loader
menu
© 2024 Eddyburg
Dario Di Vico
Quei viaggi in autostrada: la frenata degli italiani
28 Ottobre 2012
Muoversi accedere spostare
Demotorizzazione nelle scelte dei consumatori, forse ricerca di un rapporto diverso con la mobilità.

Demotorizzazione nelle scelte dei consumatori, forse ricerca di un rapporto diverso con la mobilità. Corriere della Sera 27 ottobre 2012, con postilla.
La Grande Crisi sta cambiando il rapporto tra gli italiani e l'autostrada. La causa prima è rintracciabile nell'abnorme aumento del prezzo della benzina (+17,7% dal settembre 2011 a quello 2012) ma più in generale il reddito disponibile cala e nelle strategie di adattamento rientra anche la mobilità. Il fenomeno riguarda sia il Nord sia il Sud con il divario che cresce ulteriormente perché la caduta nel Mezzogiorno è più larga di 2-3 punti.Una cartina di tornasole di questi mutamenti la si può rintracciare nelle gare bandite per aprire nuovi punti ristoro nelle aree di servizio. Nel 2012 sono state ben 8 quelle per le quali non è stata presentata nessun offerta. È vero che quattro aree sono in Sicilia e il Sud se la passa malissimo ma altrettante sono ubicate a Nord, tre in Piemonte sulla Asti-Cuneo e una sulla Brebemi a Caravaggio in Lombardia.

Gli italiani sono dunque meno disposti di ieri a viaggiare per tempo libero e consumare in autostrada. Le stime aggregate del traffico nelle regioni del Nord nei primi sette mesi del 2012 parlano di un calo tra il 6-7% e la novità è che diminuisce più il traffico leggero di quello pesante, la mobilità delle persone più dei Tir. Una novità assoluta perché finora aveva tenuto e comunque erano almeno 30 anni che il traffico leggero cresceva. Meno movimento vuol dire meno clienti nei ristoranti, si comprano meno sigarette, giornali, libri e persino biglietti della lotteria che pure avevano conosciuto fino al 2011 un piccolo boom. Quanto al carburante nel primo semestre 2012 le vendite di benzina sono crollate del 27,1% e di gasolio del 19,1%.

Gli storici si potranno sbizzarrire a tentare paragoni con il dopo-crisi petroliera del 1973 che comportò il fallimento di Motta, Alemagna e Pavesi e il loro passaggio all'Iri. I cronisti annotano l'andamento nelle singole tratte del Nord (dati Aiscat): sull'autostrada della Cisa da gennaio a luglio 2012 il traffico leggero è sceso del 10%, sulla Torino-Bardonecchia il calo è stato dell'11,9%, sulla Torino-Piacenza -9,5%, sull'Autostrada dei Fiori -8,4%, sulla Brescia-Padova -6,2% e sulla Piacenza-Brescia -7,1%. Secondo Carlo Carminucci, direttore per le ricerche sulla mobilità di Isfort, la discesa del traffico leggero era stata significativa già nel 2011 ma oggi siamo di fronte «a un rinserramento psicologico degli italiani» e la diminuzione per gli spostamenti del tempo libero accelera anche in regioni come al Nord che pure vantano un cartellone di iniziative (fiere, festival, partite di calcio, manifestazioni politiche) più che ampio. «È ancora troppo presto per dire che siamo di fronte a una modifica strutturale dei comportamenti ma l'inversione di tendenza c'è». Ci si sposta meno perché c'è meno disponibilità di reddito per il tempo libero e anche nei weekend il paesaggio automobilistico è cambiato di molto.

Le code non ci sono più o almeno sono circoscritte alla domenica pomeriggio e agli automobilisti pigri che si mettono in strada all'ora canonica per tornare a casa e vedere in tv il posticipo del calcio di serie A. È vero che la riduzione degli accodamenti è dovuta ad alcuni ampliamenti realizzati dai vari gestori ma complessivamente si stima che nei weekend il calo del traffico leggero sia più sensibile che nei giorni feriali con punte del 30% in meno. Se all'Isfort sono prudenti, il responsabile delle relazioni istituzionali della società Autogrill, Giuseppe Cerroni, è pessimista. Racconta come una volta si prendesse l'autostrada in automatico, senza pensieri, mentre oggi si entra e si esce. La rete seguiva l'orografia del Paese con un'offerta di servizi ravvicinati tra loro, un'area di servizio ogni venti chilometri. Ora invece tutto ciò vacilla. Per effetto del calo dei veicoli leggeri e di quelli pesanti le vendite di benzina sono crollate del 27% e lo scontrino medio negli autogrill, che era il più alto d'Europa, oggi è sceso di brutto.

L'acquisto di generi vari in autostrada è diminuito più del traffico: -10%. Ai ristoranti Ciao i clienti prendono o il primo o il secondo e non più entrambi. Contorno e dolce manco a parlarne. Solo i panini tengono, e anzi aumentano le vendite, ma la selezione è attenta. I clienti disposti a spendere di più si orientano verso il panino farcito con culatello mentre quelli più orientati al risparmio si accontentano del classico pane con mortadella. «La correlazione tra traffico autostradale e Pil è strettissima ma il calo del traffico leggero fa riflettere. Le famiglie stringono la cinghia più delle aziende. Cambiano il proprio modello di consumo e sostituiscono il percorso in autostrada magari con il treno o usando di più il telefono» commenta il professor Andrea Boitani, esperto di economia dei trasporti.

Per avere un'idea della discontinuità vale la pena ricordare come fino a qualche anno fa si discutesse di costruire nelle aree di servizio addirittura degli shopping mall dove trovare di tutto, dal divano al computer fino all'abito formale. Oggi le gare per nuovi spazi commerciali vanno deserte ma si parla di chiudere la notte o durante la settimana alcuni punti ristoro. Chi viaggerà dopo cena dovrà programmare le soste o accontentarsi dei distributori automatici. Chiuderanno i bar laddove in una sola area ce n'è più di uno. Contraddicendo il governo Monti che liberalizzando ha concesso ai benzinai di aprire bar e ristorante accanto alla pompa.

Ovviamente segna il passo anche il traffico pesante direttamente legato alla contrazione dell'economia reale e la cosa «si vede ad occhio nudo» sostiene Veniero Rosetti, imprenditore e dirigente della Cna-Fita, una delle organizzazioni dei padroncini. «Sulle autostrade del Nord ma persino sull'Appennino tosco-emiliano l'incolonnamento di Tir è diventato un'eccezione». Rosetti racconta come almeno il 60% dei viaggi oggi sia sottocosto («il mercato non ci riconosce l'aumento del gasolio») e come abbiano chiuso già 1.300 ditte. I padroncini, a suo dire, riescono a comprimere all'osso i margini di profitto e si accontentano di vivere con 16-17 mila euro l'anno, chi invece ha alle proprie dipendenze autisti contrattualizzati incontra maggiori difficoltà. Le piazzole che conoscevamo erano sempre intasate di Tir, ora accade all'ora di pranzo e alle 20 di sera quando gli autisti si concedono la meritata pausa pasto. Complessivamente il traffico di Tir nella rete di Autostrade per l'Italia è sceso nel periodo gennaio-luglio 2012 dell'8% ma ad aggravare il risultato pesa il calo (maggiore) del Sud. Comunque sulla Piacenza-Brescia si registra un -6,9%, sulla Brescia-Padova -5,6%, sull'Autostrada dei Fiori -7,6%, sull'Autostrada della Cisa -7,3% e sulla Torino-Piacenza -8,4%.

Dove ancora invece si incontra traffico è nei raccordi autostradali vicini alle grandi città del Nord. Il fenomeno è monitorato relativamente da poco e non ci sono dati attendibili ma le città più interessate sono Milano, Genova e Venezia e il segmento Milano-Bergamo è quello considerato maggiormente «complesso». Come mai? L'intensità del traffico nelle tangenziali è dovuta a trasformazioni sociali di lungo periodo: il lavoro si è frantumato e non segue più itinerari e orari della grande fabbrica, consistenti fette di popolazione urbana si sono trasferite nell'hinterland e ogni mattina tornano nella metropoli per lavorare. E l'offerta di servizicar poolingper ora non ha sfondato (nel Milanese lo usano solo 2.500 persone).

Con le autostrade meno frequentate anche il dibattito sulle infrastrutture è destinato a cambiare. La società Autostrade ha confermato i suoi piani di investimento ma secondo l'amministratore delegato Giovanni Castellucci, «non ha senso ragionare oggi in una logica keynesiana, non tutte le infrastrutture creano nuovo sviluppo». È fondamentale, invece, «la capacità di selezionare gli investimenti puntando su quelli che migliorano la competitività perché supportano il turismo internazionale e aiutano la mobilità nei centri urbani». Chiosa il professor Boitani: «In passato si ragionava di nuove infrastrutture quasi a prescindere dai flussi. Oggi finalmente i dati dettano legge».

Postilla
La vera e propria valanga di (utilissimi) dati forniti dall’articolo forse distoglie rapidamente dalla tesi implicita nell’incipit, dandola poi per scontata: tutto è un problema congiunturale legato alla crisi. Peccato che una grande quantità di altri segnali, diretti e indiretti, stia a significare l’esatto contrario. Piaccia o non piaccia al 99% dei commentatori economici, tutte le volte che si affronta il tema automobilistico in termini esclusivamente quantitativi, evitando accuratamente qualunque altra ipotesi, si finisce per lasciare il lettore sospeso nel nulla, forse in attesa, insieme al giornalista, che ricominci il flusso normale delle cose, compreso il petrolio, le automobili, le famigliole in gita eccetera eccetera. Mentre invece (lo possiamo leggere facilmente tutti i giorni su altre pagine dei quotidiani) parrebbe proprio il modello sotteso all’infinito sviluppo autostradale ad essere in discussione, per il lento ma inesorabile mutamento di paradigma indotto dalle crisi ambientale ed energetica, e di cui quella economica rappresenta solo una gigantesca cartina di tornasole. Per citare un Autore abbastanza riassuntivo del tema, anche se non troppo noto nel nostro paese, è il modello prospettato dallo scenografo designer Norman Bel Geddes verso la metà del ‘900, con lo straordinario libro Magic Motorways e il paralleloo padiglione Futurama all’Expo universale di New York. Ovvero di un intero pianeta dove le corsie asfaltate costituiscono la rete che alimenta tutta l’attività economica e sociale, finendo in un modo o nell’altro per costituirsi come mondo a parte che dà senso a tutto il resto. Da qui nascono poi (lo sponsor di Bel Geddes è la General Motors) miti e realtà dominanti in gran parte del secolo breve, dalla dispersione urbana ai modelli di consumo di prodotti, spazio, tempo che tutti abbiamo considerato del tutto scontati per decenni. Adesso non più, e ci sarebbe da riflettere, magari senza cadere in orizzonti paranoici o inconsapevolmente reazionari. Ma questa è un’altra storia (f.b.)

ARTICOLI CORRELATI

© 2024 Eddyburg