«». la Repubblica, 28 febbraio 2016
Come si fa a distinguere il buono dal cattivo maestro? Bisogna guardare gli occhi degli scolari, vedere se brillano o restano spenti. Se brillano vuol dire che quel maestro li ha accesi. Il maestro buono però non è quello che immaginiamo, non risponde a regole precostituite, non rispetta per forza le gerarchie, tutt’altro. Le sovverte, se serve. Eraldo Affinati dedica un libro a don Lorenzo Milani, un maestro che in anni in cui sembrava impossibile eliminò lavagne, cattedre, bocciature, andando a cercare gli allievi più poveri nelle spelonche in cui abitavano per convincerli a studiare. Affinati non ha scritto una semplice biografia, ma ha dialogato appassionatamente col fantasma di don Lorenzo. Il libro non ha la compostezza classica di un saggio, ma la coinvolgente vivacità di un faccia a faccia. Un confronto anche con se stesso, visto che Affinati parla di sé in seconda persona. Sarebbe piaciuto al priore che alle astrazioni teoriche preferiva i confronti diretti ed era un nemico delle liturgie spente e un esempio di cristianesimo fattivo. Il titolo guarda avanti, non poteva essere altrimenti: L’uomo del futuro (Mondadori). L’autore non si è accontentato di accumulare letture su don Lorenzo, ma ne ha seguito le tracce, come un detective.
Oggi ci sono altre Barbiane nel mondo. Affinati non indossa gli scarponi da montagna di don Lorenzo, ma si mette in viaggio. Va in Gambia, tra i palazzoni di Berlino est, in Marocco. I nuovi poveri si chiamano Pedro, un giovane tossicodipendente di Città del Messico, Manfred, che indossa una maglietta con un teschio, Alì, secco e snodato come doveva essere Barack Obama da piccolo.