per affrontare le sfide sempre più complesse del mondo contemporaneo. Se guardiamo da questa parte gli episodi di abnegazione, di attaccamento al lavoro, di impegno, sono addirittura eccezionali.

La cosiddetta "riforma Gelmini" è un parto malato e velenoso della prima visione, tanto che i danni, indipendentemente dalla sua approvazione - che costituirebbe il colpo di grazia finale - sono stati già fatti. Un miliardo e mezzo in meno di finanziamenti per i prossimi anni, favoreggiamento di università private, telematiche, e quant'altro di oscuro nella formazione superiore, incanalamento su un binario morto degli attuali ricercatori, blocco del turn-over, menomazione del diritto allo studio, riduzione drastica degli assegni di ricerca e così via (un elenco sterminato di provvedimenti punitivi).

Ecco il vero regalo ai baroni che possono insegnare nell'università pubblica e poi correre in quella privata che, badate bene, si mantiene con gli stipendi pubblici dei professori pagati dallo Stato. La Gelmini dice che bisogna ridurre il potere dei baroni e in questa affermazione c'è già tutta la visione punitiva, negativa dell'università (oltre a una insana propaganda di informazione). Ma sapete cosa ha fatto nel frattempo? Le commissioni di concorso per ricercatori e associati, fino a poco tempo costituite da: ricercatori, associati e ordinari, la Gelmini le ha modificate nella loro composizione. Oggi quelle commissioni di concorso sono composte solo da professori ordinari, cioè dai Baroni (per continuare ad usare questo termine ingiustamente dispregiativo nei riguardi di tutti i professori ordinari).

Oggi in piazza non scendono come dice la infame propaganda gelminiana e governativa, studenti e ricercatori che si fanno strumentalizzare dai Baroni (e dai partiti della sinistra). In piazza ci scendo anch'io, professore ordinario da oltre 25 anni; ci scendono coloro che continuano a pensare all'università come a uno dei luoghi dove si produce il futuro della nazione contro i becchini dell'università che a partire dalla loro visione cinica e mortifera la vorrebbero morta e sepolta magari a vantaggio di qualche Cepu, di qualche invenzione di fantasmi di università telematiche e a vantaggio di quei Baroni (questi sì, veri Baroni) che oggi, approfittando della "sospensione didattica", si sono prontamente spostati nei loro eleganti studi delle università private in attesa che la Gelmini restituisca loro tutto il potere.

Ebbene si, gli studenti e i ricercatori che sono scesi in piazza difendono anche me; difendono gli interesse sani del paese, difendono gli interessi di tutti i cittadini che vorrebbero vivere in un paese libero, senza mafie, senza ingiustizie, senza discriminazioni e lottano contro quelli che vogliono invece restaurare privilegi, poteri occulti, favoritismi, clientele. L'università italiana, secondo la cosiddetta riforma Gelmini si trasformerebbe da comunità scientifica transnazionale di studiosi liberi a organismo burocratico amministrativo dove si affermerebbero solo i mediocri e gli affaristi, tutti quelli che sono bravi nel compilare moduli e inutili schede amministrative. Si potrebbe dire ..la chiamavano riforma ed era invece solo una stupida restaurazione di potere. Il che non significa che l'università non avrebbe bisogno di una vera riforma.

Comunque vada abbiamo vinto

Noi non cadremo

di Claudio Riccio



Talvolta gli studenti sanno come disturbare la monotonia del potere. È successo con l'Onda quando l'Italia era ridotta al silenzio dalla schiacciante vittoria del Popolo della Libertà. E' accaduto di nuovo nelle ultime ore quando gli studenti hanno interrotto il vociare della politica del corridoio, l'asfittico posizionamento tra le forze politiche. Abbiamo ripreso parola, strade, piazze, palazzi, facoltà, binari, monumenti. La mobilitazione sul disegno di legge Gelmini ha vissuto giornate ben più difficili e meno entusiasmanti di queste. Quando abbiamo iniziato era il 28 ottobre 2009. Allora abbiamo circondato le prefetture con le tendopoli, mentre il governo avviava l'iter del ddl a suon di spot e celebrazioni. Anche dalla stampa di centro-sinistra giungevano apprezzamenti. Nasceva così un convinto spirito bipartisan. Molti esponenti dell'opposizione pensavano che la riforma Gelmini fosse buona e migliorabile in alcuni punti e, probabilmente, lo pensano ancora. Condivisibile nella sostanza.

Poi è calato un silenzio generale, interrotto dai ricercatori che si sono dichiarati indisponibili, hanno bloccato la didattica, riaprendo uno spazio pubblico di discussione. Non smetteremo mai di ringraziarli della loro indisponibilità. Anche grazie a loro questa riforma non è più bipartisan. Quella che porteremo in piazza oggi è una mobilitazione consapevole, capace di coniugare la radicalità e l'intelligenza strategica, di aprire una grande battaglia sul futuro e al tempo stesso affrontare con competenza il dibattito sulla riforma e sulla sua alternativa. L'abbiamo chiamata «l'Altra riforma». In questi mesi l'abbiamo discussa in tantissime assemblee con studenti e ricercatori.

Da questa base ripartiremo per ampliare gli spazi di democrazia e trasparenza che il ddl Gelmini restringe. Ridefiniremo gli organi collegiali. Proporremo l'introduzione di strumenti di democrazia diretta come il referendum studentesco, mutuandolo dal mondo del lavoro.

Il ministro Gelmini ha smantellato il diritto allo studio, ha tagliato l'89% delle borse di studio nel 2011. L'AltraRiforma, invece, prevede investimenti tali da raggiungere la copertura totale delle borse, estende i parametri di reddito, costruisce un nuovo welfare per i soggetti in formazione. Quella che vogliamo garantire a tutti gli studenti è l'autonomia di scelta, liberandoli dalla logica familista che governa lo stato sociale, e non solo l'università.

Se la Gelmini è stata l'utile idiota complice di Tremonti e dei suoi tagli, noi proponiamo di aumentare gli investimenti nell'università e nella ricerca a livello della media Ocse. Ma questo non basta. Noi chiediamo molte più risorse di quel che tutti dicono servire. Serve cambiare lo stato sociale, disegnare un nuovo modello di produzione. Per tutto questo servirà una gestione trasparente e controllata delle risorse pubbliche, non il gioco delle tre carte che il governo e Futuro e Libertà stanno facendo per dimostrare che questa riforma è meglio di niente.

Abbiamo bisogno di tempo e dobbiamo dare tempo ai ricercatori per sbagliare, provare e riprovare. Solo questo tempo di attesa può garantirci un futuro. Non l'ossessione dei tagli. Quella serve solo ad avere paura. Scendiamo in piazza sapendo di aver riaperto uno spazio pubblico, di aver resistito all'esproprio della politica da parte di una classe dirigente incapace ed avida, abbiamo iniziato a costruire un'alternativa alla fuga. Comunque vada è già un successo. Perché il governo può cadere, noi no.

*portavoce nazionale Link - coordinamento universitario

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