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Luciano Canfora
Revisionismo storico. Come si demolisce una democrazia.
15 Febbraio 2007
Scritti 2005
L’uso strumentale della storia a fini di conquista del potere, tipico dei nostri giorni, ha spinto una lettrice a inviarmi questo lucido intervento pronunciato nel febbraio 2004 da un intelligente testimone dei nostri tempi

La prolusione sul revisionismo storico al III Congresso del Partito dei Comunisti Italiani, Rimini, 20 – 22 febbraio 2004

Vorrei esordire ricordando una verità elementare: che cioè la storia la scrivono i vincitori. E poiché la lunga guerra europea e poi mondiale incominciata nel 1914 e sviluppatasi in più fasi e finita, dopo vari rivolgimenti, paci apparenti, cambi di fronte, con la sconfitta dell'Unione sovietica nel 1991, è evidente che per ora, e per lungo tempo ancora, la storia che prevarrà sarà quella scritta dai nemici dell'Unione Sovietica e quindi dell'antifascismo.

Non stupisca quel "quindi": l'antifascismo, anche non comunista, ebbe sempre una considerazione rispettosa della storia e del ruolo dell'URSS.

Non è casuale che un capofila del revisionismo storiografico come François Furet, nel suo troppo vezzeggiato pamphlet Il passato di un'illusione, abbia presentato reiteratamente l'antifascismo europeo come "l'utile idiota" di Stalin. E la sua opera non è rimasta senza seguito, ora che saldamente la grande stampa e salvo rare eccezioni la grande editoria stanno passando nelle mani di coloro che riscrivono la storia appunto nell'ottica degli ultimi vincitori.

Per l'Europa borghese, corresponsabile dell'agosto '14 e levatrice perciò della rivoluzione, fu appunto, sin da allora, il comunismo il principale problema. La nascita del fascismo, e poi dei fascismi, fu la risposta estrema e pienamente avallata dalle classi dominanti nei confronti di tale "grande pericolo".

Due scene tornano alla mente, emblematiche in questo senso:

- la sfilata delle camicie nere a Napoli pochi giorni prima della marcia su Roma e tra loro, in camicia bianca, Enrico De Nicola con il braccio levato nel saluto romano;

- e circa due anni dopo, Benedetto Croce, che vota la fiducia al governo Mussolini, pur dopo il delitto Matteotti.

Questo non è moralismo storiografico. Nei due casi che ho ricordato non c'era costrizione, quella costrizione o necessità che si invoca per giustificare la debolezza di tanti lapsi per salvare magari una cattedra universitaria. Era invece il segno chiaro dell'iniziale consenso della borghesia anche colta, anche illuminata, verso il fascismo visto come argine contro l'unico pericolo: la rivoluzione comunista.

Ecco perché è cruciale continuare a studiare l'esperienza del fascismo nella sua interezza e non limitandosi - come sarebbe più comodo - al suo infame crepuscolo. Perché solo studiandolo per intero sin dai suoi esordi si comprende che esso fu figlio legittimo delle classi dominanti. Le quali hanno fatto buon viso a tale mezzo estremo pur di mantenere l'ordine sociale costituito. Certo, col tempo, una parte si è tirata indietro, ma era ormai troppo tardi ed il fascismo, forte di un largo consenso, stava già portando il mondo intero alla guerra e alla rovina.

La domanda da porsi è dunque: Quali erano le fattezze del nemico contro cui si faceva ricorso ad un rimedio così estremo? Cos'era quel "comunismo" contro cui tutti, dal giovane De Gaulle al ministro di Sua Maestà britannica Winston Churchill, dalle armate polacche ad Ovest ai generali giapponesi ad est si scatenarono sin dal primo momento, in un attacco concentrico che rischiò di essere mortale?

Oggi che l'URSS è finita da un pezzo, lo sforzo dei vincitori è di dimostrare che quello fu il regno del male, della soprafazione, della smisurata e ininterrotta ecatombe. Il cosiddetto "Libro nero" è la Bibbia di questo sforzo senza soste. L'implicazione che va di pari passo con tali diagnosi è molto chiara: recuperare in larga parte un giudizio positivo sul fascismo che - si dice ormai apertamente - poneva rimedio (ipocritamente alcuni dicono doloroso rimedio) ad un male di gran lunga peggiore.

Questo è oggi il terreno di scontro in quell’ambito necessariamente, strutturalmente, "impuro" che è la storiografia. Dati i nuovi rapporti di forza, la partita è già largamente vinta dai grandi strumenti di informazione (grande stampa, tv, saggistica): ogni giorno viene ripetuto in modo martellante e ossessivo che quello, il comunismo, era il grande male, mentre si suggerisce talora scopertamente che il fascismo fu comunque un male minore o, a piacer vostro, una dolorosa necessità. Restano fuori dell'opera di salvataggio le leggi razziali, ma si tenta poi di far credere - ed è menzogna - che esse fossero effettivamente operative e micidiali solo con Salò.

La partita è dunque ardua. Si tratta di RECUPERARE LA MEMORIA di una fase storica - l'URSS e il socialismo: una memoria che resta positiva soprattutto nella mente di chi ne trasse vantaggio, per esempio i ceti ormai ridotti alla fame nella nuova Russia mafio-capitalistica. I quali però non hanno voce, men che meno voce storiografica. La loro voce è coperta dal fragore di una pubblicistica storiografica che dà con ogni disinvolta lettura l'immagine più fosca dell'impero del male.

Né vale opporre le testimonianze d'epoca, anche le più diverse, anche quelle che quantunque ostili, davano tuttavia ampio riconoscimento a quel mondo nuovo che faticosamente nell'entusiasmo di intere generazioni si cercò allora di costruire.

Certo, noi sappiamo di essere di fronte a una mistificazione, né ignoriamo che già con la rivoluzione francese si assistette alla medesima parabola storiografica. Dopo la sua fine, con la vittoria della Restaurazione, la sua immagine dominante fu solo quella di un cumulo insensato di crimini. Solo molto dopo la lettura di quel grande avvenimento cambiò: ma passò molto tempo e l'orientamento della storiografia mutò quando un nuovo movimento democratico risospinse indietro la lettura demonizzante divenuta dominante. Né manca ancora oggi chi della Rivoluzione francese parla con il tono e l'orrore del conte De Maistre. Pochi faziosi si ostinano oggi a credere che la Rivoluzione francese fosse soltanto Vandea e repressione, tribunale rivoluzionario e "ghigliottina a vapore", per dirla con un ironico poeta. Certo, la rivoluzione fu anche questo, ma fu soprattutto altro e durevole. Analogamente ci vorrà tempo perché sia dissipata la attuale forma mentis da libro nero. Io credo che lo storico del futuro, se onesto, non potrà non prendere atto del fatto che comunismo e rivoluzione coloniale su scala planetaria sono un unico gigantesco e positivo fenomeno che ha man mano messo in crisi nel corso del secolo ventesimo " il mondo di ieri". E già questo basterebbe, per ribaltare gli schemi oggi dominanti.

Per il momento la questione che ci sta di fronte può essere così espressa: pensiamo noi che un nuovo andamento della vicenda politica e sociale possa avviare - come già avvenne per la rivoluzione francese - quel riassestamento storiografico che permetta di leggere l'esperienza del socialismo nelle sue giuste dimensioni e in un'ottica non più demonizzante? Non è facile dare una risposta certa, anche se molti segnali fanno intendere che l'ondata di piena della mistificazione è ben lunge dall'essere passata.

L'importante è che sia chiara la posta in gioco. Il recupero storiografico di una parte più o meno grande dell'esperienza fascista e la contestuale demonizzazione martellante dell'esperienza comunista non sono un'operazione erudita: sono un'operazione politica con voluti effetti politici. Si tratta di travolgere la nozione positiva di antifascismo (concetto che assume il fascismo come male principale) e di fondare un ordine costituzionale conforme alle aspirazioni di quei ceti che a suo tempo non esitarono ad avvallare appunto il fascismo come rimedio.

Non ci lasceremo abbagliare dalla varietà degli argomenti e dei tentativi. Uno è il punto di partenza, uno l'obiettivo: ribaltare il giudizio che era consolidato nella coscienza degli italiani intorno all'esperienza fascista. Qualche professore in cerca di gloria o qualche supergiornalista dirà che non è vero: che c'è un ambito vastissimo in cui il revisionismo storiografico si è da sempre esercitato e continua ad esercitarsi. Ma questa ovvietà, che nessuno contesta, serve a mascherare il problema specifico. Esso riguarda il fascismo italiano e la sua sdramatizzazione in funzione della politica italiana.

Il ragionamento parte dalla cosiddetta scoperta del CONSENSO. Apparente scoperta. Apparente per un duplice motivo: perché l'intuizione di come il fascismo si fosse via via radicato, ferme restando le sue origini violente e soprafattorie in un consenso di massa, era il cardine delle fondamentali "lezioni sul fascismo" di Palmiro Togliatti, incentrate appunto sulla nozione del fascismo come "regime reazionario di massa"; e inoltre perché quel consenso - che non fu né costante né indiscusso - è stato per lo più documentato con il dubbio strumento delle ingannevoli perché corrive carte di polizia. E andrebbe dunque studiato in modo ben altrimenti critico.

L'implicazione di questa apparente scoperta è ben nota: trasformare il fascismo in regime normale, magari un po' paternalistico ma non repressivo. L'ulteriore corollario è la denuncia dell'età staliniana come unica vera esperienza totalitaria. Essendosi peraltro il fascismo proposto come antitesi frontale del bolscevismo, il corollario ulteriore è che qualcosa di molto buono vi doveva essere in tale "primo della classe" dell'anticomunismo. Coronamento del ragionamento è l'attacco alla nostra costituzione repubblicana ed ai suoi principi fondanti, per essere essa stata scritta anche dai comunisti e comunque da uomini che comunisti non erano ma che alcune delle istanze fondamentali del comunismo accoglievano e apprezzavano: a cominciare dall'esordiale indicazione (articolo 1) del lavoro come fondamento della Repubblica e dalla implicita identificazione tra cittadino e lavoratore, a seguitare con l'articolo 3, ed il suo impegno a "rimuovere gli ostacoli" di ordine sociale che impedivano e tuttora impediscono l'effettiva uguaglianza tra i cittadini.

Orbene qui non si intende sottrarsi alla sfida. Il "velen dell'argomento" ci è ben chiaro. Noi sappiamo che la principale battaglia che tutti i democratici hanno da affrontare è proprio la difesa della costituzione e in primo luogo dei suoi principi esemplarmente delineati nel capitolo primo. E sappiamo anche che il vulnus più profondo finora inferto alla costituzione è stata la modifica della legge elettorale, l'abbandono del principio proporzionale, unico istituto che rispetti davvero l'istanza del suffragio universale.

Tutto questo ci è chiaro, e la battaglia è ardua.

Ma il punto di partenza non ci sfugge , né intenderemo sfuggirvi, anzi lo dobbiamo affrontare di petto. È la questione del consenso. L'Italia sta scivolando verso un REGIME REAZIONARIO FONDATO SUL CONSENSO. Ed è sui modi in cui oggi, diversamente che nel 1922-1926, il consenso si consegue che le idee non sono sempre chiare.

Ma il processo è ormai molto avanzato. Le forme di creazione del consenso sono molto più capillari e sofisticate e irresistibilmente pervasive che non in passato: concomitanti con la radicale trasformazione del reclutamento stesso del personale politico-parlamentare - ormai prevalentemente abbiente e centrista -, dovuto appunto al meccanismo elettorale maggioritario.

Orbene lo studio del modo in cui davvero il fascismo pervenne - in capo a cinque lunghissimi anni dal 1921 (sua prima apparizione in parlamento) al 1926 (leggi eccezionali e messa fuori legge del PCI)- a dar vita ad un REGIME è forse oggi il più istruttivo dei compiti intellettuali.

Forse la sinistra (il centro-sinistra) si fa qualche illusione sulle prossime elezioni del 2006. A mio avviso, invece, la destra oggi al potere non cederà facilmente il timone, non attenderà passivamente il responso delle urne. Farà di tutto, ma proprio di tutto, per conservare il potere. Essi pensano di avere ormai in pugno l'Italia per un lungo tempo. Pensano di averla riplasmata sotto ogni riguardo. Noi non possiamo chiudere gli occhi su questa evidente verità.

Dal 1922 al 1926 il fascismo creò le premesse per restare al timone. Per prima cosa abrogò il sistema elettorale proporzionale poi creò un blocco, un listone unico nel quale imbarcò pezzi di tutte le formazioni politiche liberali e cattoliche delle più varie sfumature. Quindi ricorse alla provocazione. E mi riferisco non solo al rapimento di Matteotti. Ma alla provocazione imbastita contro il partito comunista (l'arresto dei "corrieri" sorpresi alla stazione di Pisa con volantini "eversivi" come prova della imminente "eversione comunista"): donde l'arresto di Gramsci e degli altri dirigenti; donde la creazione del tribunale speciale, donde il mostruoso "processone"; e alla fine l'attentato oscuro di Bologna e la sospensione degli altri partiti.

Questo crescendo è uno scenario che sembra arcaico ma è un modello ancora utilizzabile.

Ben venga l'invito a studiare come davvero il fascismo giunse al potere e si affermò. Non ne caveremo, come si vorrebbe, la tranquillizzante immagine di un regime tutto sommato "normale" (tenendo conto anche dei tempi perigliosi in cui nacque), ma l'allarmante scenario ancora ripetibile, mutati lo stile e gli strumenti, di come si demolisce una democrazia.

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