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Claudio Rinaldi
Regole all’americana nel faccia a faccia in tv
8 Febbraio 2006
I tempi del cavalier B.
Per le cronache della democrazia in Italia, negli anni di B. La Repubblica dell’8 febbraio 2006

Si discute molto, nel centrosinistra, se Romano Prodi debba o no concedere a Silvio Berlusconi un confronto in diretta tv. Il buonsenso fa propendere per il no, perché al candidato che è in testa nei sondaggi non conviene esporsi al rischio di dilapidare il vantaggio in una serata storta. Nel 2001 il Cavaliere si rifiutò, accortamente, di incontrare Francesco Rutelli; in Francia, nel 2002, Jacques Chirac negò a Jean Marie Le Pen qualsiasi dibattito, e lo stesso ha fatto l’anno scorso in Gran Bretagna Tony Blair con gli sfidanti conservatore e liberaldemocratico. Quale che sia il suo orientamento in materia, però, il Professore sarebbe davvero matto se accettasse un duello in tv alle condizioni finora fissate dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. E non soltanto per l’ignobile decisione di lasciare a Berlusconi l’ultima parola, con una conferenza stampa tutta per lui subito prima del voto del 9 aprile. Ciò che è in linea di principio totalmente inaccettabile, infatti, è che le regole dell’eventuale faccia-a-faccia vengano stabilite da organismi nei quali uno dei due contendenti, cioè Berlusconi, ha la maggioranza. È assurdo che siano la Vigilanza o il consiglio d’amministrazione della Rai, entrambi controllati dalla Casa delle libertà, a dettare legge; o, peggio, Raiuno, il cui direttore Fabrizio Del Noce è un ex deputato di Forza Italia. Se un duello ha da esserci, il regolamento non può scaturire che da una trattativa diretta fra le due parti in causa. Esattamente come è avvenuto nel 2004 negli Stati Uniti, dove George W. Bush e John F. Kerry hanno concordato tutto fra di loro senza sottostare al diktat di alcuna autorità esterna. All’esperienza americana pensa Prodi, probabilmente, quando allude sornione alla necessità di «un po’ di regolette». L’accordo fra Bush e Kerry, raggiunto dopo mesi di discussioni, disciplinava i tre faccia-a-faccia fin nei minimi dettagli. Nessuno era in grado di giocare scherzi da prete all’altro. Tutto veniva specificato nero su bianco: le caratteristiche dei conduttori e gli obblighi dei registi, i temi di ciascun dibattito e i doveri del pubblico negli studi. In Italia, visti il dominio di Berlusconi sulle tv e la sua inclinazione alla prepotenza, il duello esigerebbe regole ancora più stringenti. Fra le garanzie all’americana, però, ce ne sono almeno due che Prodi dovrebbe considerare assolutamente irrinunciabili. Una è il limite massimo di due minuti per ogni intervento dei candidati, senza il quale il premier uscente, volutamente logorroico, requisirebbe per sé gran parte del tempo a disposizione. L’altra clausola di rigore è la facoltà di opporre a ogni dichiarazione dell’avversario una replica di 30 secondi: se Berlusconi dicesse che i comunisti mangiano i bambini, con la perentorietà demagogica che gli è propria, Prodi avrebbe almeno la possibilità di ribattere che è una fesseria. Quanto ai conduttori, è ovvio che essi debbano apparire imparziali: non possono essere notoriamente vicini a uno dei duellanti più che all’altro. Che senso ha, dunque, fare il nome di Bruno Vespa? Costui è un professionista capace; ma non c’è dubbio che per vari aspetti, a prescindere dalle sue opinioni politiche, sembri gravitare nell’orbita di Berlusconi. Che riscuota emolumenti dal gruppo Fininvest è un fatto, sia come collaboratore fisso di "Panorama" sia come autore della Mondadori che gli pubblica un libro all’anno. L’ultima volta che ha ospitato il Cavaliere a "Porta a porta", il 31 gennaio, gli ha messo di fronte due giornalisti amici, Augusto Minzolini che ha anche lui una rubrica sul settimanale di Segrate e Maria Latella che è la biografa super-autorizzata di Veronica Lario. Un caso? Si aggiunga che la moglie di Vespa, il gip Augusta Iannini, ha ottenuto dal governo Berlusconi l’importante poltrona di direttore degli Affari penali al ministero della Giustizia; e i suoi rapporti con l’entourage berlusconiano sono tali che anni fa non se la sentì, correttamente, di esaminare lei due richieste di arresto avanzate dalla Procura di Roma per Gianni Letta e Adriano Galliani. Come arbitro dell’ipotetica sfida Berlusconi-Prodi, insomma, Vespa si esporrebbe fatalmente a qualche sospetto di sudditanza psicologica verso uno dei due. Se il leader dell’Unione preferisse designazioni diverse, come dargli torto?

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