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Eugenio Scalfari
Quei vescovi che violano i patti
6 Aprile 2006
Articoli del 2005
Da la Repubblica del 23 gennaio 2005, a proposito del cardinal Ruini che si allarga su terreni preclusi dal concordato

Due settimane fa, esattamente il 16 gennaio scorso, scrissi un articolo pubblicato con il titolo "La lunga battaglia intorno all’embrione". L’occasione era stata la sentenza della Corte costituzionale che, respingendo uno dei quesiti proposti dai promotori del referendum abrogativo della legge numero 40 sulla fecondazione assistita e ammettendone gli altri quattro, ha dato il via alla consultazione referendaria. In quell’articolo facevo alcune considerazioni sulla predetta sentenza e soprattutto sulla controversa questione denominata "i diritti dell’embrione" potenzialmente confliggenti con i diritti dei genitori.

Non tornerò su questo aspetto; tutto ciò che si poteva dire in proposito è stato detto e sarà certamente ripetuto quando si entrerà nel vivo della campagna elettorale referendaria. Ma nel frattempo, il 17 gennaio, si è riunita a Bari la Conferenza episcopale italiana che ha ascoltato e approvato la prolusione del suo presidente, cardinale Camillo Ruini. È proprio di questa prolusione che desidero oggi occuparmi; nelle sue dieci pagine a stampa essa compie una vasta rassegna dei fatti accaduti nei tre mesi trascorsi dalla precedente sessione della Cei toccando temi ardui dal punto di vista teologico e filosofico, per passare a temi di rilevante importanza etica e pastorale, affrontando infine argomenti più propriamente politici sia a livello europeo sia italiano.

Avviene di solito che quando la Cei si riunisce i mezzi di comunicazione, dandone notizia, concentrano la loro attenzione su qualche giudizio, indicazione, prescrizione, concernenti fatti di stretta attualità, trascurando il resto. Raramente la pubblica opinione conosce nella sua interezza gli atti delle riunioni episcopali e il testo della prolusione del presidente.

All’ombra di questo (inevitabile) silenzio della stampa è accaduto nel corso degli anni che l’attenzione della Cei si espandesse quasi senza più confini e coinvolgesse l’attività episcopale in temi del tutto estranei all’evangelizzazione e alla catechesi che sono propri della funzione episcopale.

È anche accaduto che i temi toccati non fossero soltanto estranei ma addirittura preclusi all’intervento della gerarchia ecclesiastica, senza però che tali e a volte macroscopiche interferenze venissero colte per quel che in realtà sono e cioè invasioni di campo da parte della Chiesa di domini di stretta competenza dello Stato e quindi lesivi di quel principio di laicità accettato e solennemente ribadito anche nel concordato che recita infatti: «La Repubblica Italiana e la Santa Sede riaffermano che lo Stato e la Chiesa cattolica sono nel proprio ordine indipendenti e sovrani, impegnandosi al pieno rispetto di tale principio nei loro rapporti» e ancora: «La Repubblica Italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione».

Questi sono dunque i temi sui quali la Chiesa esercita il suo magistero, ovviamente in concorrenza con altre religioni e culti presenti sul territorio della Repubblica: evangelizzazione, carità, santificazione. Altre questioni che riguardano l’organizzazione della comunità civile, sono viceversa di pertinenza dello Stato e della società che esso rappresenta. Nulla vieta che la Chiesa fornisca ai suoi fedeli (che sono parte integrante della società civile) tutte le indicazioni di principio giudicate coerenti con la fede e la morale cattolica, mentre le è invece vietato ogni sorta di intervento sui comportamenti e le iniziative politiche, riguardanti una sfera di attività di esclusiva competenza delle istituzioni e dei cittadini, siano essi credenti nella fede cattolica o in altre religioni o non credenti affatto.

* * *

Alla luce di queste elementari distinzioni di campo tra attività religiosa e attività diciamo così temporale, sono rimasto sorpreso, dico la verità, dalla versatilità della Cei su una quantità di temi che non la riguardano.

Mentre la prima parte della prolusione Ruini apre la discussione su un argomento del massimo interesse religioso e cioè quello della sofferenza subita senza colpa dall’umanità e del rapporto tra Dio e gli uomini rispetto alla presenza del male nel mondo; e mentre questo tema eterno viene giustamente riproposto dal cardinal Ruini in concomitanza con il maremoto di recente avvenuto nel sud dell’Asia e delle immani rovine da esso cagionate; subito dopo si passa a discutere della Costituzione europea e in particolare della possibile ammissione della Turchia nella Ue e a quali condizioni una decisione in merito potrebbe avvenire.

Capisco che l’ammissione nella Ue d’un Paese quasi esclusivamente musulmano possa destare preoccupazione nella gerarchia cattolica la quale tuttavia, nel testo di Ruini, si limita a chiedere reciprocità in tema di libertà religiosa. Mi pare che ne abbia pieno diritto e che questa richiesta resti nell’ambito dei suoi legittimi interessi.

Molto più stravaganti sono altri temi. Li enumero citando il testo. «Negli ultimi mesi è stata ancora alta la tensione tra gli schieramenti politici ed anche, a fasi alterne, all’interno di ciascuno di essi come pure non di rado tra le diverse istituzioni... L’approvazione di alcune riforme è avvenuta in questa chiave di conflittualità che condiziona inevitabilmente la loro accoglienza e il loro concreto valore».

Personalmente posso anche condividere questo giudizio, più volte del resto enunciato dal presidente della Repubblica. Ma mi domando a che titolo ne parli il presidente della Cei sulla cui bocca parole di questo genere risultano improprie e stonate. Che cosa direbbe il cardinale Ruini se un ministro della Repubblica nel corso di un dibattito parlamentare si esprimesse in merito ad un conflitto, che so, tra la Curia vaticana e l’Ordine dei gesuiti o tra la medesima Curia e l’associazione degli Ordini delle suore, a proposito delle rispettive iniziative e/o dell’autonomia e/o delle competenze richieste da una parte e negate dall’altra? Non griderebbe, e giustamente, il Vicario del Papa alla violazione dei principi concordatari che vietano allo Stato di occuparsi di questioni attinenti alla vita interna della Chiesa? E non si pongono così le premesse, con l’aria di formulare opinioni di comune buonsenso, al progressivo ampliamento della presenza ecclesiale in campi che non la riguardano affatto?

Così per quanto riguarda la legge finanziaria «tesa a stimolare lo sviluppo» ma «sul versante delle famiglie, pur in presenza di alcune misure apprezzabili, i criteri impiegati rimangono però poco idonei a perseguire quella politica organica che sarebbe meglio promossa dall’adozione del quoziente familiare».

Lo ripeto: non contesto il merito di tali indicazioni; ne contesto l’ammissibilità da parte di un’istituzione ecclesiastica la quale non solo non ha titolo ma alla quale è espressamente precluso di inoltrarsi su questo terreno, anche a salvaguardia dell’autonomia e della laicità degli stessi cattolici politicamente impegnati. Ad essi è lecito che la Chiesa ricordi il suo interesse verso la famiglia ma non che prescriva addirittura le specifiche norme che il Parlamento e il governo dovrebbero adottare per render contento l’episcopato italiano.

Stesse osservazioni mi sento di dover fare sulla legge "salva-Previti" nella prolusione di Ruini esplicitamente citata e criticata. Quando ho letto quelle righe me lo sarei abbracciato, il cardinale; ma poi mi sono detto: io posso scrivere dieci articoli contro quell’obbrobrio di legge, ma la Conferenza episcopale non ha alcun diritto di occuparsene ed è dunque mio dovere di cittadino difendere la separazione del potere civile da quello religioso. In un solo caso quest’ultimo può denunciare una legge dello Stato: quando essa violi il principio della libertà religiosa, i diritti dell’uomo e la sua dignità. Può darsi (non sono lontano dal pensarlo) che la "salva-Previti" leda quei diritti violando in particolare quello dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge. Ma allora bisogna dirlo esplicitamente e non ripararsi dietro «la diffusa perplessità di una legge che genera il sospetto d’aver di mira situazioni di singole persone». È un giudizio troppo severo o troppo poco per giustificare l’intervento della Chiesa su un provvedimento in discussione nel Parlamento della Repubblica.

* * *

Ma vengo all’aspetto più eclatante della prolusione Ruini, fatta propria da tutti i vescovi della Cei. Riguarda il referendum abrogativo della legge 40. Lo ripeto: non entrerò nel merito della questione ma mi limiterò all’analisi del documento del cardinale.

Egli parte da un’affermazione: la legge 40 non soddisfa appieno le esigenze della Chiesa in materia di fecondazione medicalmente assistita; è troppo permissiva per i gusti della gerarchia ecclesiastica. Tuttavia disegna un impianto apprezzabile che, allo stato dei fatti, è il massimo che si possa raggiungere. Ne consegue che ogni modifica di quella legge non può che peggiorarne la qualità dal punto di vista della Chiesa. Perciò essa non va emendata. Bisogna invece mobilitare le coscienze affinché il referendum abrogativo fallisca. La Chiesa farà di tutto perché ciò avvenga e si riserva di decidere, in prossimità della consultazione, quale sia la via migliore da seguire: se votare "no" oppure disertare dal voto e impedire così il raggiungimento del "quorum" necessario per la validità del referendum.

Eminentissimo cardinale, mi auguro che lei e i suoi confratelli non vi siate resi conto d’esservi inoltrati su un terreno all’ingresso del quale è scritto in caratteri cubitali che a voi, proprio a voi, è precluso l’ingresso.

Voi potete dire e ridire fino alla noia che l’embrione è una persona, così come i vostri confratelli di quattrocento anni fa sostenevano che il sole gira intorno alla Terra e misero in catene il grande scienziato che sosteneva il contrario. Ciò che invece non potete assolutamente fare è di prescrivere agli elettori quale sia il modo più efficace per impedire l’abrogazione (parziale) d’una legge attraverso il legittimo esercizio del voto popolare.

Qualche dubbio deve averlo avuto anche lei, caro Ruini, quando a conclusione del suo testo ha scritto: «Siamo consapevoli delle difficoltà che ci attendono e delle critiche cui potremo essere sottoposti. È però doveroso per noi esprimerci con sincerità e chiarezza e siamo sostenuti dalla coscienza di adempiere alla nostra missione».

Lei sarà pur convinto di adempiere alla sua missione prescrivendo agli elettori se debbano votare o no. Ma sta di fatto che con il documento letto a Bari il 17 gennaio lei, presidente della Cei, ha violato gli articoli 1 e 2 del Concordato Lateranense. Se avessimo un presidente del Consiglio di normale sensibilità per le prerogative e la dignità dello Stato, lei avrebbe già ricevuto una nota di protesta dall’ambasciatore italiano presso la Santa Sede.

Ma noi non abbiamo purtroppo un presidente del Consiglio che senta questo tipo di doveri. E infatti egli è proprio colui che ad una Conferenza episcopale così poco riguardosa dei principi di laicità fa più comodo di avere come frontaliere. Posso capirla, caro cardinale, ma deploro profondamente questo modo di procedere.

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