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Filippo Ceccarelli
Quella gaffe di Fini con Di Pietro
15 Maggio 2008
Articoli del 2008
Uno strappo nel telone del buonismo bipartisan? Fosco quello che c’è dietro.La Repubblica, 15 maggio 2008

Come spesso accade, e purtroppo, fra la magniloquente declamazione dei valori e la modesta pratica di guidare decentemente un´assemblea parlamentare corre una distanza che il presidente Fini, ieri mattina, ha illustrato nel peggiore dei modi; allorché, rispondendo all´onorevole Di Pietro che protestava per le interruzioni, ha detto: «Ovviamente dipende da quel che si dice». «Ovviamente», no; e per niente affatto, «dipende».

Ed è un vero peccato che questa specie di bislacca proposizione presidenziale sia piovuta, con tanto di applausi dai banchi del centrodestra, dallo scranno più alto di Montecitorio ad appena due settimane dal discorso di insediamento di Fini; quando fra immancabili propositi di pacificazione e calorosi richiami alle radici cristiane, il neo eletto solennemente annunciò che avrebbe garantito «l´assoluta parità fra tutti i deputati».

La retorica è un´arte, ma pure un tic che mette a nudo le magagne del potere. Richiesto di un commento su quella frase, il presidente della Camera dei deputati ha replicato che si trattava di «domande fuori luogo». E anche qui: fin dal nome il Parlamento è un luogo, appunto, che a partire dai suoi massimi rappresentanti dovrebbe ispirare umiltà e cortesia, specie se sotto pressione. Questo per le forme, e un po´ anche per l´esempio, virtù invero un po´ dimenticata.

Per quanto riguarda invece il merito della faccenda non sembra poi così fuori luogo far presente che in aula le opinioni sono generalmente libere; e che consentire la loro espressione, a prescindere dai battibecchi e dagli ululati che innescano, dovrebbe essere merito e vanto di chi presiede.

Questo ieri non è accaduto. Non solo, ma rivedendo la scenetta, lascia sgomenti l´immediata determinazione o la saccente naturalezza con cui Fini, forse ancora non calato nel suo ruolo, ha pronunciato quella frase, o meglio se l´è lasciata scappare di bocca come se fosse l´unica a venirgli in mente. Poi sì, certo, a essere maliziosi - e assai poco revisionisti - si potrebbe andare avanti a lungo; fino a richiamare il modo in cui il presidente della Camera Alfredo Rocco richiamò all´ordine il deputato Giacomo Matteotti nell´ultima seduta della sua vita: «Onorevole, non provochi incidenti e concluda!», come pure: «Se ella vuole parlare, continui, ma prudentemente!».

Ma forse, senza scomodare la storia patria, conviene rileggersi il celebrato discorso d´intronazione, là dove Fini ritenne di ammonire l´Italia sui pericoli del relativismo e sull´«errata convinzione che libertà significhi pienezza di diritti e assenza di doveri». Con la postilla, magari, che fra i doveri del presidente c´è di presiedere come un arbitro, che non valuta né le azioni né il livello di gioco delle squadre.

Interruzioni, d´altra parte, sempre ci sono state e sempre ci saranno. Nella fornita biblioteca di Montecitorio i componenti del nutrito staff di Fini troveranno senza meno un´ampia pubblicistica al riguardo, dal sapido «Viva ilarità in Parlamento. L´umorismo politico da Cavour a De Nicola» del Zingali (Ala, 1950) ai due volumi (il primo fece 23 edizioni) di Andreotti, «Onorevole... stia zitto» (Rizzoli, 1987 e 1992). Potranno quindi farne istruttive schede da porre in visione al presidente. Per quanto riguarda i tempi più recenti c´è da dire che chi è interrotto comunque non manca di prendersela con il presidente. Per cui Craxi, una volta, disse a un missino che lo infastidiva: «Dategli un bicchiere di vino!»; Amato sbattè il pugno sul banco contro Spadolini; e una volta Lamberto Dini se ne uscì sbraitando nel microfono un sonoro «E cazzo!».

Ma non è giusto buttarla in burletta. Oltre a prendere le misure del suo nuovo lavoro, possibilmente senza alterigia e prosopopea, è bene che Fini tenga presente che nonostante i vari, ripetuti e sinceri proclami c´è un bel pezzo d´Italia che non è immediatamente disposto a dimenticare quella che è stata la sua cultura politica e istituzionale.

Per cui freme e magari fraintende quando egli dice: «Non credo che gli Usa siano pronti a una presidenza di Obama, non fosse altro perché è nero». O un po´ si preoccupa quando, colto da un empito spettacolare, organizza tour elettorali chiedendo i documenti a extracomunitari venditori ambulanti di accendini. Allora, del resto, non era ancora presidente della Camera. Ma quando lo è diventato, sarà che non funziona la comunicazione, sarà che tutto pesa di più, ma fattosi prigioniero della più vana e gratuita nevrosi comparativa, non si è risparmiato di osservare che «i fatti di Torino» erano più gravi «di quelli di Verona».

Ieri il numero con Di Pietro, e la tirata d´orecchie di Casini, che nel tempo del relativismo rischia addirittura di figurare come un gigante d´imparzialità, l´ultimo strenuo difensore della Repubblica parlamentare dei liberi discorsi e delle interruzioni necessitate.

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