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Francesco Erbani
Quel porticciolo che divide i pisani
12 Dicembre 2005
Articoli del 2004
Presegue il giro d'Italia. Questa volta, il 28 dicembre 2004, il giornalista de la Repubblica ci porta nella antica tenuta presidenziale di San Rossore, troppo bella per non essere minacciata. Poichè non ci sono soldi per espropriare, scendiamo a patti con gli speculatori: questa la filosofia che trionfa, a destra e a sinistra

La tenuta di San Rossore, quattromilaottocento ettari di pregiato bosco dentro il parco che da Viareggio si stende fino a Livorno, è il cuore di una disputa che schiera da una parte gli ambientalisti, dall´altra l´amministrazione comunale di Pisa. Due progetti tengono sulle spine le associazioni di tutela. Il primo riguarda un porto che dovrebbe ospitare cinquecento barche, con negozi, ristoranti e alberghi, più appartamenti per centocinquantamila metri cubi: sorgerebbe sulla foce dell´Arno, lungo i bordi del parco, in un lembo delicatissimo, soggetto a un´erosione che ha consumato centinaia di metri di arenile. Il secondo progetto riguarda invece l´ippodromo che da centocinquant´anni è in funzione nella tenuta. Ha strutture inadeguate, sostiene la società che lo gestisce, e ha bisogno di ampliamenti. E pazienza per gli alberi che verranno sacrificati e per gli ettari di terreno compromessi.

Per entrambe le vicende si sono mobilitate Legambiente, Wwf, Lipu e Lav. Sul porto il conflitto dura da alcuni anni. È stato costituito un coordinamento che ha raccolto un centinaio di firme (dal botanico Carlo Blasi al filosofo Remo Bodei, dagli storici dell´arte Lina Bolzoni, Antonio Pinelli e Giacinto Nudi agli storici Ernesto Galli della Loggia, Adriano Prosperi e Paolo Pezzino, dal soprintendente Antonio Paolucci agli urbanisti Pier Luigi Cervellati, Enrico Falqui, Francesco Indovina ed Edoardo Salzano). Ma il sindaco di Pisa, il diessino Paolo Fontanelli, non ha tentennamenti: «Nel mio programma elettorale il porto era un punto cruciale e la maggioranza dei pisani l´ha sostenuto».

La tenuta di san Rossore fino al 1995 era di proprietà della Presidenza della Repubblica, come fino all´Unità lo era stata dei Savoia e prima ancora dei Lorena (ora è della Regione ed è gestito da un Ente Parco). È un territorio paesaggisticamente compatto, celebrato da scrittori e poeti (da Montaigne a D´Annunzio), luogo di colture e di allevamenti biologici. Tutto il parco - che prende i nomi di san Rossore, Migliarino e Massaciuccoli - è dominato da enormi pini marittimi e pini domestici e solcato da cordoni paludosi, le lame, e poi da stagni, fossati e canali che si spingono fino alle dune e agli arenili. È percorso da daini, volpi, aironi cinerini e rossi e da duecento specie di uccelli.

Ma veniamo ai progetti. Il porto sostituirebbe il rudere di uno stabilimento industriale di proprietà della Fiat fino ad alcuni anni fa e poi passato di mano (attualmente è dell´immobiliarista Danilo Coppola). Le case si innalzerebbero alle spalle e intorno alle banchine - sono palazzi e villette - in un terreno che appartiene alla stessa società, dove resistono alcuni edifici bassi, ormai abbandonati. Il viale Gabriele D´Annunzio, che da Pisa porta a Marina di Pisa, verrebbe tagliato e passerebbe alle spalle dell´insediamento.

L´intervento è compatibile con il parco che lo lambisce? È possibile trovare soluzioni alternative? «No», è la risposta secca del sindaco di Pisa. «Il Comune non ha i soldi per espropriare l´area e dunque deve trovare un´intesa con i privati su una soluzione urbanisticamente accettabile, concordata con il Parco. D´altronde lo stabilimento diroccato è grande trecentocinquantamila ettari ed è in condizioni di degrado e di costante pericolo. Non possiamo restare con le mani in mano. E poi siamo convinti che lì un porto serva, se ne parla da decenni, riqualificherà l´area e attirerà più turismo». Il presidente del parco, Giancarlo Lunardi, è in carica da pochi mesi. Il suo predecessore, Stefano Maestrelli, aveva caldeggiato con fervore sia il porto che le case. Attirandosi l´ostilità delle associazioni di tutela e di buona parte della cultura pisana. Lo stabilimento diroccato inquieta anche gli ambientalisti, che sottolineano sia comunque obbligo della proprietà bonificare l´aera impregnata di scarichi nocivi. È il passaggio successivo che li trova contrari. «Il Comune fa dipendere l´opera di risanamento, che è urgente, da un intervento di carattere speculativo, il porto e le case, che produce profitti solo per i privati», sostengono gli esponenti del coordinamento.

La questione è una delle più delicate fra quelle che affollano la scena urbanistica. Non solo pisana, ovviamente. Cosa fare dei grandi stabilimenti dismessi, come recuperarli, come restituire loro una dignità architettonica e farne parte integrante di una città? Soldi i Comuni non ne hanno per acquisirli, e ne avranno sempre meno, si sente dire. Talvolta interviene la mano pubblica, le università per esempio, che acquista e ristruttura. Ma spesso le trasformazioni sono solo quelle più remunerative per la proprietà. E quindi: centri commerciali, residenze, alberghi, parcheggi. Con ingombranti carichi urbanistici.

A Boccadarno, sostengono Fausto Guccinelli e Tiziano Raffaelli, due esponenti del coordinamento, il paesaggio verrebbe sfigurato. Il colpo d´occhio della foce radicalmente alterato. Estensore, una decina d´anni fa, del piano territoriale del parco è stato Pier Luigi Cervellati, che aveva previsto una stazione marittima e non un porto. «Sono due cose molto diverse», spiega l´urbanista. «La stazione marittima deve servire il parco e ospitare solo barche con motori a tre cavalli per visitare il suo complesso sistema di acque. Il porto trasforma quel territorio in una villettopoli. Il parco rappresenta un plusvalore per il porto. Ma il porto è un disvalore per il parco».

Nell´aprile scorso, intanto, è stato presentato anche un progetto alternativo, curato da due architetti fiorentini, Luisa Trunfio e Lorenzo Tognocchi, coordinati da Enrico Falqui e Giorgio Pizziolo. Prevede di ristrutturare le parti pregiate dello stabilimento e di collocarvi un cinema, attività culturali, sportive, congressuali e commerciali. Ma il progetto del porto, superati molti passaggi, va avanti. Attualmente ne discute una conferenza di servizi a livello regionale. «Abbiamo fissato prescrizioni», assicura il sindaco Fontanelli, «vigileremo sulla qualità del progetto».

L´altra iniziativa che allarma gli ambientalisti, l´ampliamento dell´ippodromo, è a un punto cruciale. La società che lo gestisce, l´Alfea, ha preparato un progetto, accompagnato da uno studio di impatto ambientale, per ricostruire gli spalti, attrezzare una struttura sotterranea, ingrandire una curva, allestire una pista di ottocento metri che si spinge dentro il bosco. Il progetto è giunto sulle scrivanie del Comitato scientifico del Parco. Che a metà novembre ha emesso un verdetto negativo: i lavori provocherebbero la distruzione di circa quattro ettari di bosco e la compromissione di altri sette; disturberebbero la vita di molte specie animali; arrecherebbero danni agli ambienti umidi e ai boschi. Sarebbero insopportabili per un ambiente designato come Sito di Importanza Comunitaria e, dall´Unesco, come Riserva della biosfera. E che soffre già troppe aggressioni per poterne tollerare una di quella portata.

Sul Comitato scientifico si è scatenata una bufera (fra i più duri il sindaco Fontanelli). Ma i vertici del parco si sono schierati al suo fianco, e stavolta hanno aderito alle proteste degli ambientalisti bocciando gran parte del progetto, di cui hanno salvato solo l´ampliamento della curva e la ristrutturazione degli spalti. La partita non è conclusa. Fontanelli giudica quella del parco una scelta equilibrata, che consente all´ippodromo di migliorare le strutture e di tutelare «almeno un migliaio di persone che lavorano intorno all´ippodromo, un´attività storica per il territorio pisano». L´Alfea prende tempo. Mentre le associazioni di tutela giudicano positivamente la decisione del parco, ma non demordono: troppi quegli ettari di bosco, da sei a otto, troppi gli alberi sacrificati per la curva di un ippodromo.

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