La prima impressione dell’Aquila, a mille giorni dal terremoto, è che sia perduta per sempre. Una fitta all’anima pensando quanto era bella, quante altre volte ci saresti potuto tornare. Le macerie che l’illusionismo di Berlusconi aveva fatto sparire dalla vista degli italiani pochi giorni dopo il sisma, sono ancora là dove le aveva lasciate la scossa del 6 aprile 2009. Dello splendore di una città è rimasto il fantasma e quasi nulla d’altro, non le antiche strade e i palazzi, chiusi dai lucchetti, non gli archi e i portici, l’armonia medievale che ogni anno gli orgogliosi cittadini accarezzavano con il corteo della Perdonanza. C’è ancora soltanto questo di vivo, il desiderio della città. Verso sera decine, centinaia di giovani popolano i corsi, la piazza, si addensano nei pochi bar e ristoranti aperti, bevono, discutono, suonano, cantano, come se la città intorno esistesse ancora. Molti sono studenti, L’Aquila ne aveva trentamila prima del terremoto, su settantamila abitanti, ora sono ventimila. Da domenica avranno un altro luogo dove incontrarsi, il primo sorto nel cuore della città, fra la zona rossa e il Castello, il nuovo auditorium di Renzo Piano. «Una sera in corso Vittorio passeggiavo e gli studentimi hanno riconosciuto», racconta l’architetto «Mi hanno chiesto aiuto, perché li volevano cacciare di nuovo, chiudere il centro. Ho capito che dovevo fare qualcosa. La presenza di questi ragazzi è l’unica speranza di veder risorgere L’Aquila. I vecchi ormai sono rassegnati a non tornarci più, ma i giovani ci credono, vigilano e lottano».
La prima ipotesi di intervento a L’Aquila di Renzo Piano era di offrirsi per il restauro della città, sotto l’egida dell’Unesco, di cui l’architetto è ambasciatore. «L’idea era di ricostruire il centro storico come avevo fatto negli anni Ottanta, sempre per l’Unesco, con Otranto. Un restauro tollerante, come si dice, cercando di non demolire gli edifici pericolanti, ma di metterli in sicurezza e consentire nel frattempo una vita cittadina. Costa molto meno e mantiene viva la città. Molti palazzi dell’Aquila chiusi sono in realtà meno lesionati di quanto abbiano stabilito. Il restauro è come la medicina, se sbagli la diagnosi poi rischi di sbagliare l’operazione. A parte questo, un centro storico è fatto di pietre e di persone. Non puoi restaurare le pietre mandando via le persone, con lo sfollamento una città la ammazzi per decenni». Naturalmente l’offerta di uno dei maggiori architetti del mondo, per giunta gratuita, fu respinta al volo dalla banda Bertolaso e
Balducci e Anemone, che avevano ben altri progetti e interessi, come testimoniano le intercettazioni con le risate degli sciacalli al telefono.
«Allora Bertolaso era dio in terra, un eroe nazionale. Gli aquilani si alzavano in piedi ad applaudire quando entrava in un cinema. Vinse la sua idea di mandare via tutti dalla zona rossa e militarizzare la ricostruzione. Non si poteva avvicinare nessuno. Poi arrivò Berlusconi con le sue trovate, il G8, una bella vetrina, e le new town che spostavano l’attenzione dell’audience televisiva dalle macerie del centro ai cantieri delle casette. Una cosa pazzesca. La reinvenzione della periferia. In tutto il mondo stiamo cercando di cancellarla, di rimediare a errori e orrori del recente passato. E qui si è pensato a trasformare una città bellissima in una brutta periferia.
«Avevo mandato sul posto Paolo Colonna del mio studio e ne era venuto fuori che gli unici con cui si poteva fare un discorso serio erano quelli della provincia di Trento. Avevano fatto la sola cosa decente, regalare delle case in legno, al costo di 700 euro al metro quadro, un quarto delle casette di Berlusconi pagate coi soldi pubblici, in modo da poter essere smontate dopo la rico-
struzione. Nel frattempo Claudio Abbado, era tornato dall’Aquila con l’idea di fare un nuovo auditorium temporaneo, vista l’impraticabilità della vecchia sala da concerti del Castello. E da quello siamo partiti».
Ed eccolo l’auditoriumdi Piano, in cima al corso, sulla strada del Castello.Una macchia di colore nel buio di una città lasciata morire, un luogo allegro nella tristezza diuna storia sbagliata. Domenica ci sarà anche il presidente Napolitano al concerto di Abbado, per inaugurare il primo luogo aquilano tornato alla vita. Ma costruirlo non è stato facile, fra mille intralci burocrati, le solite polemiche. «Ci si è messa anche Italia Nostra, con tutto quello che succede all’ambiente all’Aquila e nel resto d’Italia, ma poi ci si è capiti. Poi altri a dire che prima
dell’auditorium alla città serviva ben altro. Come se fosse colpa nostra aver finito prima di altri. E poi in tutto il mondo investono in luoghi di cultura, costruisco musei e auditorium da Oslo a Los Angeles, perché mai nella terra per eccellenza della cultura e del turismo, l’Italia, ogni volta bisogna fare le battaglie?»
Dell’Auditorium di Roma è stato scritto che sarebbe stato inutile, uno spreco. È il secondo centro culturale per incassi d’Europa. «L’Aquila è una città della musica, ha un conservatorio prestigioso, orchestre e gruppi, tre o quattro società musicali di livello, a partire dalla Barattelli, una tradizione di concerti favolosa. Qui sono venuti tutti, da Rubinstein a Benedetti Michelangeli, da Oistrack a Pollini».
La cosa più bella dell’auditorium è l’interno della sala, sembra di entrare in una cassa armonica. «Abbiamo usato l’abete rosso della Val di Fiemme nel Trentino, il legno preferito dai grandi liutai dai tempi degli Stradivari. Tutti e tre i blocchi dell’auditorium, sala concerto, sala prove e ristorante, sono in legno. In modo da poter essere smontati e ricostruiti altrove. non Mi sono ispirato ai molti edifici e templi in legno costruiti in Giappone, il paese più sismico del mondo ». Qualcuno l’ha trovato troppo bello e si è domandato quanto è costato ai contribuenti. «Niente, Non abbiamo usato un euro dei soldi della ricostruzione, che per inciso stanno per arrivare a montagne. L’auditorium è interamente finanziato dalla Provincia di Trento ed è costato 4,8 milioni, molto poco per un edificio di questo genere. Claudio Abbado si è impegnato gratis e così pure il mio studio e i venti giovani ingegneri dell’università dell’Aquila che ci hanno messo una passione straordinaria. Senza la loro voglia di fare, di combattere la burocrazia, saremmo mai riusciti. È insomma un regalo alla città. E se posso
dirlo, è venuto bene».