« il manifesto, 26 agosto 2017
La notizia del progetto di accoglienza di Riace, messo in crisi da interpretazioni burocratiche sulla validità dei bonus o delle borse lavoro (fino a ieri accettate), è calata come una mannaia. Da un anno gli operatori non vengono pagati, così come gli affitti e i fornitori. Il sistema regge grazie ad una economia di sostegno davvero solidale che sta facendo miracoli. Non è il primo progetto che vede gli stessi operatori mettere mano ai propri risparmi per anticipare il pocket money ai richiedenti asilo. Era il luglio 2012 quando, sempre il sindaco Domenico Lucano aveva iniziato uno sciopero della fame e appeso la fascia tricolore al chiodo, simbolo di una resa, perché stretti dalla morsa dei ritardi questa volta imputati alla Protezione Civile. Si può capire dunque la stanchezza che gli ha fatto dire “Basta chiudiamo tutto”. E qui è partito un tam tam lanciato dalla Rete dei comuni solidali, una raccolta firme per attivare quel mondo che si riconosce in Riace che lo ha eletto come simbolo.
Nonostante la settimana di ferragosto stiamo registrando una risposta forte. Amministratori, pensionati, giornalisti, studenti, il mondo dell’associazionismo, le cooperative che lavorano per i progetti Sprar, persone dello spettacolo, scrittori, docenti universitari. Deputati, europarlamentari. Ma anche molti magistrati, il Comitato esecutivo di Magistratura Democratica e molti giudici a titolo personale da Genova a Pescara, Padova, Firenze Ravenna, Trapani, Sassari. C’è l’operaio tessile di Biella, il farmacista di Pontedera, il grafico di Andria, l’artigiana di Ladispoli, la casalinga di Quartu Sant’Elena. L’Agesci, l’Anpi, la Scuola di Pace di Boves, la neo segretaria della Fiom il comitato della Terra dei Fuochi, lo Spi Cgil di Reggio. Un mondo che si è mosso, consapevole che una firma vale poco, eppure la voglia di metterla per dare almeno un segnale e non essere allineati sul punto più basso della Storia.