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Laura Pennacchi
Radicali e Riformisti
18 Agosto 2005
Articoli del 2004
Da dove partire per rendere "concrete l’autocritica che alcuni esponenti del centrosinistra apertamente si fanno sull’eccessiva indulgenza verso il neoliberismo nutrita nel passato"? Una risposta su l'Unità del 4 giugno 2004

La stagione delle grandi assemblee istituzionali annuali - prima quella di Confindustria, poi quella di Banca d’Italia, a cui seguiranno quella dell’Antitrust e quella della Consob - sta mostrando, come già accadde l’anno scorso, una straordinaria convergenza analitica sui veri problemi dell’economia e della società italiana, lasciati drammaticamente senza risposta dal centro-destra che ha compromesso il risanamento finanziario realizzato dai governi dell’Ulivo e di centrosinistra - i quali portarono il deficit dal 7,7% del Pil nel 1996 allo 0,6% del 2000 - senza nemmeno riuscire a rilanciare l’economia, oggi ferma alla crescita zero.

Alla vigilia del voto di metà giugno tutto ciò è di ulteriore buon auspicio per il clima positivo che si respira nell’aria in favore dell’affermazione delle forze di centrosinistra e di tutte le opposizioni di sinistra.

Esse, infatti, possono rivendicare di aver segnalato sin dal primo momento sia l’illusorietà del «miracolo economico» annunziato dal duo Berlusconi-Tremonti al loro insediamento governativo, sia la fallacia della pretesa di realizzarlo mediante il trinomio a loro caro «meno tasse, meno diritti, meno sindacato».

Dunque, la questione vera che la stagione delle grandi assemblee istituzionali segnala al centrosinistra, e all’opposizione tutta, non è saper raccogliere messaggi incivili - che esso, in realtà, in larga misura aveva anticipato - ma è saper poggiare, e sviluppare, la sua capacità di interlocuzione su più solide basi analitiche, argomentative, propositive, manifestando così concretamente la sua cultura di governo e l’effettività della sua candidatura ad alternativa governativa. Per solidificare e sviluppare la sua capacità d’interlocuzione, però, bisogna che il centrosinistra (ma anche l’opposizione tutta) faccia fino in fondo ciò che finora ha fatto insufficientemente o ha addirittura eluso: un confronto di merito sul merito, ponendo fine a quella scissione tra «contenitori» e «contenuti» che fin qui non ci ha certo aiutato a rafforzare la nostra credibilità come forza di governo.

Superare la scissione tra contenitore e contenuti, e riprendere in ogni caso una discussione ravvicinata sui contenuti, io credo sia la sfida maggiore che le forze di centrosinistra dovranno affrontare nell’immediato futuro, sperabilmente stimolate da un buon esito del voto europeo e amministrativo. Al contrario, penso che conduca nella direzione opposta l’invito formulato da Ranieri: riconoscere l’irriducibile contrasto tra «l’aggregazione dei riformisti e un programma comune di tutte le opposizioni», riconoscimento da cui deriverebbe la necessità di restituire alla lista unitaria il suo carattere originario di volontà di condensazione delle «famiglie politiche del riformismo intorno a una leadership», segnando un netto confine tra tali famiglie e tutto quanto di altro si muove a sinistra.

Tale invito condurrebbe nella direzione opposta a quella auspicabile intanto perché, nell’opinione mia e di tanti altri che lo hanno accolto, non era questo lo spirito che ha animato l’appello iniziale di Prodi, ribadito anche in questi giorni: «Nel grande disegno dell’Ulivo che va avanti» - ricordando che di esso fece parte un duro, tenace, largo, coinvolgente lavoro programmatico che si protrasse per un intero anno - può consentirci di corrispondere al bisogno di unità della gente, la quale «si mette insieme per il futuro e non per il passato, non per le radici ma per i frutti, conservatori con i conservatori, progressisti con i progressisti». E in secondo luogo perché, se fosse questo invece lo spirito, sarebbe uno spirito di divisione e non di unità - quell’unità a cui la lista unitaria si richiama così insistentemente anche nel nome - e il doveroso investimento identitario che il nostro popolo ci chiede sarebbe posto su basi troppo ristrette, quindi anguste. In terzo luogo perché, se con la sinistra antagonista e con Rifondazione non si vuole realizzare solo una fragile intesa elettorale, un accordo programmatico più di fondo bisognerà pur farlo, tanto è vero che sono già stati formalmente costituiti gruppi di lavoro comuni e la questione, semmai, è che la discussione coinvolga tanti e non sia requisita da pochi, i quali potrebbero trovare non motivati accordi sulle teste degli altri.

In quarto e più importante luogo, perché una siffatta identificazione di «campi di competenza» e di «confini tra campi» avverrebbe in totale astrazione da una riflessione sul merito e sui contenuti, mediante l’attribuzione di patenti di riformismo che, prescindendo da una discussione autentica su «cosa è riformismo» e su «quale riformismo», nel migliore dei casi sconfinerebbe nell’ideologismo, nel peggiore si offrirebbe come copertura a operazioni di moderatismo e di trasformismo o di autoperpetuazione di gruppi di potere.

Approntare la sfida consistente nel superare la scissione tra contenitori e contenuti, e concentrare la riflessione sui contenuti, implica a sciogliere, almeno tendenzialmente, i dilemmi relativi a che cosa vuol dire riformismo oggi, nel contesto europeo e della globalizzazione assai poco equa e democratica in atto. La commissione di Progetto dei Democratici di Sinistra e la conferenza programmatica di Milano dell’aprile 2003 hanno dato loro risposte, che alcuni non hanno pienamente accolto (si ricorderà che furono presentati testi di distinguo) e altri hanno preferito considerare «insignificanti» ritenendo prioritario il solo discorso sul contenitore. Gli uni e gli altri esprimevano, tuttavia, una distanza o un dissenso che sarebbe stato meglio allora palesare più chiaramente e discutere più esplicitamente, ma che tutto ci incoraggia a riprendere nel futuro.

Infatti, la commissione di progetto ha proposto analisi e scelte che discriminano destra/sinistra lungo quattro assi fondamentali: - una visione non apologetica della modernizzazione anche se basata sul ruolo fondamentale del mercato (legato, anzi, dalle politiche illiberali del centrodestra); - il primato del paradigma dei diritti; - la centralità delle politiche pubbliche; - l’assunzione del motto «tributi a fronte di servizi» come caratterizzazione di una politica fiscale di sinistra (invece che l’inseguimento della destra sul terreno dell’indiscriminata riduzione delle tasse sempre risolventesi in un vero vantaggio solo per i più ricchi).

È da qui che dobbiamo ripartire per sostanziare di nuove policies concrete l’autocritica che alcuni esponenti del centrosinistra apertamente si fanno sull’eccessiva indulgenza verso il neoliberismo nutrita nel passato. È da qui che dobbiamo ripartire per fornire risposte adeguate alla crisi in cui il governo di centrodestra ha precipitato il paese.

Sono proprio le assemblee istituzionali di quest’anno a confermarci sia la vitalità dell’economia italiana, sia che i suoi problemi si chiamano tradizionalismo nella specializzazione produttiva, nanismo nelle dimensioni, familismo della struttura proprietaria, dequalificazione del capitale umano, incremento delle diseguaglianze reddituali e non solo, declino della produttività dovuto in primo luogo a una carenza degli investimenti, specie di quelli di ricerca e sviluppo, e a un eccesso di flessibilità/precarietà della forza lavoro (ma perché il passaggio in proposito del governatore Fazio è stato così poco commentato?). E quando i problemi si chiamano così, quando essi esibiscono cioè una tale strutturalità, non sarà certo in grado di affrontarli il ricorso ad automatismi quale è anche una detassazione aselettiva, ma occorrono politiche pubbliche altrettanto strutturali, complesse e articolate, servono la messa in campo di più attori e di più protagonisti, una contaminazione feconda di più culture, la fertilizzazione reciproca di interessi e valori, animata da grandi idealità per un progetto a forte valenza anche identitaria.

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